CANTIMORRI, Felice
Nacque a Russi (Ravenna) il 30 genn. 1811 da Giacomo e da Maria Orlandi. A quindici anni entrò nel seminario di Faenza, ma si trasferì, dopo pochi mesi, a Ravenna nel Collegio dei nobili, chiamatovi dal rettore mons. Farini, di Russi, in qualità di prefetto dei convittori. Nel 1828 entrò nell'Ordine dei frati minori cappuccini e compì il noviziato nel convento di Cesena. Un anno dopo fece la professione, mutando il nome di battesimo, Luigi, in Felice. Fu consacrato sacerdote a Bologna, dove era stato mandato per completare gli studi di filosofia, dal card. Opizzoni nell'anno 1833.
Nell'Ordine - dal 1834 al 1846 - gli furono affidati vari incarichi: dapprima lettore di filosofia nel convento di Imola e di teologia in quello di Ferrara; nel 1840 guardiano e maestro dei novizi nel convento di Cesena; due anni dopo, definitore provinciale e guardiano del convento di Ravenna; infine, prefetto delle sacre missioni della provincia cappuccina di Romagna. Durante questi anni il C. svolse un'intensa attività di insegnamento e di predicazione in tutte le diocesi della Romagna, tanto da meritare la stima, l'amicizia e la protezione del card. Falconieri, arcivescovo di Ravenna, e, in particolare, del card. Mastai Ferretti, arcivescovo di Imola. Quest'ultimo, infatti, eletto papa, lo nominò nel dicembre 1846 vescovo della diocesi di Bagnorea.
Nel ministero pastorale il C. ebbe come guida costante la ferma e sincera adesione allo spirito e alla lettera delle disposizioni della S. Sede e l'esperienza conventuale, della quale si avvalse per consolidare l'organizzazione ecclesiastica, che volle fondata precipuamente sulla formazione culturale e spirituale del clero e sull'esercizio della carità. In questa linea, nella diocesi di Bagnorea promosse il restauro della cattedrale e la riedificazione di varie chiese, usufruendo delle rendite della mensa vescovile e delle offerte dei fedeli; istituì un ricovero per vecchi ed un educandato femminile; riorganizzò il seminario, riformando i programmi ed esercitando una costante vigilanza, consapevole della importanza essenziale di questo istituto per la vita religiosa e per l'unità della Chiesa; avviò, per i chierici e anche per il clero, la pratica dei ritiri annuali e degli esercizi spirituali; promosse missioni; fece la visita pastorale in tutte le parrocchie della diocesi. Resse la diocesi di Bagnorea per otto anni.
Nel 1854 Pio IX trasferì il C. alla diocesi di Parma, quale successore di mons. Neuschel, ungherese, ritiratosi per ragioni politiche nel 1852.La scelta del papa corrispose all'istanza avanzata dalla duchessa reggente di Parma, Luisa Maria.
La duchessa aveva richiesto per Parma un vescovo "energico e illuminato", aggiungendo: "io prego in questo momento la Santità Vostra di scegliercelo, e di mandarcelo Ella stessa. So che si era trattato di proporre un rispettabile ecclesiatico tedesco: ma noi abbisognamo di un vescovo italiano, e che venga dalla sua stessa mano".
Il C. prese possesso della diocesi di Parma il 15 agosto 1854, preceduto dalla fama di "vescovo del tutto apostolico" (Martini, p. 44), espressione che sottolineava la sua fedeltà al papa e la particolare e preminente cura dedicata alle questioni pastorali.
Il C. si mostrò pienamente consapevole del ruolo che avrebbe dovuto svolgere a Parma, dichiarando che il suo compito di portare a salvezza i fedeli sarebbe stato attuato in accordo con lo sforzo della reggente di riordinare la cosa pubblica, "da cui però sia la Chiesa di Cristo che il Civile Principato ogni maggior bene se ne potran ripromettere" (Letterapastorale, Parma 1854, p. 11). E, per consolidare il concetto, citava il predecessore mons. Adeodato Turchi, cappuccino e vescovo illuminato.
Nella nuova diocesi, molto più ampia della precedente (305 parrocchie) e con accentuate, tensioni culturali e politiche, il C. non modificò la sua linea pastorale. Non cercò, cioè, di mediare le posizioni, anzi mirò a tagliare, piuttosto che a sciogliere i nodi. La linea di rigida intransigenza e di assoluta chiusura, rispetto ad ogni tendenza innovatrice in campo religioso e dottrinale, tenuta dal C. in ossequio alle posizioni assunte dalla S. Sede, favorì, tuttavia, in prospettiva il consolidamento delle strutture ecclesiastiche. Non evitò invece al vescovo disagi e condanne.
Pur con questi limiti, l'attività del C. a Parma sul terreno delle opere ottenne notevoli risultati. Il vescovo fu in prima fila nel portare aiuto in occasione delle epidemie di colera diffusesi a Parma dal luglio all'ottobre 1855e nel 1867 e dello straripamento del torrente Parma nel settembre 1868.Fece, a cominciare dal 1855, la visita pastorale, che volle preceduta da missioni in ogni parrocchia. Accentuò, contro le tendenze, "che non potendo negare la necessità della Religione, pensarono spegnerne gli effetti salutari, confinandola nell'interno degli intelletti e dei cuori" (Omelia... nel dì d'Ognissanti, Parma 1856, p. 5), la magnificenza delle funzioni religiose. Sostenne - forse non rendendosi esattamente conto della loro portata politica - le nascenti istituzioni cattoliche, quali: la Conferenza di S. Vincenzo, l'Associazione cattolica S. Francesco di Sales, l'Associazione cattolica italiana per la libertà della Chiesa, l'Apostolato della preghiera, la Congregazione del SS. Cuore di Gesù e di Maria, le Opere per la propagazione della fede, per la salvezza della santa infanzia, per la redenzione dei chierici dalla leva militare.
