ENRIQUES, Federigo
Nacque a Livorno il 5 genn. 1871 da Giacomo e da Matilde Coriat.
La famiglia si trasferi a Pisa, dove egli frequentò le scuole secondarie. Già qui manifestò la sua attrazione per la matematica: come ebbe più tardi a sottolineare, questa attrazione non fu causata da una propensione per questioni di ordine tecnico, quanto provocata da "un'infezione filosofica liceale". Segui gli studi di matematiche presso l'università e poi la Scuola normale superiore di Pisa, dove ebbe come maestri grandi matematici come E. Betti, U. Dini, L. Bianchi, V. Volterra e R. De Paolis.
Laureatosi brillantemente nel 1891, dopo un anno di perfezionamento a Pisa, venne a Roma nel novembre del 1892 per seguire il corso di L. Cremona, sempre come studente di perfezionamento. Qui ebbe inizio il lungo sodalizio di lavoro con Guido Castelnuovo, di sei anni più anziano, e anche la profonda amicizia che si trasformò in parentela (Castelnuovo sposò una sorella dell'Enriques). Alla fine dell'anno accademico 1892-93, periodo fertilissimo per lo sviluppo delle sue ricerche scientifiche, trascorse alcuni mesi a Torino per seguire l'insegnamento di C. Segre. Il grande valore dei suoi primi lavori era stato ormai unanimemente riconosciuto e cosi l'E. nel gennaio del 1894 ebbe l'incarico di geometria proiettiva e descrittiva presso l'università di Bologna. Nel 1896, in seguito a concorso, fu nominato professore della stessa materia in quella università.
A Bologna sposò Luisa Miranda Coen, figlia di Achille, professore di storia presso l'università di Firenze, e trascorse in quella città ventotto anni, fino al 1922. In questo periodo, che fu il più felice e fertile della sua vita, si concentrano i suoi contributi più elevati ed importanti sia sul terreno matematico che filosofico. Durante la permanenza a Bologna fu presidente della Società filosofica italiana dal 1907 al 1913 e in tale veste organizzò e presiedette il IV congresso internazionale di filosofia che si tenne in quella città nel 1911. Dal 1913 al 1915 fu presidente dell'Associazione nazionale tra i professori universitari e formulò un progetto per la riforma dell'università italiana. Fu collaboratore dell'Enciclopedia Italiana, in qualità di direttore della sezione di matematica.
All'inizio del 1922 accettò l'offerta di ricoprire la cattedra di matematiche superiori dell'università di Roma e poi la cattedra di geometria superiore. Nell'ambiente universitario di Roma, più vasto e meno raccolto, non ritrovò la stessa facilità a stabilire quegli scambi diretti di idee e quei contatti interdisciplinari che erano cosi consoni al suo carattere ed alla sua mentalità scientifico-filosofica. Tuttavia, anche a Roma egli lasciò importanti tracce della sua multiforme e instancabile attività, in particolare nella fondazione dell'Istituto nazionale per la storia delle scienze presso l'università di Roma, di cui fu presidente e nell'ambito delle cui attività organizzò una Scuola di storia delle scienze. A partire dal 1922 fino alla morte fu direttore del Periodico di matematiche, rivolto agli insegnanti delle scuole secondarie e che rinnovò radicalmente elevandone il livello; ed a partire dallo stesso anno, per dodici anni fu presidente della Società italiana di scienze fisiche e matematiche "Mathesis".
Dal 1938 al 1944 fu sospeso dall'insegnamento per le leggi razziali antiebraiche. Nel 1944 gli fu restituita la cattedra universitaria. Tuttavia era ormai stanco e sofferente per un'affezione cardiaca. Mori il 14 giugno 1946 a Roma.
Ebbe moltissimi premi e riconoscimenti, fra i quali il premio per la matematica della Società italiana delle scienze detta dei XL (1896) e, nel 1907, insieme con T. Levi-Civita. ricevette il premio reale dell'Accademia dei Lincei. Oltre che di queste accademie, fu socio delle Accademie di Copenaghen, di Sassonia, di Madrid, di Buenos Aires, della Società reale di Liegi, della Società matematica di Kazan. Gli fu conferita la laurea honoris causa dalle università di St. Andrews in Scozia, Liegi, Buenos Aires, Montevideo e dei Cile e, nel 1907, gli fu conferito il premio Bordin dell'Accademia delle scienze di Parigi per una memoria sulle superficie iperellittiche scritta in collaborazione con Francesco Severi. Per la sua opera filosofica fu nominato, nel 1937, socio corrispondente dell'Académie des sciences morales et politiques dell'Institut de France.
