FEDERICO
Sassone di nazione, appare in varie riprese, negli anni attorno al 1000, fra i più intimi collaboratori dell'imperatore Ottone III. Nell'aprile del 1001 viene ricordato, con la qualifica di "presbiter sanctae Romane Ecclesie cardinalis", fra i partecipanti al placito tenutosi presso il chiostro della basilica di S. Apollinare in Classe per la solenne restituzione dell'abbazia di Pomposa alla Chiesa di Ravenna. Nel giugno successivo presiedette, in qualità di legato apostolico, il sinodo di Pöhlde indetto per dirimere la lite insorta fra Bernardo, vescovo di Hildesheim, e Willigis, arcivescovo di Magonza, per il controllo del monastero di Gandersheim. Nell'autunno dello stesso anno fu eletto arcivescovo di Ravenna grazie all'appoggio del sovrano sassone. Non si conosce con precisione la data della sua ordinazione episcopale: egli appare per la prima volta come arcivescovo della città adriatica in una notifica imperiale datata 22 nov. 1001. Il 27 dicembre, inoltre, fu presente come "metropolitanus Ecclesiae Ravennatensis" al II concilio di Todi.
Dopo la prematura morte di ottone III (23 genn. 1002), fu uno dei principali fautori del tentativo di mantenere l'Italia nell'orbita sassone. Durante i torbidi provocati dalla improvvisa scomparsa del sovrano, con i suoi suffraganei, F. fu infatti fra coloro che non riconobbero l'elezione a re d'Italia di Arduino di Ivrea (15 febbr. 1002). Alla calata di ottone di Carinzia, rappresentante di Enrico II frattanto eletto imperatore a Magonza, insieme con il marchese Tebaldo di Canossa F. fu a capo delle truppe feudali che attesero sul Po le milizie germaniche. E quando, nel 1004, Enrico II scese in Italia per prendere definitivamente la corona imperiale e il potere, il presule lo raggiunse con i suoi armati a Brescia. Morì nel mese di giugno dello stesso anno.
Con l'episcopato di F. fu portato a termine il progetto di feudalizzazione della Chiesa ravennate auspicato da ottone III. Già i predecessori immediati di F., Giovanni, Gerberto e Leone, erano riusciti a raggiungere, in varie riprese, il controllo sulle diocesi loro suffraganee e sui monasteri della vasta regione ecclesiastica da essi governata, nonché sulle prerogative e sui benefici a questi ultimi connessi. Il tutto venne meglio definito nel mese di novembre del 1001, quando F., da poco innalzato alla cattedra patriarcale, ricevette, in cambio della cessione del monastero di Pomposa all'imperatore, il controllo sul vasto "districtus" così venutosi a formare (notifica imperiale del 22 nov. 1001). A pochi giorni di distanza da questa concessione, il 12 dicembre, veniva inoltre confermata, su istanza del presule, la giurisdizione della sede di Ravenna gui monasteri istriani di S. Maria di Pola e S. Andrea dell'Isola Serra. Si era attuato così, col favore dei pontefici Gregorio V e Silvestro II, l'uno cugino, l'altro amico ed intimo collaboratore del sovrano, il disegno politico di Ottone III rivolto da un lato ad annullare ogni qualsiasi futura ingerenza da parte della Sede apostolica sui territori già appartenuti all'antico Esarcato (territori la cui restituzione al pontefice, come è noto, era stata formalmente promessa da Ottone I in occasione della sua incoronazione imperiale nel 962), dall'altro ad istituire, col favore di vescovi alleati, un solido controllo politico-religioso sulla fascia costiera altoadriatica, finalizzato a creare una stabile base di appoggio sul confine orientale dell'Impero in vista di una futura penetrazione in area slava (Uhlirz, Adriaraum). Va comunque notato, a tale riguardo, che Ravenna, con F., non divenne sede di un "comitatus", ma solo di un "districtus" (Fasoli), e che di tale "districtus" gli arcivescovi della città adriatica conseguirono nella persona di F. il potere temporale "in perpetuum".
Più complesso è ricostruire il rapporto intercorso fra il presule e gli istituti monastici sottoposti alla sua giurisdizione metropolitica. Per quanto riguarda la città di Ravenna, si conosce infatti un solo intervento di F. nei confronti di un ente religioso: quello in favore del monastero di S. Andrea Maggiore, che, già sotto la imperiale protezione il 7 genn. 1001, ricevette da lui il 1º maggio 1002 un solenne praeceptum con il quale si dava stabilità alla congregazione di monaci ivi residenti e si elargivano numerosi beni all'abate Orso ed ai suoi confratelli. Nel mese di aprile dell'anno successivo F. concesse alcuni beni immobili a Pietro, abate del monastero di S. Maria di Urano in Bertinoro (Forlì), nel quale nel 976 era stata introdotta, per iniziativa dell'arcivescovo di Ravenna Onesto, la regola monastica benedettina.
L'attuazione dell'ambizioso progetto di rinnovamento teorizzato da ottone III e fedelmente portato avanti, malgrado la prematura morte del sovrano sassone, da F., fu troncata dalla improvvisa scomparsa di quest'ultimo, avvenuta a breve distanza di tempo.
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