Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fëdor Michajlovic Dostoevskij, insieme a Tolstoj il più grande scrittore russo della seconda metà dell’Ottocento, occupa un posto di enorme rilevanza anche nel panorama europeo: nei suoi romanzi affronta con straordinaria efficacia i processi psichici più oscuri e contradditori, le dinamiche più sconcertanti tra individuo e collettività, i problemi più assillanti del mondo a lui contemporaneo. Al centro della sua ricerca è il problema della responsabilità morale di ciascun individuo nei confronti dei propri atti: i suoi personaggi affrontano prove durissime, compiono gesti estremi, attraversano crisi devastanti, talora soccombono, talora, con l’aiuto delle fede, raggiungono una profonda consonanza con l’umanità sofferente che li circonda.
Un esordio fulminante
Fëdor Michajlovic Dostoevskij nasce a Mosca il 30 ottobre 1821, secondo di sette fratelli: perde la madre a quindici anni e due anni dopo il padre, medico militare dal carattere scontroso, arrogante, irritabile, violento, ucciso dai propri servi in circostanze non del tutto chiare. Insieme al fratello maggiore, il giovane Fëdor viene ammesso alla scuola di ingegneria a Pietroburgo: nessuna inclinazione per studi scientifici, soltanto la prospettiva di una solida carriera burocratica. In effetti al termine della scuola ottiene un modesto impiego di cartografo, con uno misero stipendio che tuttavia non gli impedisce di coltivare una disastrosa passione per il gioco, durata fino agli ultimi anni: perde migliaia di rubli, si danna poi l’esistenza per far fronte ai debiti, alle cambiali, agli usurai. Coltiva intanto la sua passione per la letteratura: legge avidamente, traduce Eugénie Grandet di Balzac.
Nel 1844 decide di abbandonare la carriera burocratica e lanciarsi nella letteratura: scrive un racconto lungo, Povera gente, storia dell’infelice, discreto, disperato amore del modesto impiegato Makar Devuškin per la giovane Varen’ka Dobrosëlova, che alla fine va sposa a un ricco mercante per uscire dalla miseria. Un romanzo epistolare, un intreccio ridotto ai minimi termini, ai riflessi che gli avvenimenti hanno sui due corrispondenti. La povertà è il grande tema e povertà significa umiliazione, solitudine, angoscia, paura, degradazione. Povera gente entusiasma i critici radicali: vi leggono una coraggiosa denuncia sociale della miserabile condizione del sottoproletariato pietroburghese e inneggiano al nuovo paladino della lotta contro l’autocrazia. Ma si sbagliano: quindici giorni dopo esce Il sosia, dove il tema sociale resta solo sullo sfondo: è la storia di un piccolo impiegato pietroburghese, povero, frustrato, avvilito, che, in una notte di tempesta, incontra il proprio sosia e non riesce più a staccarsene, fino ad affondare nel nero gorgo della follia. Studio psicologico di uno sdoppiamento di personalità, Il sosia introduce un tema che seguirà lo scrittore per tutta la sua opera fino all’ultimo romanzo: tutti i suoi grandi personaggi incontreranno dentro di sé un sosia, un inquietante, angoscioso, talora straziante doppio che minaccia la stabilità dell’io e scatena pulsioni segrete, da loro stesse ignorate.