L'E. manifestò presto le sue capacità matematiche e la sua inclinazione per le ricerche geometriche con un lavoro scritto ancor prima di laurearsi e concernente questioni di geometria proiettiva iperspaziale (Alcune proprietà dei fasci di omografie negli spazi lineari ad n dimensioni, in Rend. d. Acc. dei Lincei, cl. di sc. fis., mat. e nat., s. 4, VI (1890), 2, pp. 63-70). Tuttavia, come si e detto, fu il periodo trascorso a Roma nel 1892-93 come studente di perfezionamento per seguire i corsi di L. Cremona quello decisivo per orientare la sua formazione scientifica. Come ricordò G. Castelnuovo, egli era attratto dal nuovo indirizzo di geometria algebrica promosso da C. Segre, pur non avendo ancora definitivamente fissato l'indirizzo delle sue futuie ricerche. Le lezioni del Cremona tuttavia lo delusero ed egli fu respinto dagli eccessi "puristi" del maestro della scuola geometrica italiana. Decisivo fu invece l'incontro con G. Castelnuovo, allora già professore nell'ateneo romano, che cosi descrive il carattere e il modo di pensare dell'E.: "Stavo per suggerirgli la lettura di libri e memorie ma mi accorsi subito che … Federigo Enriques era un mediocre lettore. Nella pagina che aveva sotto gli occhi egli non vedeva ciò che era scritto, ma quel che la sua mente vi proiettava. Adottai quindi un altro metodo: la conversazione. Non già la conversazione davanti a un tavolo col foglio e la penna, ma la conversazione peripatetica. Cominciarono allora quelle interminabili passeggiate per le vie di Roma, durante le quali la geometria algebrica fu il tema preferito dei nostri discorsi. Assimilate in breve tempo le conquiste della scuola italiana nel campo delle curve algebriche, l'Enriques si accinse arditamente a trattare la geometria sopra una superficie algebrica. Egli mi teneva quotidianamente al corrente dei progressi delle sue ricerche, che io sottoponevo ad una critica severa. Non è esagerato affermare che in quelle conversazioni fu costruita la teoria delle superficie algebriche secondo l'indirizzo italiano" (cfr. Period. di matem., 1947, pp. 81 s.).
Qeste parole mettono bene in luce l'accentuatissima propensione personale dell'E. ad affrontare i Problemi in modo intuitivo e persino approssimativo, il fastidio per lo studio metodico e pedante. E, in secondo luogo, il ruolo che ebbe nella sua formazione il pensiero geometrico, che diede corpo di prassi scientifica e sistema epistemologico alle sue naturali inclinazioni. Un passaggio di una famosa conferenza del 1928 dei Castelnuovo (La geometria algebrica e la scuola italiana, in Atti del Congresso internazionale dei matematici (Bologna 3-10 sett. 1928), I, Bologna 1929, pp. 191-201) getta ulteriore luce sia sull'approccio profondamente intuitivo seguito dall'E. nell'affrontare questioni di matematica, sia sul metodo seguito dai due scienziati nell'affrontare i temi oggetto del primo periodo di ricerche che ha inizio nel 1892. Scrive Castelnuovo: "Avevamo costruito, in senso astratto s'intende, un gran numero di modelli di superficie del nostro spazio o di spazi superiori; e questi modelli avevamo distribuito, per dir cosi, in due vetrine. Una conteneva le superficie regolari per le quali tutto procedeva come nel migliore dei mondi possibili; l'análogia permetteva di trasportare ad esse le proprietà più salienti delle curve piane. Ma quando cercavamo di verificare queste proprietà sulle superficie dell'altra vetrina, le irregolari, cominciavano i guai e si presentavano eccezioni di ogni specie. Alla fine lo studio assiduo dei nostri modelli ci aveva condotto a divinare alcune proprietà che dovevano sussistere, con modificazioni opportune, per le superficie di ambedue le vetrine; mettevamo poi a cimento queste proprietà con la costruzione di nuovi modelli. Se resistevano alla prova, ne cercavamo, ultima fase, la giustificazione logica. Col detto procedimento, che assomiglia a quello tenuto nelle scienze sperimentali, siamo riusciti a stabilire alcuni caratteri distintivi tra le famiglie di superficie" (ibid., p. 194).
Le ricerche dell'E. sulla teoria delle superficie possono dividersi in due gruppi, di cui il primo tratta della teoria generaledella geometria sopra una superficie algebrica e della determinazione degli invarianti per trasformazioni birazionali, mentre il secondo concerne i problemi di classificazione delle superficie ed in particolare delle superficie dei primi generi. Èsul primo gruppo di temi che presero le mosse le prime ricerche giovanili.
