BALBO, Felice
Nacque a Torino il 1º genn. 1914da Enrico, conte di Vinadio e discendente di Cesare Balbo, e da Ada Tapparo. Allievo di Augusto Monti presso il liceo classico "M. d'Azeglio", abbandonato il cattolicesimo, assimilò la cultura laico-liberale avvicinandosi - in seguito a successive letture - più alla linea crociana che a quella gobettiana del Monti. All'università si iscrisse alla facoltà di filosofia, ma frequentò poi per due anni medicina, passando infine a giurisprudenza in cui si laureò nel 1938 con una tesi su "Diritto e linguaggio" sotto la guida di Gioele Solari.
L'anno successivo ebbe un impiego presso gli uffici direzionali della FIAT, iniziando qui la sua riflessione sul problema della società tecnologica, che diverrà d'ora in poi il tema centrale del suo pensiero. Richiamato alle armi nel 1940, fu inviato sul fronte albanese, dove contrasse un'infezione malarica. Rimpatriato, fu ricoverato in ospedale prima a Bari, poi a Torino, ove, dal luglio 1941, cominciò a lavorare per la casa editrice Einaudi. In questo periodo avvenne la sua riconversione al cattolicesimo. Nell'ospedale militare di Torino conobbe, nel settembre 1942, A. Tatò da cui seppe dell'esistenza a Roma di un "movimento di sinistra cristiana", costituito dal luglio 1941 in Partito cooperativista sinarchico. Trasferito nel dicembre nella capitale, al seguito della Einaudi, entrò in contatto con F. Rodano, collaborando con lui e con altri membri del movimento che frattanto si era trasformato in Partito comunista cristiano. Richiamato alle armi nel marzo 1943 e destinato al 3º reggimento alpini Pinerolo, lasciò Roma. Dopo il 25 luglio tornò a Torino, ove rinsaldò l'amicizia con gli intellettuali vicini alla Einaudi, come Leone e Natalia Ginzburg, Cesare Pavese, Giaime Pintor ed Elio Vittorini, ed entrò in contatto con esponenti partigiani, tra cui l'operaio comunista Luigi Caprioglio. Ricoverato nuovamente in ospedale in settembre per febbri malariche, alla fine di novembre lasciò il capoluogo piemontese rifugiandosi a Campertogno, in Valsesia, dove lo raggiunse ai primi di dicembre una lettera del Rodano che lo invitava a Roma per partecipare alle lotte del Movimento dei cattolici comunisti. Dopo essersi sposato il 10 dic. 1943 a Torino con Gigliola Berardelli il B. si trasferì nella capitale, ove rimase fino al maggio 1944.
Frutto delle discussioni avvenute in quei mesi all'interno del gruppo, composto da F. Rodano, A. Ossicini, F. D'Amico e il B., è l'opuscolo Il comunismo e i cattolici, materialmente redatto dal D'Amico: il nucleo, concepito dal B., sta nell'idea del materialismo storico nato per situazioni contingenti insieme con il materialismo dialettico, ma da questo facilmente separabile e, in sostanza, riducibile a tecnica della politica.
Dopo una permanenza a Torino durata fino alla fine del conflitto (qui fu arrestato tra il marzo e l'aprile 1945), rientrò a Roma, dove trovò il movimento, che si era frattanto trasformato in Partito della sinistra cristiana, in preda a una crisi profonda, dovuta alla sconfessione manifestata il 6 maggio dal Vaticano in una nota apparsa sull'Osservatore romano (che riprendeva precedenti richiami). Nei mesi seguenti, egli assecondò le posizioni di Rodano, che portarono (nel congresso del 7-9 dic. 1945) allo scioglimento del partito e all'ingresso di molti dei suoi militanti nelle file del Partito comunista italiano. Anche il B. fece questa scelta, che fu coerente con la sua affermazione circa l'inammissibilità della costituzione di un partito cristiano e dell'esistenza stessa di una ideologia cristiana ("La religione cristiana non può annettersi il diritto di dividersi pacificamente il mondo e di condividere le cose insieme a Satana, come fa oggi un certo partito cristiano"; si veda l'intervento del B. al congresso in Per una storia della Sinistra cristiana, a cura di M. Cocchi e P. Montesi, Roma 1975, pp. 238 ss.).
