PESCANTINI, Federico
PESCANTINI, Federico. – Nacque a Lugo, allora nel Dipartimento del Reno della Repubblica italiana, il 30 luglio 1802 da Francesco e da Ginevra Bedeschi.
Le condizioni agiate della famiglia e un vivace ingegno gli consentirono di applicarsi con successo agli studi classici, prima nel seminario di Faenza e nel Liceo di Ferrara, poi alla scuola privata di Paolo Costa a Bologna, nella cui Università frequentò infine il corso giuridico. In quel periodo strinse amicizia con il concittadino Silvestro Gherardi, giovane docente di fisica e di meccanica nell’Ateneo bolognese. Laureatosi con lode e conseguita l’avvocatura, Pescantini, che avrebbe sempre preferito gli studi letterari all’esercizio della libera professione, entrò in contatto con l’ambiente liberale animato da personaggi come Luigi Carlo Farini e gli avvocati Francesco Orioli e Giovanni Vicini, protagonisti dei moti del 1831, ai quali lo stesso Pescantini prese parte militando nella guardia nazionale.
Dopo la reazione seguita all’intervento militare austriaco, colpito da condanna, riparò all’estero assumendo una nuova e paradigmatica identità, quella dell’esule, che lo avrebbe contraddistinto, salvo brevi parentesi, per il resto della sua esistenza. In Francia fece tappa a Marsiglia e a Mâcon, da dove, nell’agosto del 1831, fu autorizzato a trasferirsi a Parigi e a godere di un sussidio del governo francese. Dopo un soggiorno in Inghilterra, passò in Svizzera: qui insegnò letteratura italiana e trovò un ambiente accogliente, tanto da ottenere la cittadinanza elvetica e ricoprire due volte la carica di deputato al Gran Consiglio per la città di Prangins, nel distretto di Noyon, Canton Vaud.
Un breve rientro in patria gli costò l’arresto nel marzo 1832 e la permanenza nelle carceri di Ferrara. Nel periodo parigino fondò il giornale letterario L’Esule (1832-34), uno dei pochi bilingue nell’ambiente dei profughi politici, cui collaborarono esponenti di spicco provenienti dai territori delle Legazioni pontificie, come Orioli, Terenzio Mamiani, Gioacchino Pepoli e Piero Maroncelli.
Dalle pagine del suo periodico Pescantini fu protagonista, il 18 novembre 1833, di un’accorata difesa dell’onore italiano, leso dalle parole affidate da Victor Hugo al personaggio di Maria Tudor nell’omonimo dramma andato in scena in quel periodo a Parigi: «Italien, cela veut dire fourbe! […] on ne peut tirer autre chose de la poche d’un italien qu’un stylet, et de l’âme d’un italien que la trahison!» (Marie Tudor, Bruxelles 1833, pp. 125 s.). Dando voce ai già provati ambienti dell’emigrazione, Pescantini, insieme al condirettore Angelo Frignani, indirizzò una lettera aperta a Hugo, vera e propria operazione ‘mediatica’ con la quale intese combattere lo stereotipo che gravava sul popolo italiano, rivendicandone il primato culturale: «Deh non vi fate voi, innocenti poeti gli alleati dei nostri tiranni […]. Rispettate l’Italia, rispettate quel sacro e miserando avanzo di infinite grandezze, e voi poeti rispettate prima di ogni altro la terra in cui nacque e regna la poesia […]. Non ci sforzate ad odiarvi; lasciate il nostro odio intero ai tiranni» (cit. in Rignani, 1954, p. 6). Sfidato anche a duello, Hugo fece ammenda in una lettera del 10 dicembre 1833 in cui ridusse le parole pronunciate dal suo personaggio a necessità di copione e affermò la sua ammirazione per il carattere e il genio italiano. Venne così chiuso un incidente non secondario che aveva coinvolto la comunità dell’esilio, attivandola in una dolente, ma orgogliosa difesa culturale, prima ancora che politica, dal pregiudizio negativo sul carattere degli italiani.