Nell'affrontare i problemi della geometria sopra una superficie e lo studio delle proprietà invarianti per trasformazioni birazionali erano disponibili pochi strumenti e risultati già acquisiti: fra i pochi contributi sull'argomento spiccava una memoria di M. Noether, importante ma alquanto oscura. In pochi mesi, dal gennaio al giugno del 1893, l'E. scrisse una memoria nella quale era stabilito un pilastro della teoria, e cioè la teoria generale dei sistemi lineari di curve sopra le superficie algebriche, che consente di costruire gran parte della geometria sopra le superficie. Questa memoria (Ricerche di geometria sulle superficie algebriche, in Mem. d. Acc. d. scienze di Torino, s. 2, XLIV [1893], pp. 171-232) fu riveduta in alcune parti che presentavano imperfezioni e ripubblicata in una seconda versione nel 1896 (Introduzione alla geometria sopra le superficie algebriche, in Memorie della Società dei XL, s. 3, X [1896], pp. 1-81), che si presenta sotto l'aspetto di una vera e propria teoria generale, un aspetto che, come ebbe a dire Castelnuovo, "è rimasto ormai nella scienza". Una terza trattazione ancor più compiuta venne pubblicata nel 1901 (Intornoai fondamenti della geometria sulle superficie algebriche, in Mem. d. Acc. d. scienze di Torino, s. 2, LII [1901], pp. 19-40).
L'E. introduceva delle operazioni algebriche fra i sistemi lineari completi e definiva mediante una relazione funzionale un'operazione, la quale permetteva di passare da un sistema lineare ad un altro, detto sistema aggiunto. Mostrò quindi che il residuo di un sistema lineare rispetto al sistema aggiunto non dipende dal sistema di partenza ed ha carattere invariante rispetto alle trasformazioni birazionali della superficie in un'altra: questo residuo viene detto sistema canonico. Dall'esame del sistema canonico e delle relazioni fra un sistema e il proprio aggiunto l'E. ricavò dei caratteri numerici invarianti detti generi: il genere geometrico pg, il genere aritmetico pa, ilgenere lineare e i plurigeneri. Tre di questi caratteri erano noti al Noether, il quale riteneva che i primi due dovessero coincidere, mentre l'E. mostrò che cosi non è e che i caratteri invarianti essenziali di una superficie sono molto più numerosi.
Non è qui possibile riassumere i numerosissimi risultati originali ed importanti ottenuti dall'E. nel filone da lui iniziato insieme col Castelnuovo, i quali sono raccolti in più di cinquanta lavori. Ci limiteremo, a ricordare la sua osservazione che i sistemi continui completi di curve algebriche, non contenuti in sistemi lineari di curve dello stesso ordine, sopra una superficie irregolare, hanno la serie caratteristica completa e la conseguente determinazione della dimensione di questi sistemi continui in relazione all'irregolarità della superficie; nonché la caratterizzazione di una curva piana Φ che sia di diramazione per una funzione algebrica z(x, y) di due variabili complesse. Altri fondamentali contributi dell'E. sono legati allo studio delle varietà algebriche di dimensione superiore a 2.
Va ricordata, in questo ambito, la scoperta delle varietà unirazionali e precisamente la dimostrazione che, data un'ipersuperficie algebrica f(x1, x2,…, xn) = 0 di dimensione maggiore di 2, se le coordinate omogenee di un suo punto sono esprimibili per mezzo di funzioni razionali non invertibili di certi parametri, non è possibile ottenere, in generale, una risoluzione dell'equazione f(xi, x2,..., xn) = 0 mediante funzioni razionali invertibili. Ed inoltre l'identificazione (in collaborazione con Castelnuovo) del numero di integrali semplici di prima specie linearmente indipendenti su una varietà algebrica non singolare di dimensione maggiore di 2, con l'irregolarità di superficie appartenenti alla varietà stessa.
