FEIJÓO y MONTENEGRO, Benito Jerónimo
Letterato spagnolo, nato a Casdemiro (Orense) l'8 ottobre 1676 e morto a Oviedo il 26 settembre 1764. Vestì nel monastero di San Julián de Samos l'abito benedettino (1690), raggiungendo nel suo Ordine il grado di abate generale. A Oviedo, che fu sua prediletta dimora, dalla quale non lo allontanarono lusinghe di onorifici incarichi a Madrid né l'offerta, da parte di Filippo V, di un vescovato in America, insegnò teologia nella locale università (1710-1734). Figura rappresentativa del primo Settecento spagnolo che rompe i vincoli di chiuse ideologie tradizionali e s'apre alle più recenti correnti spirituali europee, la sua vita fu un continuo studio e una continua battaglia. Cominciò con la Aprobación apologética del "Scepticismo médico" del dottor Martín Martínez (Oviedo 1725), in cui si rivelano le sue tendenze all'osservazione diretta e al metodo sperimentale; e continuò sottomettendo a esame critico ogni aspetto dell'attività umana: letteratura, filosofia, storia, scienze mediche e naturali, politica, credenze e superstizioni formano l'oggetto dei 118 discorsi adunati nel Teatro crítico universal (Madrid 1726-39, voll. 8; Suplemento, Madrid 1740; traduzione ital., Genova 1777) e delle 163 dissertazioni raccolte nelle Cartas eruditas y curiosas (Madrid 1742-60, voll. 5). Questa somma di conoscenze diverse, che non si lasciano disciplinare entro uno schema preciso, converge verso una chiara e trasparente razionalità che dissolve le nebbie di un pensiero stagnante. I principî del metodo scientifico sono applicati anche ai miracoli e alle più diffuse credenze (Duendes y espíritus familiares, Purgatorio de San Patricio, La campana de Velilla, ecc.) per depurare la bellezza della religione dai vani delirî della plebe incolta (Carta sobre la multitud de milagros). Autodidatta, conoscendo la cultura straniera, il F. ebbe piena coscienza della miseria intellettuale della sua nazione: se oppugna l'esagerata autocritica che nega ogni attività, combatte la passione nazionale quando si rinserri in un'auto-esaltazione (Amor de la Patria y pasión nacional), e pur riconoscendo i valori nazionali (Glonas de España), accetta quelli che vengono dal di fuori (Antipatía de franceses y españoles). Perciò combatte arditamente il marasma scientifico e filosofico del tempo suo (De lo que conviene quitar en las Sumulas; De lo que conviene quitar y poner en la Lógica y Metafísica; De lo que sobra y falta en la Física, ecc.). Nel disdegno di ogni regola e nella sistematica rivendicazione della libertà nella scienza e nell'arte, ci sono accenti di novità che avranno eco più tardi: così in estetica è l'affermazione che c'è un'indefinibile individuale (el no sé que) che sfugge a ogni categoria. L'eloquenza è per lui naturalezza e non arte (Cartas, II, 6); la lingua non sta nel vocabolario ma nel pensiero che essa traduce, e quindi nella libera scelta delle parole in armonia con l'ispirazione (Introducción de voces nuevas). Abbattendo molti idoli e rovinando molte fame usurpate, il F. ebbe numerosissimi oppositori e difensori, che ne diffusero il nome anche fuori di Spagna e ne resero più efficace l'opera in favore del rinnovamento della cultura.
Bibl.: M. Menéndez y Pelayo, Historia de los heterodoxos españoles, Madrid 1880, III, p. 67 segg.; id., Historia de las ideas estéticas en España, Madrid 1904, VI, p. 379 segg.; M. Morayta, El Padre F. y sus obras, Valenza 1912; A. Millares Carlo, F. y Mayáns, in Revista de Filologia española, X (1923), p. 57 segg. Una scelta del Teatro critico e delle Cartas eruditas a cura di A. Millares Carlo, in Clásicos castellanos, Madrid 1923 segg.