Condannato a morte
Dopo Il sosia, altri racconti: Il signor Procharcin, La padrona, Notti bianche, e il progetto di un grande romanzo, il primo, Netočka Nezvanova, autobiografia di una donna dall’infanzia infelice. Ne escono solo tre parti: Dostoevskij è costretto a interrompere la stesura a causa di una tragica vicenda personale. Nel corso del 1848 il giovane scrittore frequenta, insieme ad altri coetanei, il circolo guidato da Michail Vasil’evic Petrasevskij, dove si discutono questioni sociali, economiche, culturali, senza nessuna intenzione eversiva. Tuttavia lo zar, preoccupato dall’ondata di rivoluzioni europee del 1848, vuole dare una prova di forza e dà ordine di arrestare tutti i membri: così Dostoevskij all’alba del 25 aprile 1849 viene arrestato insieme ad altri membri del circolo con l’accusa di partecipazione a società segreta con scopi sovversivi. Dopo sette mesi di reclusione, la condanna a morte per tutti. Letta la sentenza, preparati i condannati all’esecuzione, arriva un contrordine: ergastolo, non fucilazione. Incatenato, Dostoevskij viene spedito in Siberia, ma gli istanti terribili, passati sul palco in attesa dell’esecuzione non saranno facilmente dimenticati (entreranno nei materiali dell’ Idiota). Destinazione: la fortezza di Omsk, dove Dostoevskij passa quattro anni a contatto con detenuti di ogni genere, assassini, ladri, stupratori, ma anche condannati politici, coraggiosi partigiani della libertà. Lavoro durissimo, condizioni di vita disumane, ma rapporto sostanzialmente positivo con i compagni di pena: "Questa gente – scrive al fratello – è pur sempre straordinaria. Forse è la gente più capace, più forte di tutto il nostro popolo. Vi sono persone profonde, bellissime", e aggiunge "quanti tipi e caratteri ho segnato nella memoria! Quante storie di esistenze oscure, dolorose, disgraziate. Basterà per interi volumi". Terminato il periodo di reclusione, il deportato viene assegnato come soldato semplice di prima linea a un battaglione di stanza a Semipalatinsk, uno dei più lontani governatorati della steppa, non lontano dal confine cinese. Riacquista il diritto di leggere e scrivere, chiede al fratello libri di filosofia, storia, economia. Scrive Memorie da una casa di morti, cronaca della vita nella fortezza, storia della atroce, umiliante esistenza degli ergastolani, delle loro sofferenze, delle loro morti. Nel 1859 riceve finalmente l’autorizzazione a vivere prima a Tver’, poi a Pietroburgo, pur sotto stretta sorveglianza della polizia.
Il sottosuolo
Fëdor Michailovic Dostoevskij
Memorie del sottosuolo
Sono un uomo malato... Sono un uomo maligno. Non sono un uomo attraente. Credo che mi faccia male il fegato. Del resto, non me n’intendo un’acca della mia malattia e non so con certezza che cosa mi faccia male. Non mi curo e non mi sono curato mai, sebbene la medicina e i dottori li rispetti. Inoltre, sono anche superstizioso all’estremo; be’, almeno abbastanza da rispettare la medicina. (Sono sufficientemente istruito per non essere superstizioso, ma sono superstizioso). Nossignori, non mi voglio curare per malignità. Voi altri questo, di sicuro, non lo vorrete capire. Ebbene, io lo capisco. S’intende che non saprei spiegarvi a chi precisamente io faccia dispetto in questo caso con la mia malignità; so benissimo che anche ai dottori non posso in nessuna maniera "fargliela" col non curarmi da loro; so meglio d’ogni altro che con tutto questo danneggio unicamente e solo me stesso e nessun altro. Ma tuttavia, se non mi curo, è per malignità! Se mi fa male il fegato, ebbene, mi faccia pure ancora più male!
F.M. Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, trad. it. di A. Polledro, Torino, Einaudi, 2010
Collabora attivamente alle riviste fondate dal fratello Michail, prima "Il tempo", poi "Epoca", su cui pubblica, nel 1862, un romanzo, Umiliati e offesi e, nel 1864, un racconto lungo, Memorie del sottosuolo: la prima parte è un lungo monologo in cui il protagonista affronta l’analisi del suo stato psichico in tutta la sua caotica, cinica, risentita immediatezza e sprofonda in uno stato di fredda, velenosa cattiveria; la seconda è il racconto di alcuni episodi della sua vita, una umiliante cena con amici, l’incontro con una giovane prostituta su cui riversa tutto il suo odio per il prossimo. Il sottosuolo: grumo denso, torbido, contorto di autolesionismo e autocompiacimento, disarmonia radicale tra ciò che è intimo e ciò che ha smercio sociale, costante senso d’irrequietezza e risentimento. Il sottosuolo resta una tappa fondamentale nella narrativa dostoevskiana: d’ora in poi tutti i personaggi di un certo peso soffriranno più o meno acutamente di questa "malattia", vi affonderanno per perdersi senza speranza o per risorgere rigenerati. Il 1864 è anche un anno di tragiche prove per Dostoevskij: in aprile muore la moglie, sposata a Semipalatinsk, da tempo malata e a lungo trascurata, e tre mesi dopo, per una fulminea malattia, l’amato fratello Michail. Oltre al dolore è la completa rovina finanziaria: crolla il credito della rivista da lui diretta, non una copeca per pubblicarla, sei numeri già in programma e i creditori alle porte. Dostoevskij rischia la prigione per debiti: gli resta un’ultima risorsa, cedere all’editore Stellovskij il diritto di ripubblicare tutte le sue opere e consegnargli entro un anno un nuovo romanzo.