Il primo periodo di collaborazione con il Castelnuovo ed il conseguimento dei primi risultati fondamentali consentirono all'E. di formulare un progetto sistematico di ricerche non solo nel campo della teoria della geometria su una superficie, di cui si è detto, ma anche e soprattutto sul tema della classificazione delle superficie in relazione ai valori dei generi. Quest'argomento anzi lo occupò intensamente per tutta la sua vita. La metodologia seguita in questo ambito rivela ancora una volta la visione profondamente intuitiva e quasi empiristica -con la quale l'E. considerava e studiava gli enti matematici. Cosi egli scriveva nel suo volume sulle superficie algebriche, pubblicato postumo (Le superficie algebriche, Bologna 1949): "Il lettore che abbia seguito gli sviluppi di questo trattato … può averne ritratto l'impressione che l'autore abbia dato troppo posto ad esempi e casi particolari, lasciandosi in qualche modo guidare dal sentimento di curiosità del naturalista che raccoglie in un museo i più diversi tipi di animali, di piante e di minerali. Ma come il museo riesce a dare un'idea della ricchezza di forme della vita e conduce quindi a problemi generali della biologia, anche la raccolta di esempi, in questo campo delle matematiche, assume un significato essenziale sotto l'aspetto euristico o storico-costruttivo della scienza" (p. I). Sull'analogia fra lo spirito di classificazione naturale e la mentalità con la quale l'E. affrontava il problema della classificazione delle superficie secondo i generi, iniziando dai generi più bassi, il Castelnuovo, nella sua commemorazione (p. 83), ebbe a osservare: "L'analogia porterebbe a pensare alla classificazione che fanno i naturalisti degli animali e delle piante, partendo dagli organismi più semplici. Ma perché la analogia tornasse, bisognerebbe immaginare un naturalista che, chiuso nel suo studio, indagasse, dal punto di vista teorico, quali tipi di organismi siano compatibili con le leggi della morfologia e della fisiologia, e poi ricercasse quali tra questi si incontrino effettivamente in natura". Un altro aspetto della metodologia intuitiva seguita dall'E. negli studi volti alla classificazione delle superficie algebriche consisteva nell'uso sistematico del principio di continuità, mediante il quale egli trasportava le proprietà di un ente ad enti ad esso prossimi e poi a tutti quelli appartenenti col primo al medesimo sistema continuo.
Le ricerche dell'E. nell'ambito del problema della classificazione delle superficie algebriche sono raccolte in una quindicina di lavori cui va aggiunta la già citata memoria sulle superficie iperellittiche, in collaborazione col Severi, che fu insignita del premio Bordin (Mémoire sur les surfaces hyperelliptiques, in Acta mathematica, XXXII [1909], pp. 283-392; XXXIII [1910], pp. 321-403). La classificazione dell'E. distingue quattro famiglie di superficie definite col valore del plurigenere di ordine 12, P12, e del genere lineare assoluto p(1). E precisamente: le superficie razionali o riferibili a rigate, per cui si ha P12 = 0; le superficie prive di curve eccezionali con curva canonica virtuale di ordine zero, per le quali P12 = 1, p(1) = 1; le superficie aventi curve canoniche o pluricanoniche composte con le curve ellittiche di un fascio di genere pg-pd, per cui P12 > 1, p(1) = 1, e infine, le superficie per cui si ha P12 > 1 e p(1) = 1. Le ricerche dell'E. in questo campo, trascurate per qualche tempo, anche per l'incerto valore dei risultati, dovuto al carattere intuitivo delle dimostrazioni, sono state pienamente rivalutate in anni più recenti in particolare dalla scuola geometrica sovietica facente capo a I. R. Šafarevič.
Il complesso delle opere fin qui descritte rappresenta pertanto, per il valore dei risultati e la peculiarità dei metodi, un poderoso ed originalissimo contributo che venne circondato da una vastissima fama, a tal punto che si introdusse nel linguaggio comune, con riferimento all'indirizzo di ricerca inaugurato dall'E. e dal Castelnuovo, la denominazione di "scuola italiana di geometria algebrica".
Nell'ampia trattatistica dell'E. concernente i temi attorno ai quali si svilupparono le sue ricerche geometriche, va ricordato il monumentale manuale redatto in collaborazione con O. Chisini (Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, 4 voll., Bologna 1915-34), che si caratterizza non soltanto per l'ampiezza dei temi ma anche per l'inconfondibile stile improntato a chiarezza e espressività intuitiva.
