MALETTA, Federico
Di nobile famiglia siciliana, nacque nel primo trentennio del sec. XIII. Era fratello di Manfredi, conte di Mineo e Frigento, e di Isabella, signora di Caccamo, e zio materno di Manfredi di Svevia. Fu conte di Vizzini e signore di Buccheri, poste nella Sicilia sudorientale, signore di Cammarata, nella parte centroccidentale dell'isola. Nel 1255 il M. partecipò al colloquio svoltosi a Napoli tra il neoeletto papa Alessandro IV e i grandi del Regno di Sicilia, per intavolare trattative di pace tra guelfi e ghibellini. L'incontro si concluse con la condanna da parte del papa dei familiari e fautori di Manfredi. Di conseguenza, il 13 sett. 1255 il papa concesse in feudo al nobile lentinese Ruggero Fimetta il castello di Vizzini, ordinando al francescano Rufino da Piacenza, inviato in Sicilia come vicario del legato pontificio, di consegnarlo a Fimetta.
Oltre che in Sicilia, il M. ebbe feudi e castelli in Puglia, nei giustizierati di Capitanata e Terra d'Otranto. Su suggerimento di Manfredi di Svevia, il M. sposò in seconde nozze Minora, figlia di Leopoldo di Dragone e consanguinea di Rao di Balbano, conte di Apice e signore del castello pugliese di San Severo, in Capitanata, che era morto senza eredi durante il regno di Federico II, lasciando i suoi beni all'imperatore. Grazie al matrimonio con Minora, il M. ottenne da Manfredi la contea di Apice e il castello di San Severo. Nominato da Manfredi capitano della Capitanata e di Lucera, nel marzo 1257 il M. si adoperò per riconquistare Ariano, che aveva resistito agli Svevi, grazie alla posizione geografica favorevole e all'animosità della popolazione.
Non potendo espugnarla con le armi, il M. architettò un piano per impadronirsene con l'inganno. Alcuni abitanti di Lucera finsero di essere nemici occulti di Manfredi, in fuga dalla propria città, e chiesero asilo agli abitanti di Ariano, i quali, nel cuore della notte, aprirono loro le porte. Entrati in città, i Luceresi se ne impadronirono e la distrussero, facendo una strage. I maggiorenti della città, che erano stati a capo della ribellione antisveva, furono condannati a morte, gli esponenti dei ceti medi e bassi graziati e mandati in esilio.
Dopo essere stato incoronato re a Palermo nell'agosto 1258, Manfredi nominò il M. reggente della Sicilia e lo inviò nell'isola con un contingente di soldati tedeschi, per governarla in qualità di capitano generale, la più alta carica militare del Regno fin dall'epoca di Federico II.
Nel maggio 1260, mentre il M. dimorava in un accampamento ai piedi di Monte San Giuliano (oggi Erice), dalla montagna scesero dieci uomini, che gli prestarono omaggio a nome di tutti gli abitanti. Il M. agiva sempre con estrema prudenza e non si fidava degli Ericini, perché sapeva che usualmente non consentivano agli ufficiali regi di salire liberamente sul monte, ma non immaginava che il vero pericolo si annidasse fra i suoi. Così, un giovane tedesco di nome Goblo o Gobbano, nominato dal M. conestabile dei soldati tedeschi (sebbene fosse stato familiare del marchese Bertoldo di Hohenburg, nemico di re Manfredi), entrò con alcuni seguaci nella tenda del M., mentre costui dormiva, e lo uccise.
Quando si sparse la notizia della morte del M., l'omicida e i complici fuggirono a Erice, insieme con gli ambasciatori cittadini, sperando invano di essere protetti. Manfredi non poteva lasciare impunita la morte del M. e affidò una spedizione contro gli Ericini a Federico Lancia, conte di Squillace, nominato nuovo capitano di Sicilia in sostituzione del Maletta. Il conte Lancia assediò Erice con un grande esercito e in ottobre riuscì a impadronirsene, catturando e giustiziando i colpevoli tra atroci supplizi.