Delitto e castigo
Fëdor Michailovic Dostoevskij
Incipit
Delitto e castigo
C’era un caldo insopportabile in quei primi giorni di luglio. Era quasi sera quando un giovane uscì dalla misera stanza che aveva preso in affitto in vicolo S. e, sceso in strada, s’incamminò lentamente, come fosse indeciso, in direzione del ponte K. Per sua fortuna, sulla strada non aveva incontrato la padrona di casa. La stanza del giovane si trovava nel sottotetto di un caseggiato di cinque piani e assomigliava più a un armadio che a una stanza. La donna che gliel’aveva affittata, compresi il vitto e il servizio, abitava da sola nell’appartamento un piano più in basso, per cui il giovane, quando usciva di casa, doveva inevitabilmente passare davanti alla cucina la cui porta era quasi sempre spalancata. E ogni volta che passava davanti a quella porta avvertiva una sensazione di malessere e di profondo fastidio di cui provava vergogna e che gli contraeva il volto in una smorfia. Dovendole dei soldi faceva di tutto per non incontrarla.
F.M. Dostoevskij, Delitto e castigo, trad. it di C. Di Paola, Venezia, Marsilio, 1999
Firmato il contratto, tacitati i creditori più temibili, Dostoevskij parte per l’estero: oltre al romanzo promesso, ne ha già in corso un altro per la rivista "Annali patri". Titolo provvisorio Gli ubriachi, quello definitivo Delitto e castigo. "Rendiconto psicologico di un delitto" lo definisce l’autore, che si ispira a un fatto di cronaca: uno studente povero, Raskol’nikov, spinto dal bisogno, uccide una vecchia usuraia e la sorella, convinto che il crimine non sia così grave, se ne consegue un miglioramento della sua condizione e un vantaggio per il suo futuro. Grande romanzo d’azione e di suspence: dura in tutto quattordici giorni. Braccato prima di tutto da se stesso, poi da un giudice istruttore paziente e sagace, messo al muro da una serie di accidenti imprevisti, Raskol’nikov alla fine confessa. Primo dei grandi ribelli, Raskol’nikov (raskol’ in russo vuol dire "scisma", "scissione") è un solitario: si allontana dalla società dei suoi simili, divide gli uomini in due classi, le nature dominatrici e gli esseri comuni. La morale umana esiste solo per quest’ultimi: i dominatori sono esenti da qualsiasi obbligo. A dimostrargli che invece la legge morale vale per tutti è Sonja, una prostituta incontrata per caso: profondamente cristiana, nonostante il mestiere a cui è costretta per necessità, lo convince che il peccato resta tale chiunque lo commetta. Sonja vive l’autentica religione dell’amore totale per tutte le forme e i momenti di esistenza, anche quelli della colpa: è lei che convince Raskol’nikov a confessare, a espiare, ad accettare fino in fondo la responsabilità dell’atto compiuto.
I romanzi della maturità: Il giocatore, L’idiota
Fëdor Michailovic Dostoevskij
I demoni
Accingendomi alla narrazione di quei così singolari avvenimenti prodottisi recentemente in questa nostra città, che sinora non s’era mai distinta per alcunché di speciale, mi vedo costretto – a causa della inesperienza che m’è propria – a risalire alquanto indietro nel tempo, e, precisamente, all’epoca di certi particolari eventi verificatisi nella vita di Stepàn Trofìmovic Verchovènskij, persona oltremodo rispettabile e dotata d’indubbio talento. Tali eventi vanno considerati come una semplice introduzione alla presente cronaca, mentre la vera e propria storia che intendo esporre s’inizierà piú avanti.
