PATELLANI, Federico
PATELLANI, Federico. – Nacque a Monza il 1° dicembre 1911 da una famiglia milanese, primo di quattro fratelli.
Il padre Aldo, avvocato originario di Monterosso nelle Cinque Terre, esercitava la professione a Monza, dove si era trasferito con la moglie di origini romagnole.
Federico ebbe un’infanzia tranquilla e, dopo aver frequentato le scuole elementari e medie nella città natale, fu iscritto al liceo Carlo Alberto nel collegio di Moncalieri. L’esperienza fu breve a causa della sua esuberanza e, di lì a poco, fu spostato al liceo Giuseppe Parini di Milano. Terminati gli studi classici – alla fine dei quali il padre, severo ma premuroso, gli regalò la sua prima macchina fotografica (una Ernemann 10×15 a tendina) e, appassionato di fotografia, gli insegnò i primi rudimenti per la stampa in camera oscura – Federico proseguì la tradizione di famiglia iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza. Durante gli anni universitari ebbe modo di entrare in contatto con diversi circoli culturali milanesi, come il gruppo del caffè Craja, e di consolidare la già pronunciata passione per la pittura.
Nel 1935 prese parte alle operazioni dell’esercito italiano in Africa Orientale come ufficiale del Genio e iniziò a scattare fotografie con una Leica; alcune di queste furono pubblicate sul quotidiano milanese L’Ambrosiano. Al ritorno dall’Africa compì le sue scelte professionali e personali. Con profondo dispiacere del padre, abbandonò definitivamente la carriera di avvocato, mise in secondo piano quella di pittore e decise di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia; sposò la compagna Laura Schibler e, meno di due anni dopo, nel 1938, nacque il figlio Aldo.
Nel 1939 fece la sua prima esperienza in campo cinematografico producendo con Carlo Ponti, cofondatore insieme a lui della casa di produzione Ata, Piccolo mondo antico diretto da Mario Soldati. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, Patellani fu chiamato al fronte per la campagna di Russia e, con lo pseudonimo di Pat Monterosso, documentò con i suoi scatti la guerra operando al seguito delle Squadre Fotocinematografiche.
Determinante per la sua formazione era stato, nel 1939, l’avvio della collaborazione con il settimanale Tempo, all’epoca diretto da Alberto Mondadori, e fucina di personalità del calibro di Carlo Emilio Gadda ed Eugenio Montale. Patellani diede un contributo fondamentale allo sviluppo di questo rotocalco, tra i primi in Italia a sperimentare un nuovo tipo di fotogiornalismo, ispirato all’esperienza dell’americano Life e di altre riviste, da poco affermatesi nel panorama europeo. Per Tempo Patellani inventò i fototesti, reportage fotografici nei quali l’equilibrio tra parola e immagine era ripensato: la foto, fino allora relegata a un ruolo subalterno, diventava essenziale per veicolare il senso; il testo, a sua volta, abbandonava la consueta supremazia riducendosi spesso a didascalia, con funzione di nota rispetto all’immagine, con la quale manteneva un legame necessario.
Patellani incarnò perfettamente quello che egli stesso, in un articolo del 1943 pubblicato su Fotografia, numero speciale di Domus, definì il «giornalista nuova formula». Compito di questa nuova figura, prima ancora che scattare belle foto, doveva essere quello di informare il lettore, assumendo come riferimento il ritmo narrativo della ‘settima arte’ nella sua forma documentaria, ispirazione necessaria per provare a cogliere la vita nel suo scorrere inarrestabile, nel suo essere vibrante. «Certamente è difficile il fondere in una sola fotografia i valori documento-bellezza. Sta qui la classe del fotografo» (Patellani, 1943, p. 137).
Nell’agosto 1943 fotografò gli effetti dei bombardamenti e le macerie prodotte a Milano; e, nel 1945, quelle di Valmontone (Roma). Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 fu internato per due anni in Svizzera. Rientrato in Italia nel 1945, collaborò per un anno con il Corriere Lombardo; nel 1946 tornò nella redazione di Tempo, che aveva ripreso le pubblicazioni interrotte durante la guerra con il nome di Tempo Nuovo, garantendogli l’esclusiva fino al 1952. Con Arturo Tofanelli, nuovo direttore della rivista e Bruno Munari, art director, ideò i Documentari di Tempo, numeri speciali che riassumevano, attraverso un’attenta selezione di fotografie e articoli, i principali fatti dell’anno.
Tra i maggiori esponenti del neorealismo fotografico, raccontò con i suoi scatti un’Italia che con fatica provava a risollevarsi dopo il secondo conflitto mondiale: il referendum del 1946, le città distrutte (Cassino, Napoli, Valmontone), le industrie e gli operai (Fiat, Italsider), la cronaca, ma anche il costume (l’affermarsi dei concorsi di bellezza con Miss Italia), gli attori (Anna Magnani, Ingrid Bergman), gli artisti (Dino Buzzati, Salvatore Quasimodo, Giacomo Balla), i set cinematografici.
