BONGIOANNI, Felice
Nacque a Mondovì nel 1770 da Carlo Raffaele, mercante di panni, e da Maria Maddalena Bunico.
La famiglia, oriunda della Novalesa (Susa) ove, a metà del sec. XVI, era costituita da agiati agricoltori, aveva successivamente annoverato uomini di legge, notai e mercanti e si era trasferita due secoli dopo a Mondovì. Rigidamente cattolica e tradizionalmente patriarcale, nell'ultima generazione non era stata insensibile alla cultura d'Oltralpe e alle idee della Rivoluzione francese: oltre a Stefano, nominato il 30 dic. 1798membro del nuovo Ufficio di Intendenza sotto i Francesi, altri due fratelli del B., Prospero e Giuseppe Domenico, sono ricordati come risoluti repubblicani.
Il B., che esercitava l'avvocatura a Torino, partecipò non ancora trentenne al governo provvisorio costituito nel dicembre 1798, dopo la rinuncia al trono di Carlo Emanuele IV, in qualità di capo ufficio degli Affari interni. Ma rinunciò all'incarico pochi giorni dopo esservi stato chiamato (7 febbr. 1799), per un insanabile contrasto con la politica estera del governo, favorevole all'annessione del Piemonte alla Repubblica francese. L'opposizione del B. si spiega con la sua adesione al progetto italico-unitario ch'egli aveva sostenuto pubblicamente il 3 gennaio con un discorso pronunciato nella sala dell'Adunanza patriottica di Torino.
Il B. non era il solo nei circoli governativi piemontesi che fosse avverso al voto di "riunione" (con ogni probabilità, come sospettavano le autorità francesi, la società dei "Raggi" era rappresentata segretamente in Piemonte da un "comitato degli indipendenti" e contava nello stesso governo provvisorio i suoi emissari), ma fu l'unico a dichiarare apertamente il suo animo.
Inoltre, collegato sicuramente con la centrale lombarda degli unitari attraverso il poeta toscano ed emissario cisalpino Giovanni Fantoni (Labindo), il B. insieme con lo Stura e il Riccati aveva sollevato gli animi del popolo contro le votazioni plebiscitarie sul tema dell'annessione; a causa di ciò fu rinchiuso nella cittadella dal comandante francese.
Sopraggiunti in Piemonte nel maggio 1799, con il rovescio delle armi francesi, gli Austro-russi guidati dal Suvarov, numerosi giacobini piemontesi, tra cui il B., ripararono in Francia.
I Mémoires d'un jacobin, rimasti inediti fino al 1958, che il B. cominciò a scrivere sulla fine di quello stesso anno 1799a Marsiglia, narrano le vicende dolorose della ritirata e, tra le annotazioni più rilevanti, rendono conto dell'incontro da lui avuto, per incarico del Fantoni, con André Amar, già membro del comitato insurrezionale del Babeuf, perseguitato dal Direttorio di Parigi ed allora rifugiato nel villaggio di Barraux presso Chambéry. Dalle volontarie reticenze dei Mémoires e dal loro discorso significativamente allusivo si può trarre la certezza del collegamento operante tra gli unitari italiani e gli esponenti francesi dell'estremismo giacobino.
Dopo Marengo il B. si ritirò, almeno apparentemente, dalla, milizia unitaria e ricoprì incarichi amministrativi, quali le funzioni di commissario della provincia di Torino, di senatore e di membro del Magistrato di sanità. Nonostante tali promettenti inizi di vita pubblica, appuntò i suoi desideri solamente sulla carriera universitaria, rinunciando alla toga di magistrato cui aveva diritto come aggregato al Collegio dei giureconsulti. Senonché, dopo quattro anni di insegnamento, fu, suo malgrado, allontanato dall'incarico e nominato procuratore imperiale a Ceva (1805) e sostituto procuratore generale a Genova (1811).
I progetti italico-unitari, nonostante lo sfiduciato ripiegamento sulla professione legale, non dovevano averlo comunque abbandonato, se una informativa della polizia austriaca di Milano del novembre 1816 diceva: "Al tempo che Buonaparte era all'isola d'Elba, il suddetto Bongioanni teneva corrispondenza viva col ... Buonaparte o suoi agenti in quell'isola ... Il suddetto Bongioanni, unitamente a Braida e Azuni sono li Capi della congiura per l'Indipendenza italiana e lavorano indefessamente per la medesima". La notizia poteva non essere priva di fondamento. L'avv. F. Braida, alto magistrato a Genova, ed il giurista D. Azuni erano in realtà intimi del Bongioanni. Di più era nota l'esistenza di una centrale genovese degli unitari, tanto che il Metternich ebbe ad affermare a Vienna, al comitato delle otto potenze incaricate di deliberare sulla sorte della Liguria, che a Genova un centro rivoluzionario teneva "intelligenze segrete con tutti gli amatori dell'indipendenza italica e delle libere istituzioni".
Con la restaurazione sopraggiunse per il B. la disgrazia politica. Egli rimase senza impiego dal 1814 fino al riordinamento dei tribunali nel 1822, allorché fu nominato assessore aggiunto al Tribunale di Prefettura di Genova e poi avvocato fiscale presso quello di Savona, incarico successivamente sospeso forse per i perduranti sospetti politici che su di lui gravavano, e poi reintegrato da Carlo Alberto, il primo monarca sabaudo a cui egli dichiarasse di riservare ammirazione e riconoscenza.
Il B. fu anche autore di composizioni poetiche in versi quali l'inedita Giandujeide, poema in 16 canti di ottave, scritto probabilmente tra il 1814 ed il 1819 e volto a fustigare con linguaggio anche pesante, come allora era costume, il restaurato sovrano Vittorio Emanuele I e la di lui consorte Maria Teresa, nonché la corruzione monastica, gesuitica e nobiliare e l'anacronistica arretratezza dei vecchi diritti reintegrati.
Morì a Savona il 22 nov. 1838.
Bibl.: N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese, III, Torino 1879, pp. 90, 92; D. Carutti, Storia della corte di Savoia, II, Torino 1892, pp. 30, 364; G. Sforza, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni (Labindo), Genova 1907, pp. 165, 168; D. Spadoni, Milano e la congiura militare nel 1814 per l'indipendenza italiana, Modena 1936, pp. 292-294; D. Occelli, Il Monregalese nel periodo storico napoleonico,1792-1815, Mondovì 1950, pp. 452-54; G. Vaccarino, I patrioti "anarchistes" e l'idea dell'unità italiana, Torino 1955, passim; Id., Introduzione a F. Bongioanni, Mémoires d'un jacobin (1799), Torino 1958.