Bisogna dire anzitutto che Stepàn Trofìmovic ha da sempre rivestito tra noi il ruolo d’una personalità particolare, dotata di un rilievo, per così dire, civile, un ruolo che egli amava alla follia, privo del quale – mi sembra – non avrebbe potuto neppure sopravvivere. Non che io, con ciò, intenda equipararlo a un qualsiasi attore di teatro, Dio me ne guardi! Tanto più che egli ha tutto il mio rispetto. Si trattava piuttosto di una sorta di abitudine o, per meglio dire, di una costante, nobile inclinazione, presente in lui sin dall’infanzia, a nutrire il sogno lusinghiero di rivestire una posizione civile significativamente bella. Ad esempio, egli amava straordinariamente la sua condizione di "perseguitato" e, per così dire, di "esiliato". Queste due parole avevano, ai suoi occhi, un prestigio, in un certo modo, classico, che lo aveva affascinato una volta per tutte e aveva continuato poi, per molti e molti anni, a sollevarlo sempre più nella sua propria opinione, finché l’aveva innalzato su un piedistallo notevolmente elevato ed estremamente gradevole per il suo amor proprio.
F.M. Dostoevskij, I demoni, trad. it. di G. Pacini, Milano, Feltrinelli, 2000
Nel pieno del lavoro su Delitto e castigo, con consegne mensili e un ritmo di scrittura quasi insostenibile, Dostoevskij è obbligato a consegnare a Stellovskij il romanzo promesso. Assume una stenografa, Anna Gregor’evna Snitkina, e in ventisei giorni conclude Il giocatore: scritto in prima persona sotto forma di diario, racconta la storia dell’amore infelice di Aleksej Ivanovič per Polina, sullo sfondo della passione sfrenata (che, come si è detto, è anche dell’autore) per il gioco d’azzardo. Consegnato il manoscritto, libero dal contratto, Dostoevskij sposa Anna Grigor’evna, che gli resterà accanto fino alla morte con pazienza, forza, abnegazione, organizzandogli la vita, difendendolo dagli speculatori, curandolo, dandogli dei figli, che sono forse per Dostoevskij la gioia più grande degli ultimi anni. Parte per l’estero: a Ginevra comincia L’idiota. Protagonista il principe Myškin, "un uomo positivamente buono", epigono di una stirpe decaduta, senza mezzi di sussistenza, malato di epilessia (malattia che tormenta anche Dostoevskij), sogna la pace e la felicità di tutti gli uomini, è totalmente estraneo alla logica del potere, del guadagno, del piacere, che guida le azioni di tutti gli altri personaggi. Suo antagonista il mercante Rogožin, fanatico, passionale, capace di amare fino alla rovina e di odiare fino al delitto, smisurato in ogni sua manifestazione: vorrebbe essere amico del principe, ma sono entrambi innamorati di Nastas’ja Filipovna, donna bellissima, profondamente ferita dal suo protettore che nell’adolescenza l’ha sfruttata e umiliata, distruggendone i sogni di felicità. Nastas’ja si innamora del principe (diventato all’inizio del romanzo ricchissimo grazie a un’imprevista eredità, dunque ottimo partito) per l’innocenza con cui affronta il mondo cinico, corrotto che circonda entrambi: ma sa di non essere degna della sua limpida purezza e si lascia trascinare dalla possessiva passione di Rogožin, disposto a tutto pur di averla. Un gesto di ribellione e di protesta, non di amore: Rogožin lo capisce e alla vigilia delle nozze la uccide, rendendosi conto di non contare nulla per lei. Appena compiuto il delitto chiama il principe: insieme vegliano la salma. La polizia li trova tutti e tre: Myškin in preda a un attacco del suo male, Rogožin colpito da febbre cerebrale e Nastas’ja pugnalata in abito da sposa. Dunque Myškin, il "puro di cuore", non riesce a salvare dal male, presente ovunque, né se stesso né chi gli sta intorno. Myškin è una sfida vivente al mondo che conosce solo valori materiali: il suo contatto con i valori spirituali è immediato, mentre per gli altri è arduo, quasi impossibile da raggiungere.