Ritornato a Torino, partecipò alla vita culturale, collaborando al Politecnico di E. Vittorini e dirigendo con N. Bobbio e G. Colli alcune collane presso la Einaudi. Nei numerosi articoli scritti in questi anni, avendo come interlocutori principali N. Bobbio e A. Del Noce, intrecciò un serrato dibattito sul marxismo, sulla religione, sulla ideologia religiosa, sulla filosofia postmarxiana.
Nel frattempo aveva pubblicato L'uomo senza miti (Torino 1945, ora in Opere, pp. 1-103) e Illaboratorio dell'uomo (ibid. 1946, ibid., pp. 105-200).
Qui il B. propone la sua definizione di filosofia come tecnica e combatte contro ogni forma di metafisicismo e di parzialità ideologica. Pur permanendo nel suo pensiero solidi depositi di crocianesimo, oramai punto di riferimento primario per la filosofia del B. è diventato il realismo aristotelico-tomistico. Egli afferma tuttavia di considerare s. Tommaso una guida e un maestro, ma non un punto di partenza e tanto meno un punto di arrivo. Il tomismo balbiano è filtrato attraverso le letture di Gilson, Horváth, Marin-Sola e si caratterizza subito in alternativa al neotomismo francese di Jacques Maritain. Di questo, infatti, non ha la sistematicità né quella specie di deduttivismo ideologico che caratterizza alcune opere del pensatore francese.
Il progressivo distacco dal PCI, già di fatto avvenuto intorno al 1948, fu sancito nel 1950 con il mancato rinnovo della tessera. Il 5 febbr. 1952 apparve su L'Osservatore romano una autocritica firmata dal B., da S. Fé d'Ostiani, da M. Motta, da U. Scassellati e da G. Ceriani Sebregondi, in cui si dichiarava l'impossibilità per un cattolico, secondo le indicazioni del magistero ecclesiale, di appartenere ad un partito marxista.
In quegli anni, il B. si accostò maggiormente alle problematiche filosofiche e sociologiche implicate dalla realtà industriale. Organizzò gruppi di lavoro; fu tra i promotori di alcune riviste (Cultura e realtà nel 1950 con C. Pavese, Terza generazione nel 1953 con B. Ciccardini, G. Baget Bozzo, C. Leonardi). Nel 1956 ottenne l'insegnamento di filosofia morale presso la facoltà di magistero di Roma e venne assunto dall'IRI. Qui si occupò dapprima del settore problemi del lavoro, quindi della formazione dei quadri manageriali presso l'IFAP (Istituto per la formazione e l'aggiornamento professionale).
Gli interessi filosofici del B. negli anni Cinquanta e sino alla conclusione della sua vita si orientano sempre di più, pur se in maniera lucidamente critica, verso l'analisi di pensatori dalla forte problematica etica e antropologica, come Simone Weil e Teilhard de Chardin. Le sue fonti principali rimangono, però, i testi tomistici e neotomistici e i residui delle vecchie letture crociane. Notevole, inoltre, è la presenza nel suo pensiero di suggestioni derivate dalla fenomenologia di Max Scheler. Nel 1962 il B. pubblicò il volume Idee per una filosofia dello sviluppo umano (Torino 1962, ora in Opere, pp. 359-530). Il suo fisico, già debilitato dalla malattia contratta in guerra, non resse a un infarto polmonare: morì a Roma il 3 febbr. 1964.
Egli stava lavorando ad un volume sistematico, i cui frammenti sono stati pubblicati postumi, con il titolo (già definito dall'autore) di Essere e progresso (Opere, pp. 629-920). Il B. dimostra, in queste ultime opere, la sua convinzione che non si debba più partire da zero, ma che occorra "ricominciare continuando", a testimonianza di un pensiero che si presenta antiutopico, aderente alla storia e ai suoi fenomeni strutturali.
