Dostoevskij, Fedor Michajlovic
Scrittore russo (Mosca 1821 - Pietroburgo 1881). Frequentò a Pietroburgo la scuola militare d’ingegneria e divenuto ufficiale iniziò, parallelamente, a pubblicare racconti (1846). Arrestato per l’adesione alle dottrine del socialismo utopistico (1849), la condanna a morte gli fu commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Di nuovo nell’esercito, dal 1859 tornò a pubblicare. Afflitto da difficoltà finanziarie e da pessime condizioni di salute (soffriva di epilessia), visse a Pietroburgo, poi all’estero (1867-71) e di nuovo in patria, peregrinando incessantemente e creando le sue maggiori opere letterarie, fra le quali: Zapiski iz podpol′ja (1864; trad. it. Memorie del sottosuolo), Prestuplenie i nakazanie (1866; trad. it. Delitto e castigo), Idiot (1868; trad. it. L’idiota), Besy (1870; trad. it. I demoni), Brat′ja Karamazovy (1878-80; trad. it. I fratelli Karamazov). È nell’interpretazione di Nietzsche che i romanzi di D. iniziano a essere studiati per il loro contenuto filosofico, in quanto espressione del nichilismo (➔), fortuna protratta anche nelle analisi degli esponenti dell’esistenzialismo, che ne evidenziarono, in partic. l’appello al subcosciente, alla dialettica dell’anima. I personaggi dei romanzi di D., imponderabili e bipolari, sono animati da un desiderio di riscatto e di vita che, spinto sino al fanatismo, provoca il confronto con l’irrazionalità intrinseca dell’esistenza e con il piano divino della grazia. L’uomo è creato non per la mite felicità dell’ordine e della quiete, ma per la salvazione in Dio, pagata col male, l’odio, il fango, la disperazione, il delitto. In politica D. sostenne uno slavofilismo democratico e un populismo mistico secondo cui la società russa poteva essere redenta dal contatto con il popolo e dall’accettazione della religione ortodossa, e la missione del popolo russo era di redimere il mondo con una riasserzione di fede cristiana.