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BATTAGLIA, Felice

di Umberto Coldagelli - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)
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BATTAGLIA, Felice

Umberto Coldagelli

Nacque a Vitorchiano, nel Viterbese, il 5 apr. 1772 da cospicua famiglia locale. Dopo aver compiuto i primi studi nel seminario di Sutri e a Viterbo, dove giovanissimo fu ordinato sacerdote, si trasferì alla fine del 1789 a Roma per intraprendere gli studi di diritto civile e canonico, che, però, per difficoltà economiche, non riuscì a portare a termine. Dopo la pace di Tolentino si ridusse ad accettare la direzione della parrocchia di Fianello in Sabina e si distinse subito per l'ascendente sulla popolazione e per l'asprezza della propaganda antifrancese. Arrestato per qualche giorno e poi liberato, fuggì a Vitorchiano, dove organizzò una banda di contadini, che, al tempo della campagna napoletana del novembre del 1798, operò in appoggio alle colonne dell'esercito del Mack in vari territori del Viterbese. Dopo la disfatta dei Napoletani ad opera dello Championnet, si aggregò con la sua banda ai resti delle truppe del Mack e del Damas, che, sgombrato rapidamente il Lazio, si ridussero a Napoli alla fine di dicembre.

Il quadro che egli ha lasciato nelle sue memorie di questa campagna e delle sue agitate conseguenze riesce a dare, a detta del Croce, l'impressione viva e immediata degli avvenimenti e dei personaggi in un racconto serrato e circostanziato. A Napoli il B. fu accolto con diffidenza dai lazzari che accusavano i Romani di aver avuto gran parte nel fallimento dell'impresa; si spostò quindi in Puglia, poi negli Abruzzi, dove in due mesi di vita avventurosa organizzò la resistenza antifrancese e, da Manfredonia a Taranto a Vasto, fu partecipe e testimone d'una ferocissima guerra civile. Nel marzo del 1799 riapparve improvvisamente a Vitorchiano; braccato dai Francesi, riuscì tuttavia a riorganizzare l'insorgenza, a disciplinarla e, nell'estate, a condurre la sua colonna di contadini in appoggio alle forze ausiriache e alle bande aretine che dall'Umbria puntavano su Roma; partecipò quindi alla difesa di Viterbo insorta e all'espugnazione di Civitacastellana.

Tornato finalmente a Roma, ottenne di proseguire gli studi legali e nel 1802 entrò come primo aiutante nello studio del celebre avvocato Invernizzi. Ma dopo l'occupazione di Roma da parte delle truppe del gen. Miollis riprese la sua attività ribelle ed ebbe incarichi di fiducia dalla segreteria di Stato come quelli di sorvegliare il Quirinale alla vigilia dell'arresto di Pio VII e di mettersi in contatto con la flotta inglese che incrociava nel Tirreno.

Alla fine del 1805 venne arrestato dai Francesi; durante il periodo di detenzione egli maturò, a quanto racconta nelle memorie, la conversione all'idea d'una Italia unita e indipendente e il disegno d'una organizzazione segreta.

Il sentimento nazionale, sorto durante il triennio rivoluzionario, s'era duramente scontrato con la politica di Napoleone e la realtà della dominazione francese: appunto in quegli anni lo spirito d'opposizione contro il regime imperiale si diffondeva largamente attraverso un complesso movimento settario i cui oscuri fermenti, anche se talvolta di origine reazionaria, mettevano capo sovente all'esigenza dell'indipendenza e dell'unità. Così il B., uscito dal carcere e stabilitosi a Corneto, cominciò a ordire le fila della nuova organizzazione e concepì anzitutto l'idea di associare al suo piano la massoneria; a tale fine a Viterbo si incontrò col professore Francesco Orioli, "venerabile" della loggia locale, ma questi, con un dettagliato rapporto alla polizia, gli procurò un nuovo arresto e alcuni mesi di carcere a Castel Sant'Angelo. Appena libero, approfittando del suo nuovo incarico di vice parroco di San Sebastiano, il B. riprese la sua segreta attività organizzativa, respingendo suggestioni di alcuni emissari del cardinale Pacca, segretario di Stato, tendenti a convincerlo a riorganizzare l'insorgenza.