Assiduo frequentatore dei cenacoli culturali di Ginevra, vi conobbe la giovane Janica (Johanna) Fenger, figlia di esuli russi di Riga, che diventò sua moglie nonostante il parere contrario della famiglia di lei: negli anni Trenta la coppia fu l’animatrice della Villa di Sans-Façons, vicina a quella di Giuseppe Bonaparte, facendone un crocevia di personalità dell’emigrazione italiana, tra le quali Vincenzo Gioberti, Giuseppe Mazzini, Mamiani. Negli anni Quaranta i due frequentarono anche Michail Bakunin prima della rottura causata dall’infatuazione – non ricambiata – di quest’ultimo per Janica.
In quello stesso decennio Pescantini pubblicò a Losanna alcune lettere sulla situazione politica della penisola che avrebbero avuto una notevole eco, giungendo a influenzare Gioberti, per sua stessa ammissione, nella fase di elaborazione del suo Primato. Nel 1846 l’elezione di Pio IX contribuì a rinforzare i sostenitori di un graduale riformismo e in particolare le speranze degli esuli dai territori pontifici: Pescantini fu tra coloro che colsero l’opportunità dell’amnistia concessa dal nuovo papa per rientrare in Italia. Accolto con calorose manifestazioni nella città natale, non si sottrasse all’invito di chi conosceva la sua passione per la recitazione e accettò la parte di Paolo nella Francesca da Rimini presso il locale teatro Rossini. In quell’occasione utilizzò l’intervallo della rappresentazione per lanciare un appello di intensa carica emotiva, destinato ai concittadini, ma inteso per la ben più ampia patria romagnola e italiana: «Ecco l’esule che a voi ritorna: tutto in questo momento io dimentico, le ansie, i dolori di diciotto anni di esilio e ricordo le prime gioie dei giovani anni e le speranze che mai mi abbandonarono di fati migliori per la patria nostra! […] Ecco l’Esule che a voi ritorna, accoglietelo col bacio dell’amore e giurate che se lo straniero attenterà ancora ai nostri destini i vespri Siciliani saranno vespri italiani» (cit. in Castellani, 1899, p. 11). Pescantini non era del resto nuovo a prove di sapiente mobilitazione del pubblico del melodramma. Già nel 1834, infatti, a Londra, aveva messo il suo dramma Silvio Pellico al servizio degli emigrati italiani, allestendone una rappresentazione che vedeva lui stesso nella parte del protagonista, Enrico Mayer in quella di Federico Confalonieri, Gabriele Rossetti in quella di Vincenzo Monti: l’iniziativa era stata un successo sia per la raccolta di denaro da destinare agli esuli, sia per l’impatto della loro causa presso l’aristocrazia liberale della capitale. Nel 1847, dal suo osservatorio elvetico Pescantini continuò a seguire con crescente attenzione l’evolversi della stagione riformatrice nello Stato pontificio, come testimoniano le lettere indirizzate quell’anno all’amico bolognese Giuseppe Galletti, dalle quali si può evincere che nel frattempo era divenuto padre di due figli, Ernest e Ginevra.
«Pio IX ha fatto quel che non osavamo più sperare» scriveva in luglio, «e da questa istituzione, da questa sola noi dobbiamo tutto ottenere» (cit. in Ghisalberti, 1934, p. 382). Maturò quindi la decisione di rientrare in patria per essere testimone di quella che gli appariva l’imminente svolta nelle sorti della penisola. «L’Italia è per me come un’amante infedele, è pur sempre adorata, e lo stato massimamente dei nostri paesi mi tiene in un’ansia continua. Voglio anch’io venire a lottare con Voi, o a godere dei frutti di tanti affanni», scriveva in agosto, indicando nella costruzione di un’opinione pubblica affrancata dalla stampa straniera il possibile contributo suo e degli amici: «Pio IX non poteva fare né meglio né di più, e tocca ora a noi ora fare il resto» (p. 383).
Rientrato in Italia nell’inverno 1847-48, allo scoppio della rivoluzione, fra il 25 e il 31 marzo 1848 fu uno degli organizzatori dei corpi franchi dell’Emilia e della Romagna: nell’occasione donò al battaglione di Lugo la bandiera pontificia bianca e gialla; in aprile si spostò a Venezia in qualità di commissario di guerra pontificio, inviato dal generale Giovanni Durando presso il governo provvisorio della Repubblica veneta, prendendo poi parte ai combattimenti di Vicenza del 9 e 10 giugno. Di fronte alla crisi militare dell’estate 1848 la fiducia nella politica di Pio IX fu in lui messa alla prova da un crescente pragmatismo: «Pio nostro deve esser grande, e rispettato, deve terminare l’opera incominciata, e Noi nulla potremo senza di Lui. Ma egli non vuol guerra, e senza guerra, si risponderà, come avremo un’Italia?» (p. 385). Deputato all’Assemblea costituente romana all’inizio del 1849, ricevette il delicato incarico di recarsi a Parigi e a Londra per ottenere un prestito, comprare armi e guadagnare alla causa della Repubblica gli ambienti politici delle due capitali. Il 25 aprile 1849 fu protagonista di un’altra missione, a Civitavecchia, presso il generale Nicolas-Charles-Victor Oudinot, per protestare contro l’invasione del territorio romano da parte delle truppe francesi.