Le ricerche dell'E. nel campo della geometria non si esaurirono tuttavia nei temi sopramenzionati. Va ricordato in particolare il suo interesse per le questioni dei fondamenti della geometria, nato durante i primi anni di insegnamento a Bologna. Da questo interesse nacque e maturò la sua fondamentale tesi secondo cui, nel fondare la geometria, accanto al criterio logico di indipendenza e compatibilità dei postulati, occorre tener conto del criterio psicologico, che porta ad indagare le sensazioni e le esperienze che hanno condotto a formulare quei postulati. Troviamo pertanto qui la radice di quello sviluppo teorico che può ben definirsi la filosofia della scienza psicologistica dell'E. e che lo portò anche ad interessarsi ai problemi dell'apprendimento della matematica. Lo affascinarono in particolare le iniziative prese a Gottinga da F. Klein, con l'organizzazione di corsi rivolti agli insegnanti secondari. Cosi l'E. iniziò a pubblicare una serie di monografie volte ad esaminare vari problemi di geometria elementare da un punto di vista superiore. A questa attività associò diversi discepoli e colleghi e ne scaturi un volume divenuto famoso (per la prima volta pubblicato a Bologna nel 1900, poi riedito varie volte, fino all'edizione finale in 4 volumi) che riguarda i principi della geometria e dell'algebra elementari visti alla luce dei punti di vista più elevati della ricerca matematica: Questioni riguardanti le matematiche elementari. Le attività dell'E. in questo campo destarono l'interesse del Klein che lo invitò a contribuire all'enciclopedia tedesca delle matematiche da lui curata con un articolo sui principi della geometria (Prinzipien der Geometrie, in Encycl. d. math. Wiss., III, 1, Leipzig 1907, pp. 1-129).
Giungiamo cosi ad un altro e non secondario dominio di attività dell'E., quello concernente le questioni di filosofia e storia della matematica e della scienza, che lo impegnarono appassionatamente nel corso di tutta la sua vita, dando luogo a molti volumi ed articoli (molti dei quali pubblicati sulla Rivista di scienza, poi Scientia, che lo ebbe fra i principali collaboratori) e in un'attività che, per un certo periodo, si esercitò nell'ambito della Società filosofica italiana. A difatti del 1906 il primo e forse più importante contributo dell'E. a quest'ordine di temi, e cioè il volume Problemi della scienza (Bologna), nel quale si esprimono tutte le sue idee di filosofia della scienza e metodologia della ricerca scientifica, intimamente legate con la sua esperienza di ricercatore. Ad esso ne seguirono altri, fra cui ricordiamo: Le matematiche nella storia e nella cultura (Bologna 1938) e La théorie de la connaissance scientifique de Kant à nos jours (Paris 1938), pubblicato in francese nell'anno in cui le leggi razziali avevano allontanato l'E. dall'università e da ogni attività pubblica.
Si è detto come per l'E. la forma dell'acquisizione psicologica dei concetti scientifici sia altrettanto importante della loro verifica formale, in quanto i concetti scientifici sarebbero determinati dalla via psicologica della loro acquisizione. Il lato formale è quindi un aspetto, e neppure il più importante, del processo di formazione di una teoria scientifica. La psicogenesi dei concetti scientifici è, al contrario, fondamentale. Per l'E., fra i vari procedimenti mentali, "se ne distinguono alcuni, in cui vengono volontariamente soddisfatte certe condizioni di coerenza, i quali si denominano appunto procedimenti logici. In questo senso la logica può riguardarsi come una parte della psicologia". Si comprende come, in questa ottica, un'importanza speciale venga attribuita alla storia della scienza, in quanto ausilio alla ricostruzione della genesi delle teorie scientifiche.
La costante più importante del pensiero dell'E. è il riferimento ad un approccio di tipo sintetico e unitario e il conseguente rifiuto di ogni forma di dualismo. Significativa al riguardo è l'interpretazione che lo stesso E. dà dell'appellativo di "positivismo critico" con cui egli denomina il suo sistema di pensiero. Egli non si nasconde "le profonde differenze" che dividono il suo pensiero da quelle correnti "che corrono sotto il nome di positivismo critico", ma denomina il suo pensiero positivo e critico al tempo stesso, perché vuole reinterpretare quelle correnti "in modo più chiaro e scientifico" e "conciliar[le] senza transazioni eclettiche" (in Problemi della scienza, p. V). Rifiuto quindi della contrapposizione fra positivismo e kantismo e fra soggettivismo e oggettivismo, contrapposizioni che possono essere superate entro un approccio psicologistico. Tuttavia l'E. fra i due poli tende a privilegiare quello soggettivistico.
Emblematica è l'ostilità che l'E. nutriva nei confronti dell'ideale "antistorico" del riduzionismo fisico-matematico classico, nel suo esasperato e dogmatico oggettivismo che nega ogni ruolo all'"attività dello spirito": come "l'ideale matematico di Laplace, che aspira a vedere rappresentata l'intera realtà sub specie aeternitatis nelle equazioni dell'Universo, da cui, superando le difficoltà d'integrazione, si ricaverebbe la previsione di ogni evento particolare" (cfr. Importanza della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale, in Scientia, LXIII [1938], p. 131). Alla critica del riduzionismo l'E. aggiunge una rivalutazione del ruolo della metafisica. In definitiva, il tratto fondamentale del pensiero dell'E. è l'adesione ad un punto di vista sintetico e qualitativo - accompagnata da una polemica contro il "dogmatismo" dell'approccio analitico, quantitativo e oggettivistico - e la proposizione dell'analisi psicologica della genesi dei concetti scientifici come una via per rivitalizzare l'empirismo sconfitto dal criticismo kantiano.