Nel 1950 realizzò per Tempo quattro inchieste in Sardegna: con le immagini e con i testi, e dunque facendo convergere fotografia e giornalismo, puntò alla radice dei fatti. Ritrasse i volti coperti di polvere degli operai di Carbonia, provando a rintracciare e far emergere i molti problemi legati al processo di industrializzazione che stava trasformando l’isola; raccontò l’omicidio di un possidente terriero andando oltre la banale cronaca dell’assassinio e indagando i problemi legati alla proprietà delle terre. Fotoreporter rigoroso, ma non distaccato, riuscì a tenere la giusta distanza: quella che consente di vedere bene le cose perché non si è troppo lontani per capire, né troppo vicini da perdere la nitidezza di ciò che si ha davanti agli occhi. Non cercò mai di impietosire il lettore, per questo «di Patellani ci sorprendono la semplicità, l’immediatezza, l’assenza di retorica» (Fofi, 2007, p. 13).
Spinto dal crescente desiderio di libertà nella realizzazione dei suoi progetti e da una ribellione nei confronti dell’uso decorativo che la maggior parte delle testate italiane continuava a fare della fotografia, considerata semplice nota a margine, nel 1952 scelse di diventare free-lance e di aprire l’agenzia Pat Photo Pictures. Iniziò allora a pubblicare su numerose riviste, tra le quali Epoca, Successo, Atlante, La Domenica del Corriere e La Storia illustrata, curando ogni fase, dallo scatto alla redazione dell’articolo. In questo stesso anno realizzò Italia magica, reportage fotografico sul magismo nel mezzogiorno. Nel 1953 fu aiuto regista dell’amico Alberto Lattuada sul set del film La lupa; tra il 1954 e il 1955, girò due documentari pensati per la televisione: Viaggio in Magna Grecia e Viaggio nei paesi di Ulisse.
In parallelo all’attività da free-lance cominciò progressivamente ad allargare il suo sguardo. Nel 1956 partì per il primo di una lunga serie di viaggi, dal Messico all’Ecuador, per realizzare America pagana, progetto a doppio binario sulla civiltà Maya che prese la forma di un lungometraggio in cinemascope e di diversi reportage fotografici. Nel 1957 viaggiò per tre mesi dal Congo Belga al Kenya con il figlio Aldo, che continuò a lavorare al suo fianco per i vent’anni successivi; da questo percorso insieme nacque Paradiso nero, un ampio reportage sugli Stati dell’Africa centrale. Nel 1963 visitò diverse università europee per realizzare un’inchiesta in otto puntate dal titolo Le voci dell’Europa giovane, pubblicato su Le Ore. Per molti anni lavorò in viaggio.
Allontanandosi dall’attualità cronachistica in senso stretto, continuò a ideare in prima persona i suoi servizi senza aspettare che gli fossero commissionati, e a viaggiare nei cinque continenti facendo diverse volte il giro del mondo. Nel 1976 intraprese il suo ultimo viaggio, a Ceylon. In età matura si riaccese in lui l’amore, in realtà mai sopito, per la pittura e riprese a dipingere.
Morì a Milano il 10 febbraio 1977.
Le sue foto sono state esposte all’interno di mostre personali e collettive. Tra le principali: Venticinque anni di fotografie per i giornali, Sesto San Giovanni 1965; F. P. Un fotografo tra due epoche, in Il fotogiornalismo in Italia 1945-1980, Bari 1981; F. P. Fotografie per i giornali, Milano 1995; America pagana, Milano 2009.
Tra i suoi scritti Il giornalista nuova formula, in Fotografia. Prima rassegna dell’attività fotografica in Italia, a cura di E.F. Scopinich, Milano 1943, pp. 125-137.
Fonti e Bibl.: Il suo archivio personale – composto da circa 700.000 pezzi tra stampe, negativi, diapositive e articoli, da lui stesso raccolti e classificati meticolosamente nel corso degli anni – è conservato, dal 2002, presso il Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo (Milano). Per indicazioni sulle foto e sull’omonimo fondo si veda www.lombardiabeniculturali.it/percorsi/ patellani/ e www.mufoco.org/collezioni/fondo-federico-patellani/.
F. P. I grandi fotografi, a cura di K. Bolognesi - G. Calvenzi, Milano 1983; F. P. Fotografie per i giornali, a cura di K. Bolognesi - G. Calvenzi, Tavagnacco 1995; F. P. Valmontone 1945, a cura di S. Spaziani, Valmontone 2003; F. P. Fotografie e cinema 1943-1960, a cura di K. Bolognesi - G. Calvenzi, Quaderni di AFT, Prato 2005; F. P. Un fotoreporter in Sardegna 1950-1966, a cura di G. Fofi - G. Concu, Nuoro 2007; G. D’Autilia, Storia della fotografia in Italia dal 1839 a oggi, Torino 2012, pp. 221, 225, 232, 233, 249, 275 s., 278 s., 301, 321, 377.