Dopo la sconfitta di Novara e la caduta di Roma e Venezia, la via dell’esilio fu nuovamente una scelta obbligata: tornato in Svizzera, ripiegò sugli studi letterari, continuando a difendere con immutata passione l’onore degli emigrati italiani, come dimostrò la polemica intrattenuta nel 1851 con il sindaco di Prangins, che aveva liquidato gli esuli dalla penisola come coloro che «hanno abbandonata la loro patria dopo averne compromesso il riposo e la felicità» (cit. in Castellani, 1899, p. 14).
Morta nel 1856 la consorte, che nel frattempo era tornata a Riga con i figli e con la quale i rapporti si erano incrinati, viaggiò in Europa e frequentò la classe dirigente piemontese, maturando, dopo la metà degli anni Cinquanta, similmente ad altri esponenti dell’élite liberale emiliana e romagnola, un orientamento filosabaudo: con ogni probabilità fu il progetto della Società nazionale a conquistarlo definitivamente, in linea con la visione pragmatica generata in lui dal fallimento del 1848 rivoluzionario e tale da porlo in profondo, ma sempre amichevole, contrasto con Mazzini.
Dopo l’unificazione, nel 1862 il ministro dell’Istruzione pubblica Carlo Matteucci, conosciuto nel 1830 a Bologna e ritrovato poi a Parigi ai tempi dell’Esule, volle conferirgli la croce dell’Ordine mauriziano per i suoi meriti letterari, onorificenza che Pescantini accettò senza tuttavia farne mai sfoggio. Molto attivo come docente di letteratura italiana in varie località della Svizzera, anche quando la salute ormai declinava, Pescantini agì a tutti gli effetti come mediatore e passeur culturale, in questo valorizzando al massimo le risorse tipiche delle reti dell’esilio nell’Ottocento.
Colpito da paralisi, morì il 9 gennaio 1875 nella sua dimora a Promentheux, vicino a Prangins, sul Lago di Losanna.
L’amico dei tempi universitari e costante corrispondente, Silvestro Gherardi, autore di un commosso necrologio, si impegnò a raccoglierne gli scritti, ma non riuscì a portare a termine il suo progetto: la produzione letteraria e politica di Pescantini – opuscoli, testi teatrali, articoli di giornali, componimenti occasionali ‒ resta pertanto sparsa in diverse sedi editoriali, così come distribuiti in diversi fondi archivistici risultano lettere e autografi.
Opere. Intorno all’arte comica, lettera al Cav. Pietro Tosini, Bologna 1827; La notte del 4 febbraro 1831 in Bologna, Bologna [1831]; L’Exilé. Journal de littérature italienne ancienne et moderne, a cura di G. Cannonieri - A. Frignani - F. Pescantini, Paris 1832-34; Silvio Pellico. Trattenimento drammatico e musicale, dato a benefizio dei rifugiati italiani la sera dell’11 luglio 1834, Londra 1834; Lettres sur l’Italie, Lausanne 1840; Le Panthéon des grands écrivains des temps modernes, depuis le XIII siècle jusqu’à nos jours, par F. P. et L. Delâtre, Paris 1842; L’artist et l’art dans leurs effets civilisateurs, Nyon 1844; Lettre addressée au ministre des affaires étrangères pour solliciter l’appui de la France en faveur de l’Italie, par V. Pasini, F. P., P. Beltrami, L. Frapolli, Paris 1849; Aux soeurs Ferni ces deux hommages litteraires en latin et en italien, l’anicenne et la moderne langue de leur patrie, Génève 1854; Aux grands écrivains de temps modernes, Paris 1857.