Uno dei rimproveri principali che l'E. muove alla scienza ottocentesca è di aver ostentato - soprattutto sotto l'influenza del positivismo - un rifiuto dei problemi posti dalla metafisica, che ha condotto ad una vera e propria forma di pusillanimità del pensiero. Non vi sono, secondo l'E., problemi insolubili, vi sono soltanto problemi che non sono stati ancora formulati nel modo corretto; non vi è una realtà necessariamente "inconoscibile" (e sotto questo profilo la critica si rivolge anche contro Kant), ma una serie infinita di oggetti tutti accessibili al pensiero scientifico. Il carattere infinito di questa serie, e l'inestinguibilità della conoscenza in un tempo finito, crea la falsa illusione dell'inconoscibilità della realtà. Un altro aspetto della critica antidualistica dell'E. è pertanto la critica dell'opposizione fra "assoluto" e "relativo". L'assoluto, per l'E., è un limite che perseguiamo senza riuscire a raggiungerlo e quindi non può essere contrapposto all'acquisizione relativa della conoscenza. La scienza mira a un "assoluto": ma il conseguimento di "un'obiettività sempre maggiore" può farsi soltanto spingendo ad un livello sempre più alto la soggettività delle rappresentazioni, cioè perfezionando il sistema di immagini e di associazioni mentali che sono "il modo di conquista" con cui la scienza avanza. "In ultima analisi - osserva l'E. - una ontologia è una rappresentazione subiettiva della realtà, un modello foggiato dallo spirito umano, i cui elementi, tratti da oggetti reali, vengono combinati per modo da render conto di un certo ordine di conoscenze, secondo un certo punto di vista, che si prende arbitrariamente come universale" (in Problemi della scienza, p. 28). Quindi, anche se la critica dei sistemi metafisici è facile, in essi è presente un sistema di immagini che può promuovere associazioni utili al progresso della scienza. Inoltre l'E. abbozza una critica del tentativo di estendere una concezione di tipo meccanicistico a settori della scienza diversi dalla fisica, come la biologia, la fisiologia o la psicologia.
Un elemento centrale della gnoseologia dell'E. è la ridefinizione del concetto di "fatto", che viene da lui collegato alla nozione matematica di "invariante". Il concetto di "reale" viene collocato dall'E. nelle "sensazioni associate a certi atti volontari". Se si manifestano degli aspetti invariabili in tutte le associazioni fra i nostri atti di volontà e le sensazioni corrispondenti, questi aspetti invarianti costituiscono il fatto "reale". Quindi il "reale" è definito come un "invariante della corrispondenza fra. volizioni e sensazioni".
Coerentemente con la sua visione, l'E. tentò inoltre di spiegare la genesi dei concetti di base della geometria e della meccanica attraverso un'analisi di psicologia fisiologica.
Si è detto come nella visione dell'E. trovasse necessariamente una collocazione centrale la storia della scienza, in quanto capace di spiegare la genesi dei concetti scientifici. E a questa collocazione centrale si ricollegano le già menzionate iniziative istituzionali, quali la fondazione dell'Istituto di storia della scienza. Anche i principi direttivi nella riforma dell'università dell'E. erano in coerenza con la sua concezione generale: tutte le branche teoriche dovevano essere raggruppate attorno ad una "facoltà filosofica"; in un cerchio successivo dovevano essere collocate delle "scuole di applicazione" e quindi dei "collegi di insegnamento normale", che dovevano essere preposti alla preparazione dei docenti secondari.
Di grande importanza storica fu la polemica fra l'E. e i massimi rappresentanti del neoidealismo italiano, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Le cronache di questa vicenda hanno teso prevalentemente ad indicarne l'esito come una "sconfitta" delle posizioni dell'E. e ad identificare fra di loro le posizioni del Croce e del Gentile. Entrambe queste semplificazioni appaiono poco fondate alla luce di un esame più attento. La polemica scaturi da una severa recensione da parte del Gentile dei Problemi della scienza (in La Critica, VI [1908], pp. 430 ss.). La tesi fondamentale del Gentile, attomo alla quale si accentrò tutta la polemica successiva, era che la scienza aveva certamente un valore conoscitivo il quale era tuttavia inferiore a quello della filosofia e che sulla via della filosofia della scienza non poteva in alcun modo incontrarsi la vera filosofia. Il compito degli scienziati era di occuparsi della loro specialità, lasciando ai filosofi il compito di occuparsi della filosofia e di tutti i problemi connessi, incluse le implicazioni sul tema dell'istruzione.
