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FEDRO

di Nicola Terzaghi - Enciclopedia Italiana (1932)
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FEDRO (Phaedrus)

Nicola Terzaghi

Favolista latino, autore di una raccolta di favole esopiche scritte in trimetri giambici. Egli stesso afferma nel prologo del III libro (v. 17-19) di essere un greco della Pieria. Dovette essere trasportato in Italia da fanciullo al tempo di Augusto, in condizione di schiavo, e da Augusto stesso dovette essere affrancato. Nulla sappiamo della sua famiglia, ma è certo che non fu di nobile origine, e forse fu abbandonato dai genitori. Scrisse le sue favole sotto Tiberio, durante il cui regno ne pubblicò due libri. Ma alcune di esse forse suscitarono lo sdegno di persone che si ritennero colpite sotto l'allegoria di qualche racconto animalesco (probabilmente nelle favole del II libro, più tardi fatto sparire dalla raccolta), sicché fu accusato non sappiamo bene di che cosa, e forse anche condannato. Mentre nell'epilogo del III libro F. afferma di non volere scrivere altre favole, egli pubblicò poi altri due libri. Non sappiamo quando morì. Il V libro contiene solo dieci favole: è dunque altrettanto breve quanto il II. Ma, mentre la brevità del V si spiega con la vecchiaia ed eventualmente con la morte di F., quella del II non si può spiegare, come si è accennato, se non con la soppressione di alcune favole. Del resto, che ciò sia vero, e che nella trascrizione del testo fedriano siano avvenuti rimaneggiamenti e confusioni è provato dal manoscritto, che nel sec. XV fu tra le mani dell'umanista Nicolò Perotti (ora scomparso, ma di cui esistono due copie), nel quale si leggevano, oltre a quelle note, le 31 favole che costituiscono la cosiddetta Appendice fedriana.

F. cominciò con l'imitare Esopo e con il ridurne in latino la materia di molte favole, pur proponendosi fin da principio una certa libertà con l'introdurre a parlare anche gli alberi. Via via che procedette nel suo lavoro, gli parve di acquistare in originalità, e così nel prologo del libro IV afferma che le sue favole non sono di Esopo, ma soltanto esopiche, perché introducono argomenti e spunti nuovi in una materia già antica.

La morale di F. è spesso arida e sconsolata; tutta la sua produzione, sebbene inspirata dall'amore della vita buona e sana, è pervasa da un soffio di triste pessimismo. Il temperamento di F. apparisce però freddo, e non sempre egli riesce a vedere il legame tra il contenuto delle favole che espone, e la moralità che ne ricava e che colloca in fondo al racconto, o spesso, e con danno del valore artistico ed etico del piccolo componimento, in principio. Egli persegue la brevità e se ne fa un vanto, ma questa nuoce spesso alla retta intelligenza delle favole. Scrisse in trimetri giambici regolari, ma adottando sostituzioni ritmiche non approvate dall'uso classico. La sua lingua è pura e semplice, pur con qualche abuso di termini astratti. Certo egli non è un grande poeta, ma, soprattutto come unico rappresentante del genere, a cui si sforzò di dare rilievo e sviluppo, merita un posto segnalato nella letteratura romana del sec. I d. C.

La fama che F. perseguì, certo di ottenere un posto segnalato fra i poeti latini, gli venne invece a mancare quasi del tutto: infatti, sebbene forse le sue favole andassero per le mani degli scolari al tempo di Quintiliano (I, 9, 2), Seneca lo ignora od ostenta di ignorarlo, e Marziale allude agli "scherzi di quell'impertinente di Fedro". Soltanto fra il secolo IV e il V si formarono raccolte favolistiche, dove F. era largamente utilizzato. Di esse si conoscono tre redazioni principali, fra cui è celebre soprattutto quella nota sotto il nome di Romolo e intitolata: Esopo Latino.

Manoscritti ed edizioni: Il manoscritto principale è quello del sec. IX (ora in possesso del marchese di Rosambo) da cui P. Pithou trasse l'editio princeps di F. (Autun 1596); importante è anche un frammento del sec. IX o del X, ora nella biblioteca vaticana. Accanto alla edizione maggiore (non sempre sicura) di L. Havet (Parigi 1896), meritano attenzione i primi due volumi dell'opera di L. Hervieux, Les fabulistes latins (2ª ed., Parigi 1893), e ha ancora valore l'edizione di L. Müller (Lipsia 1877). Fondate sui manoscritti sono le edizioni di J. P. Postgate (Oxford 1919) e di A. Brenot (Parigi 1924), nella cui introduzione si trovano riassunte le vicende del testo fedriano.

Bibl.: M. Schanz, Gesch. der röm. Lit., II, 3ª ed., Monaco 1913, pp. 39-50; C. Marchesi, Fedro e la favola latina, Firenze 1923; B. Romano, Fedro e la sua morale, in Annuario del R. Ginnasio di Susa, 1929; A. Cinquini, Index Phaedrianus, Milano 1905.

Vedi anche
Esòpo Favolista greco, di lui si sono conservate circa 400 narrazioni appartenenti a questo genere letterario. Presso i Romani la favola esopica, volgarizzata e accresciuta da Fedro, servì ad usi scolastici, come poi la raccolta di Aviano fra il 4° e il 5° sec. d. C. Vasta fu anche la popolarità di E. nel ... favola Breve narrazione per lo più in versi. Quando si parla di f. come genere letterario, ci si riferisce comunemente a quella i cui caratteri fondamentali furono segnati già da Esopo e universalmente diffusi da Fedro: essenziale è che essa racchiuda una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica ... Aulo Gèllio Scrittore ed erudito latino (sec. 2º d. C.). Fu da giovane ad Atene, dove tornò in età matura, e dove compose l'opera detta Noctes Atticae, perché ebbe origine da appunti presi nelle lunghe sere d'inverno in una rustica dimora dell'Attica; è un'opera miscellanea (in 20 libri) giuntaci quasi completa ... verso Letteratura In poesia, unità di discorso avente una struttura metrica e un disegno ritmico e delimitata da una pausa virtuale, di solito isolata, nella tradizione grafica occidentale, mediante un a capo o uno spazio. Aspetti generali del verso classico Il v. è un’entità formata da più piedi avente una ...
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