Fonti e Bibl.: Mâcon, Archives départementales de Saône-et-Loire, M 1782 e 1778 (matricola di rifugiato italiano e altri documenti); Lugo, Biblioteca comunale Fabrizio Trisi, Fondo Silvestro Gherardi, I, XIV.B, b. 43 nn. 2905-2909, (lettere a Gherardi da Ginevra, 24 ottobre 1848; Noyon, 7 maggio 1852; Ginevra, 21 giugno 1852; Nyon, 17 settembre 1854; Nyon, 11 luglio 1870); Forlì, Biblioteca comunale, Fondo Piancastelli, Carte Romagna, b. 618 (ventisei lettere a Pescantini e sue a diversi destinatari; vari documenti a stampa fra cui sonetti, carte relative ai fatti del 1849, credenziali relative alla missione svolta come inviato presso il governo francese nel febbraio-marzo 1849); Ravenna, Biblioteca Classense: lettere e dispacci inviati nel 1849 in relazione alla missione a Parigi; Roma, Museo centrale del Risorgimento, F.064, FO.55, FO.39 (lettere e documenti 1847-1851 relativi all’attività di commissario pontificio nel Veneto e di inviato a Parigi della Repubblica Romana); S. Gherardi, Necrologio, in Rivista Europea, marzo 1875, pp. 198-200; D. Giuriati, Duecento lettere di Giuseppe Mazzini, Torino 1887, ad ind.; L. Rava, F. P., in Il Corriere di Romagna, 20 aprile 1898; S. Castellani, F. P.: lettura nel Circolo costituzionale lughese il 1° giorno del 1899, Lugo 1899; G. Mazzini, Scritti editi e inediti, XIX, Imola 1928, p. 293; XXXIII, Imola 1933, pp. 88 s.; N. Tommaseo - G. Capponi, Carteggio inedito dal 1833 al 1874, II, Bologna 1914, pp. 567 s.
A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848. Memorie, II, Firenze 1880, p. 313; L. Rava, La sfida degli esuli romagnoli a Victor Hugo, in Nuova Antologia, marzo 1902, pp. 313-324; Id., Le ‘Lettres sur l’Italie’ di F. P. (1802-1875), in Italia!, I (1912), 1, pp. 34-37; Id., Ancora le ‘Lettres d’Italie’ (P., Bungener e Sismondi), ibid., I (1912), 19, pp. 180-183; P. Silva, Intorno all’azione dei rifugiati italiani in Francia durante il 1831, in Rassegna storica del Risorgimento, I (1914), 2, p. 230; R. Manzoni, Gli esuli italiani nella Svizzera, Lugano 1922, p. 47; G. Toni, F. P., in Corriere lughese, 12 settembre 1926; Id., F. P., in Corriere padano, 8 settembre 1927; G.D. Leoni, Un patriota del ’53: Francesco Pigozzi, in Rassegna storica del Risorgimento, XVII (1930), 4, p. 103; M. Menghini, Lodovico Frapolli e le sue missioni diplomatiche a Parigi (1848-1849), Firenze 1930, pp. 22, 39, 41, 45-49, 55, 66 s., 83, 90, 92, 99, 104, 108, 134, 144, 146; M. Rosi, Dizionario del Risorgimento nazionale, III, Le persone, Milano 1933, ad vocem; A.M. Ghisalberti, Lettere inedite di Federico Pescantini, in Rassegna storica del Risorgimento, XXI (1934), 2, pp. 381-385; G. Ferretti, La naturalizzazione di F. P., in Archivio storico della Svizzera italiana, (XV) 1940, pp. 148-150; N. Novi, F. P., tesi di laurea, relatore G. Natali, Università degli Studi di Bologna, a.a. 1941-42; P. Rignani, La sfida di Federico Pescantini a Victor Hugo, in Lugo nostra, II (1954), 1, pp. 5-7; M.L. Belleli, Voci italiane da Parigi. ‘L’Esule - L’Exilé’ (1832-1834), Torino 2002, ad ind.; La Bassa Romagna nel Risorgimento (1815-1870). Patrioti e combattenti per l’indipendenza e l’Unità d’Italia di Lugo, Alfonsine, Bagnacavallo, Bagnara, Conselice, Cotignola, Fusignano, Massa-lombarda e Sant’Agata sul Santerno, a cura di N. Cani - A. Curzi, Faenza 2011, ad vocem (con ampia bibliografia).