L'attenzione degli studiosi per il pensiero filosofico del B., dapprima molto scarsa, è andata aumentando nella seconda metà degli anni Settanta. Della sua filosofia è stata in particolare apprezzata la pregnanza delle prospettive, la novità di certi impianti ontologici, l'attenzione al dato esistenziale. Senz'altro originale, per il panorama italiano, è la relazione che il B. pone nelle prime due opere tra filosofia, tecnica e società.
In un quadro teoretico che pare risentire anche di alcuni motivi della cultura e della filosofia americane, emerge la nozione di filosofia come tecnica specifica. Ne consegue il rifiuto di ogni radicalismo metafisicistico e la sottolineatura dei problemi concreti dell'uomo. Il fondo antiutopico della sua filosofia porta il B. a prendere atto della natura tecnologica della società, della massiccia presenza della "macchina" e dei pericoli che possono derivare da un uso degenere di questa. La filosofia, divenuta tecnica tra le tecniche, può servire a liberare l'uomo dai miti (primo tra tutti il metafisicismo) e si costituisce come laboratorio per l'"uomo nuovo". La constatazione che il B. fa, dopo essere approdato a rive tomistiche, della impossibilità di scindere il materialismo dialettico da quello storico (ipotesi su cui reggeva l'intera impalcatura teorica del movimento cattolico-comunista) spinge il filosofo a cercare i correttivi interni alla società industriale, senza con questo dover ricorrere agli strumenti del ribaltamento rivoluzionario. L'approfondimento che il B. ha fatto dei temi, in parte derivati dalla sociologia americana, delle "relazioni umane" e delle "comunità di fabbrica" insistendo soprattutto sui "piccoli gruppi" di lavoro, legittima l'osservazione di Del Noce per il quale è rilevante l'influenza degli uomini della Sinistra cristiana sulla elaborazione sociologica italiana.
L'ultimo B. appare, a prima vista, meno originale rispetto a quello delle due prime opere e, senz'altro, ha influito in misura molto ridotta nel dibattito culturale italiano. In tale periodo egli si dedica, in maniera quasi esclusiva, alla elaborazione dei concetti di sviluppo, essere e progresso sempre più letti in una ottica ontologica, dove la nozione di "essere partecipato" (di fonte tomistica, ma con le mediazioni teoretiche dianzi ricordate) prevale sulle altre pur notevoli istanze esistenziali presenti nel suo pensiero. La riflessione finale del B. è orientata, per quanto concerne la sfera socio-politica, verso il progetto di una pianificazione democratica che risponda ai bisogni vitali dell'uomo, rimanendo, però, pregiudiziale una riconversione ontica dell'umanità.
L'opera incompiuta Essere e progresso avrebbe dovuto costituire la mappa di un esse di cui filosofia e linguaggio comune danno prospettive integrate. L'incompiutezza dell'opera non maschera, però, il quadro generale che delinea le strutture essenziali dell'essere partecipato. Il tema del rapporto tra tecnica e filosofia - tema primario e assorbente nei volumi del 1945 e 1946 - apparenotevolmente ridimensionato: la filosofia, la metafisica, l'ontologia hanno guadagnato posizioni di progressiva autonomia dalla tecnica. Anche la filosofia conserva una sua "tecnica", ma la stessa sarà vana senza una correzione del "retto atteggiamento" del filosofare: cioè la riconversione all'essere. Il B. è senz'altro il filosofo italiano della civiltà industriale e della conciliazione tra tradizione metafisica e ontologica ed inderogabili istanze pratiche. Spesso la saldatura non è esente da incrinature, ma il senso complessivo dell'opera pare di una originalità e di una profondità indiscutibile, in questo tentativo di restituire, a universi teoretici chiaramente datati, gli orizzonti di un riscatto collettivo non utopico.
Fonti e Bibl.: Documenti sull'attività del B. si trovano presso la famiglia Balbo, la casa editrice Einaudi e l'IRI-IFAP. I suoi scritti editi sono raccolti in Opere 1945-1964 (Torino 1966). Su di lui sirimanda a R. Albani, Bibliografia su B. (1945-1984), in F. B. tra filosofia e società, a cura di G. Campanini e G. Invitto, Milano 1985. Vedi inoltre A. Bausola, Neoscolastica e spiritualismo, in AA. VV., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Bari 1985, pp. 308-315.