Nella polemica, intervenne nel 1911 Benedetto Croce, nell'occasione del IV congresso internazionale di filosofia tenutosi a Bologna sotto la presidenza dell'Enriques. La polemica di Croce si apri con un'intervista al Corriere della sera (6 apr. 1911) e continuò con toni infuocati a giorni alterni fra il 16 e il 30aprile degenerando in attacchi personali. Il punto di vista del Croce era ben più radicale di quello del Gentile, negando ogni valore conoscitivo alla scienza, considerata come un insieme di "pseudo-concetti" di valore ed utilità meramente pratica. Inoltre la polemica di Croce era rivolta contro la pretesa incompetenza filosofica dell'E. e indicava l'opportunità che egli si dedicasse ai suoi studi matematici senza interferenze sul terreno filosofico. L'E. replicò accusando il Croce di intolleranza filosofica e lo invitò ad una critica diretta del suo sistema filosofico. La polemica si protrasse con decrescente intensità fino al 1912senza conclusioni definite. Tuttavia, l'autorità del Croce ebbe l'effetto pratico di far schierare gran parte degli ambienti filosofici e culturali su posizioni ostili all'E., per cui la fine della polemica venne comunemente recepita come una "sconfitta" dell'Enriques. Certamente, l'atteggiamento assunto dai due massimi filosofi idealistiitaliani nella polemica diffuse in diversi ambienti scientifici la sensazione di una irreparabile separatezza fra mondo della scienza e mondo della filosofia e della cultura, con conseguenze negative che influirono per decenni nei rapporti fra le due comunità di studiosi.
Èda notare tuttavia che queste conseguenze furono soprattutto legate all'atteggiamento drastico del Croce, perché la maggiore duttilità del punto di vista del Gentile apri la via ad un riavvicinamento fra le sue posizioni e quelle dell'E.; questo riavvicinamento fu senza dubbio reso possibile anche da alcune caratteristiche marcatamente idealistiche e soggettivistiche già presenti nel pensiero filosofico-scientifico dell'Enriques. Nelle riunioni annuali del 1931 e del 1932 della Società italiana per il progresso delle scienze il Gentile lesse due relazioni su "La natura" e "L'esperienza", che segnano una rivalutazione del valore conoscitivo della scienza. Questa rivalutazione è giustificata dal Gentile sulla base della riacquisita consapevolezza storica che, a suo dire, la scienza veniva manifestando, la quale consentiva allo scienziato di "rendersi conto dei motivi da cui ha tratto origine il suo problema". E concludeva osservando che "la scienza ha la sua origine e la sua ragion d'essere e può avere la sua giustificazione e la prova del proprio valore nella storia della scienza".
Le aperture del Gentile non trovarono nell'E. un ascoltatore disattento. Negli anni successivi, ed in particolare nella relazione tenuta nel febbr. 1938 davanti alle classi riunite dell'Accademia nazionale dei Lincei (Importanza della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale, in Scientia, LXIII [1938], pp. 125-134), l'E. riprese il tema a lui caro della critica al razionalismo ed al positivismo, estendendola alla contrapposizione fra razionalismo e storicismo puro. Nell'antitesi fra questi due punti di vista si esprimeva, a parere dell'E., il contrasto di due mentalità che era interesse della nazione superare e conciliare in una visione più alta. Cosi, accanto alla consueta polemica con il Croce, si affacciava un'adesione alquanto esplicita all'attualismo gentiliano, nella visione della scienza "non più concepita come pura rivelazione di una verità esteriore, bensi come conquistae attività dello spirito [… eche] si fonde nell'unità dello spirito colleidee, coi sentimenti, colle aspirazioni che si esprimono nei vari aspetti della cultura" (ibid., p. 130). Riemerge qui il tema, caro all'E., dell'unità del processo conoscitivo, inserito però nella cornice del neoidealismo gentiliano. E l'E. si riferisce esplicitamente alle visioni del Gentile circa la politica della ricerca scientifica e la politica educativa, manifestando la sua adesione ad esse e cogliendo l'importanza del riferimento del Gentile al ruolo della storia della scienza. "Un ministro filosofo - egli osservava - il quale sta dall'altra parte del ponte che separa le scienze della natura da quelle dello spirito, dico il nostro Collega Giovanni Gentile, ha avuto il merito di comprendere il valore educativo e didattico della storia della scienza e d'introdurne l'insegnamento in alcuni ordini della scuola media italiana. Egli non si è arrestato a considerare le difficoltà di una sintesi storica che abbracci insieme i diversi rami del sapere: nella sua robusta fede idealistica, ha ritenuto che se essa conviene alla gioventù studiosa, il dovere di offrirla ne implichi la possibilità" (ibid., p. 134).