Alla morte del M., il dominus Tommaso di Dragone occupò il castello di San Severo, ma Carlo I d'Angiò ordinò di restituirlo alla contessa Minora. I casali di Copertino e Carpignano, posti nel giustizierato di Otranto, andarono al figlio del M., Francesco. Nel gennaio 1270 il nome del M. si trova in un elenco di ribelli, i cui beni dovevano essere ricercati e annotati dal giustiziere della Terra di Bari. Inoltre, Carlo I confiscò i possedimenti del M. posti nella Sicilia orientale e tra il 1270 e il 1272 li concesse ai suoi seguaci. Il castello di Buccheri, che rendeva 80 onze annue, fu donato a Philippe de Reillane e Bertrand de Barras. Cammarata, che alla morte del M. era andata a Manfredi Lancia, fu concessa a Guillaume Goffridi.
Al M. sopravvissero almeno due figli: Isabella, che portava il nome della zia paterna, e Francesco. Nel dicembre 1261 lo zio Manfredi Maletta dotò Isabella, andata sposa a Federico di Palear (Pagliara), nipote di Gualtiero, conte di Manoppello, donandole beni mobili del valore di 1000 onze. Secondo Della Marra, Isabella sposò, poi, Berardo di San Giorgio, dal quale ebbe due figli, Roberto e Roberta. Francesco seguì le orme paterne, combatté gli Angioini con Corradino di Svevia e perse i casali di Copertino e Carpignano, donati nel 1268 da Carlo I d'Angiò a Guido de Precis e Filippo Bridono. Durante la sua latitanza, Francesco fu ospitato da Tommaso de Fontanella; in seguito fu perdonato e riebbe la contea di Apice. Secondo Della Marra, Francesco sposò in prime nozze Maria di Marzano, figlia di Riccardo, poi Maria Della Marra, figlia di Riso, ma non ebbe figli, pertanto Apice andò al nipote Roberto di San Giorgio, che morì nel 1306, lasciandola alla sorella Roberta moglie di Guglielmo di Sabran.
Fonti e Bibl.: Nicolaus de Jamsilla, Historia de rebus gestis Friderici II(, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., VIII, Mediolani 1726, p. 582; Annales Siculi, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XIX, Hannoverae 1866, p. 499; S. Malaspina, Chronica, a cura di W. Koller - A. Nitschke, ibid., XXXV, ibid. 1999, p. 129; G. Del Giudice, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d'Angiò, II, 1, Napoli 1869, p. 322; B. Capasso, Historia diplomatica Regni Siciliae(, Neapoli 1874, pp. 199, 350; Acta Imperii inedita(, a cura di E. Winkelmann, II, Innsbruck 1885, p. 727; I registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, II, Napoli 1951, p. 276; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte(, Napoli 1641, pp. 209 s.; R. Pirro, Chronologia regum(, Panormi 1643, pp. 48, 57; A. Inveges, Annali della felice città di Palermo, III, Palermo nobile, Nobiliario viceregio, Palermo 1651, pp. 658-660; F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Della Sicilia nobile, I, Palermo 1754, p. 128; II, ibid. 1759, p. 128; V. Amico, Diz. topografico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, I, Palermo 1855, p. 223; M. Camera, Annali delle due Sicilie, Napoli 1860, p. 192; P.F. Palumbo, Manfredi Maletta gran camerario del Regno di Sicilia, in Riv. stor. del Mezzogiorno, XIII (1978), pp. 5, 8, 12-14, 24 s., 31-33, 39, 102, 150 s.; E. Pispisa, Il regno di Manfredi(, Messina 1991, ad ind.; L. Catalioto, Terre, baroni e città siciliane nell'età di Carlo I d'Angiò, Messina 1995, ad indicem.