Munito d'una stamperia portatile, nel settembre del 1813 cominciò a stampare e diffondere attraverso gli affiliati alla congiura a Roma, nel Viterbese e nel Reatino alcuni proclami nei quali, a nome d'una sedicente "Lega italiana", si invitavano gli Italiani a seguire l'esempio spagnolo, a rifiutare ogni obbedienza all'oppressore, ad unire tutte le loro forze militari per battere i Francesi ormai in rotta su tutti i campi d'Europa. Nel novembre nel Viterbese, ove si era rifugiato, passò all'azione diretta secondo un piano ambizioso che prevedeva la presa di Viterbo e la sollevazione d'una vasta zona dell'Italia centrale; ma la sua colonna, che non superò mai le 150 unità, ben presto fu dispersa ad opera delle stesse popolazioni cittadine locali. Abbandonato e ferito, il B. fu preso a Vitorchiano il 7 dicembre. Interrogato a Viterbo, non lesinò rivelazioni sull'entità e gli obbiettivi del suo movimento; trasferito a Roma, stando alle sue memorie, si sarebbe comportato fierissimamente di fronte ai militari francesi, tra i quali sembra lo stesso generale Miollis, incaricati di istruirgli il processo.

Dalle denuncie dell'Orioli e dagli interrogatori di Viterbo si hanno elementi assai precisi per ricostruire il programma politico unitario del Battaglia. Egli sognava di mettere in movimento tutte le classi sociali per dare all'Italia un sovrano italiano: i contadini sotto la guida del clero, i borghesi delle professioni liberali attraverso la massoneia, i nobili col miraggio di onori e fortune più vaste nella futura corte italiana. In realtà, egli era in contatto solo con elementi retrivi e clericali, che miravano ad averlo come loro strumento: consapevole di ciò, sperava in un prossimo allargamento e potenziamento della lotta per l'indipendenza in conseguenza dell'imminente crollo di Napoleone, convinto com'era che anche al futuro equilibrio europeo l'Italia unita sarebbe stata utile e necessaria.

Durante la preparazione della congiura il B. aveva cercato di guadagnare alla sua causa il console di Gioacchino Murat a Roma, Zuccari; poi nel dicembre dell'anno 1813, secondo quanto afferma Gabriele Pepe, nelle sue Galimatias (cfr. Miscellanea napoleonica, a cura di A. Lumbroso, serie 3-4, Roma 1898, pp. 670 ss.), aveva implorato la protezione del re di Napoli attraverso il generale napoletano Francesco Pignatelli di Strongoli allora di passaggio per Roma e diretto a Bologna a preparare la campagna unitaria del Murat; e il Pignatelli pare lo rassicurasse del suo interessamento presso il re. Ma all'arrivo dell'esercito napoletano a Roma il B. restò in carcere, a suo dire per non aver voluto entrare al servizio del Murat ormai compromesso dalla sua recente alleanza con gli Austriaci. Così l'istruzione del processo continuò finché nel maggio del 1814 egli non venne improvvisamente trasferito a Gaeta.

Liberato per interessamento dell'Invernizzi e, pare, per intercessione dello stesso pontefice, volle tornare a Roma dove, però, ritenuto massone e nemico del potere temporale, fu ancora segregato fino al maggio del 1815; allora, per premunirsi da eventuali sorprese, nell'imminenza dell'arrivo delle truppe murattiane, se ne andò per breve tempo a Palermo. Visse il resto della sua vita in povertà, continuamente sorvegliato dal governo pontificio. Spirito animoso, talvolta stravagante, seppe conservare una propria coerenza: non fu certamente, come ritenne l'Orioli, un sanfedista mascherato; la sua passione patriottica fu certamente viva e sincera e seppe ribadirla tutta intera molti anni più tardi, nel pieno degli entusiasmi neoguelfi, nelle sue memorie che uscirono nel 1847 a Firenze col titolo di Vicende curiose della vita dell'avvocato F. B. dal 1792 al 1847. Nonostante la sua vita avventurosa, il B. non trascurò di coltivare i suoi vari interessi scientifici e letterari; si sa che lavorò con passione intorno a un trattato di linguistica, ad un poema epico, a varie opere di diritto civile. Morì nel 1853.

Bibl.: G. Lumbroso, Roma e lo Stato romano dopo il 1780 da un un'inedita autobiografia [di F. Orioli], in Rendic. d. R. Accad. dei Lincei, classe di scienze morali, stor. e filol., s. 5, I (1892), pp. 228-30; L. Madelin, La Rome de Napoléon Paris 1906, pp. 607, 620-23, 626; D. Spadoni: Un prete brigante-patriota nel 1812-13, in Rass. stor. del Risorgimento, VI(1919), pp. 645-670; N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero: Francesco Pignatelli principe di Strongoli, Bari 1927, I, pp. XXIX s.; L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese degli Abruzzi, Aquila 1928, I, pp. 128, 881 s.; II, pp. 583 s.; B. Croce, La campagna napoletana del 1798, in Quaderni della critica, n. 6, novembre 1946, pp. 94 s.; V. Gorresio, Le campagne di un prete di campagna, in Il Mondo, 22, 29 apr. 1950.

Vedi anche
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