In conclusione, la polemica fra l'E. e i rappresentanti della filosofia neoidealistica si concluse con una rottura totale con lo storicismo del Croce e la sua totale svalutazione del valore conoscitivo della scienza, ma con un riavvicinamento alle posizioni del Gentile, sulla base di una comune matrice soggettivistica e spiritualistica. Neanche la polemica dell'E. nei confronti della riforma Gentile del 1923 in qualità di presidente della Società Mathesis, costituita dai professori di matematica delle scuole secondarie, modifica in realtà tale quadro in quanto, senza c'riticare affatto lo spirito generale della riforma, in particolare accettandone in conclusione, in nome dell'unità della scienza, l'abbinamento delle cattedre di matematica e fisica, l'E. in tale caso si limitava soltanto a chiedere un ampliamento dell'orario per le materie scientifiche per motivi anche strettamente sindacali. D'altra parte la comune matrice soggettivistica e spiritualistica del pensiero dell'E. e di Gentile, che si esprime anche nella riforma del 1923, spiega pure il fatto che tale Riforma non fu realizzata per alcuni aspetti fondamentali, come l'insegnamento generalizzato della storia della scienza auspicato dall'E., in quanto essa era in contraddizione, almeno in parte, con l'impostazione pragmatica e autoritaria del regime fascista in campo educativo e dirlitica della scienza.
È da osservare infine che la polemica fra l'E. e i filosofi neoidealisti (e il Croce in particolare) ebbe certamente l'effetto di rallentare l'impeto del suo impegno sul terreno più propriamente filosofico. Non tuttavia su quello della filosofia e storia della scienza, cui l'E. continuò a dedicarsi con immutato impegno, sia sul piano nazionale che internazionale. Degni di menzione sono in tali settori. oltre a quelle già citate, le seguenti opere: Per la storia della logica, Bologna 1922 (trad. franc., Paris 1925); Storia del pensiero scientifico, I, L'antichità, in collaborazione con G. De Santillana, ibid. 1932; Ilsignificato della storia del pensiero scientifico, ibid. 1936; Les Ioniens et la nature des choses, in collaborazione con G. De Santillana, Paris 1937; Causalité et déterminisme dans la philosophie et l'histoire des sciences, ibid. 1941; Le dottrine di Democrito di Abdera, a cura di M. Mazziotti, Bologna 1948.
Fonti e Bibl.: G. Castelnuovo, Commem. di F. E., in Rend. d. Acc. naz. dei Lincei, s. 8, II (1947), pp. 3-21, opp. in Period. di mat., s. 4, XXV (1947), pp. 81-94; F. Conforto, F. E., in Rend. di mat., s. 5, VI (1947), pp. 226-252 (contiene l'elenco delle pubblicazioni); L. Campedelli, F. E. nella storia, la didattica e la filosofia delle matematiche, in Period. di mat., s. 4, XXV (1947), pp. 95-114; O. Chisini, Accanto a F. E., in ibid., pp. 115-123; F. Severi - G. Sansone - E. Togliatti, in Rend. di mat., s. 5, XVI (1957), pp. 1-22; L. Lombardo Radice, F. E. e la filosofia naturale agli inizi del ventesimo secolo, introduzione a F. Enriques, Natura ragione storia (antologia di scritti con elenco delle pubblicazioni dell'E. in appendice), Torino 1958; F. G. Tricomi, Matematici italiani del primo secolo dello Stato unitario, in Atti d. Acc. d. sc. di Torino, s. 4, I (1962), p. 48; C. Eisele, in Dict. of scientific biography, IV (1971), pp. 373-75; Comm. di F. E. nel primo centenario della nascita…, 28 giugno 1971, Torino 1971; B. Segre, Riflessi vicini e lontani del pensiero e dell'opera di F. E., in Atti del Convegno internaz. di geometria a celebrazione del centenario della nascita di F. E. (Milano, Palazzo di Brera, 31 maggio-3 giugno 1971), Roma 1973, pp. 11-25; F. Enriques, Approssimazione e verità, a cura di O. Pompeo Faracovi, Livorno 1982; F. La Teana, F. E. e la Riforma Gentile, in La ristrutturazione delle scienze tra le due guerre mondiali, I, Roma 1984, pp. 303-14.