Alla fine del 1871 Dostoevskij porta a termine il romanzo successivo, I demòni. Al centro un gruppo di terroristi: molti dei protagonisti trovano precisi prototipi storici nei militanti rivoluzionari contemporanei. Protagonista è Stavrogin: incarnazione di una forza esclusivamente cerebrale, in lui l’intelletto divora tutto, paralizzando e corrodendo la sua vita psichica. Istigatore ma non esecutore, cupo genio delle astrazioni logiche, narcisista in ogni gesto, Stavrogin annienta tutto ciò che gli si accosta, non sa trasformare la volontà di distruzione in passione creatrice. Accanto a lui Petr Verchovenskij, figura di furfante, avventuriero, buffone, privo di scrupoli, irresponsabile, spinge al delitto ma è vile, fugge, non vuol pagare di persona. La condanna dei terroristi è categorica: il loro gesto violento rimane fine a se stesso, non ha alcun peso politico, finisce per essere un ordinario delitto. In nessun romanzo c’è tanta violenza, tanti morti come ne I demòni: c’è buio nell’anima dei personaggi come c’è notte nelle scene più importanti. Ma alla fine la parabola tratta dal Vangelo di Luca rasserena: i demòni vengono cacciati e si buttano nel lago, dunque anche la Russia verrà liberata e riprenderà il suo cammino verso la luce.
L’epilogo: i Karamazov
Sempre perseguitato dalla necessità di denaro (i due ultimi romanzi, L’idiota e I demòni ottengono minor successo di quel che l’autore si sarebbe aspettato), Dostoevskij pensa a un lavoro che gli dia la sicurezza di un reddito fisso: il giornalismo. Nel 1873, per 3.000 rubli all’anno più un compenso per ogni scritto, diventa caporedattore della rivista conservatrice "Il cittadino", un lavoro che lo assorbe completamente: contatti con i collaboratori, rilettura e sistemazione di testi, correzione di bozze, stesura di testi non firmati, impostazione dei numeri successivi. La sua rubrica fissa s’intitola "Diario di uno scrittore": ricordi letterari e personali, riflessioni su fatti di costume, recensioni di libri, episodi di vita popolare. Interrompe il lavoro per scrivere un nuovo romanzo, L’adolescente: scritto in prima persona, è la storia del ventunenne Arkadij Dolgorukij, figlio naturale del nobile Versilov ma legalmente figlio dell’ex servo della gleba Makar Dolgorukij. Tema principale: la ricerca del padre. Cresciuto lontano da Versilov, personaggio sfuggente, inquieto, ambivalente, Arkadij lo cerca, ha per lui un amore appassionato ma sempre eluso. Romanzo dalla struttura farraginosa e concitata, con vistosi colpi di scena, soluzioni inattese, intrighi misteriosi, approfondisce il tema del disordine sociale e familiare, che è presente nei Demòni e sarà centrale nei Fratelli Karamazov. Finito L’adolescente, decide di riprendere "Il diario di uno scrittore" come foglio mensile indipendente: nel corso di due anni, fino alla fine del 1877, si dedica interamente alla stesura dei vari numeri, mescolando la disinvoltura del pubblicista con la profondità del pensatore, intrecciando riflessioni e ricordi, curiosità e profezie, progetti e osservazioni e qualche racconto, La mite, Sogno di un uomo ridicolo. Gli ultimi quattro anni della vita di Dostoevskij sono dedicato alla stesura de I fratelli Karamazov, primo di un ciclo dal titolo provvisorio Vita di un grande peccatore, rimasto incompiuto per la morte dell’autore. È certo il romanzo più complesso per contenuto ideologico e struttura artistica, sintesi delle sue ricerche e delle sue contraddizioni, continua esplosione di intrecci, di idee, di conflitti, di passioni, di impeti. È la storia di un parricidio: Fedor Karamazov, padre di tre figli legittimi e di uno naturale, viene ucciso. Nel processo è condannato il figlio maggiore, Dmitrij, ma il vero assassino è il figlio naturale Smerdjakov, spinto al parricidio dal secondo figlio Ivan, sostenitore dell’ateismo e dell’assenza di ogni morale. Prima della sentenza Smerdjakov si suicida e Ivan, che ha in mano le prove della colpevolezza, cade in preda a una febbre cerebrale e permette così l’ingiusta condanna del fratello maggiore. Il parricidio è l’espressione di un male oscuro che è della Russia della fine del XIX secolo ma anche dell’uomo in generale e che si traduce nella disgregazione della famiglia, nel conflitto generazionale, nel crollo delle vecchie regole della società patriarcale, nel rifiuto della religione dei padri (uno dei capitoli più suggestivi è "Il Grande Inquisitore" in cui Ivan attacca la chiesa cattolica, colpevole di aver snaturato l’insegnamento del Cristo). Tuttavia il romanzo termina con una parola di speranza, pronunciata dal più giovane dei fratelli, Alëša, che auspica una società basata sull’amore e sulla solidarietà.