Naturalmente, una attenzione tutta particolare dedicò alla formazione del clero, sia nei due seminari esistenti, a Parma e a Berceto, sia nel nuovo seminario da lui fondato, nel quale furono accolti, con l'obbligo dell'internato, i chierici poveri.
Il C. ebbe tuttavia, con parte del clero, "influenzato dalla facoltà di teologia" (Pelosi, Mons. F. C., p. 374), i maggiori contrasti, inseriti nel contesto degli avvenimenti risorgimentali. Rispetto agli avvenimenti, così come rispetto alle posizioni espresse all'interno della Chiesa parmense, assunse una posizione di estrema rigidità e di rifiuto totale, senza compromessi, non necessari, ma anche senza sfumature tattiche, forse utili e opportune stante la situazione della diocesi.
Così nel 1860preferì recarsi a Roma, ove rimase fino alla fine del 1861, piuttosto che incontrare Vittorio Emanuele II, che faceva il suo ingresso a Parma. Rientrato in diocesi, su invito del ministro di Grazia e Giustizia, previa assicurazione che ""nelle vigenti Leggi sia per la sua persona, sia per l'esercizio del suo ministero" vi avrebbe trovato la stessa guarentigia mai venuta meno "a tutti quei vescovi" che non si erano posti "in aperta ostilità col Governo Nazionale e colle sue Leggi"" (Berti, p. 121), non esitò a comminare ai sacerdoti, che avevano reso omaggio al sovrano, la sospensione a divinis, secondo l'ordinanza pontificia del 16 maggio 1861. Negli anni successivi, sorvegliato costantemente dalla polizia, attaccato dalla stampa locale (Gazzetta di Parma,Il Patriota,Il Presente) e disapprovato anche da parte del clero, fu costretto a rimanere isolato per lunghi periodi di tempo, senza per questo deflettere dalla sua linea di condotta. Nel 1862 e nel 1863 fu denunciato al Consiglio di Stato e condannato a 200 lire di multa, la prima volta, e, la seconda, al sequestro di un quinto delle temporalità della mensa, per avere censurato quei sacerdoti che avevano partecipato alla celebrazione della festa nazionale del 7 giugno. Nel 1866 fu inviato per cinque mesi a Cuneo in domicilio coatto, in forza del dispositivo della legge Crispi. Il C. non fece comunque nulla per mitigare i contrasti; con coerenza espresse continuamente in ogni omelia e in ogni altra occasione la "venerazione profonda e invariabile" (Micklis, p. 27) alle prerogative e alla persona del pontefice, ribadendo per qualsiasi argomento l'autorità della Chiesa e del pontefice sopra ogni altra autorità.
A proposito dell'opportunità delle definizioni dogmatiche, affermava: "ebbene: se siete cattolici, i cattolici non chiedono ragione alla Chiesa" (Omelia ... per la pronunciata dommatica deffinizione dell'Immacolato Concepimento di Maria SS., Parma s.d. [ma 1855], p. 8). Il C. sembra quasi ricercare nemici alla Chiesa, per scagliarvisi contro con gran forza. Li vedeva dovunque e non mancò di individuare tra questi, oltre ai protestanti, ai liberali, ai massoni, "i falsi cattolici", cioè quelli che "procedono con timore, anzi con finta reverenza, moderatamente, e dando vista di ammettere e rispettare tutto quello, che non contraria le loro passioni, i loro interessi, i pretesi lumi della loro ragione" (Indulto quaresimale 1869, p. 3).
La sua fede cieca, fondata sulla autorità, pose naturalmente il vescovo di Parma tra coloro che votarono convinti a favore dell'infallibilità del pontefice, il 19 luglio 1870, anche se i suoi interventi a sostegno del dogma non furono né profondi né apprezzati (Maccarrone, passim). Fu l'ultimo atto della sua missione: partito da Roma due giorni dopo, già prostrato dal male, morì il 28 luglio 1870 mentre stava recandosi in visita a Bagnorea.
Dell'attività pastorale del C. molte lettere pastorali, omelie e discorsi furono messe a stampa.
Fonti e Bibl.: G. M. Allodi, Serie cronol. dei vescovi di Parma, II, Parma 1856, pp. 585-598; Id., Commentariolum sacrum piae memoriae patris reverendissimi F. C., Parma 1870; N. Barbacci, Alla dolce mem. di mons. F. C. vescovo di Parma, Viterbo 1870; L. Micklis, Alla mem. di mons.F. C., Parma 1870; Pellegrino da Forlì, Biografia di mons. F. C. vescovo di Parma, Venezia 1870; M. M. Martini, Vita di mons. fr. F. C.dell'Ordine dei MM. Cappuccini, vescovo di Parma, Parma 1895; E. Casa, Parma da Maria Luigia imperiale a Vittorio Emanuele II (1847-1860), Parma 1901, pp. 309-314; V. Soncini, La BeataVergine del Rosario venerata in Borgo Carra(Parma), Parma 1906, pp. 113-115; T. Bazzi-U. Benassi, Storia di Parma, Parma 1908, pp. 454 s.; A. Schiavi, La diocesi di Parma, I, Parma 1925, p. 96; Valeriano da Carpi, Mons. F. C. cappuccino vescovo di Parma, in Frate Francesco, VIII (1930), pp. 89-91; Donato da S. Giovanni in Persiceto, Biblioteca dei frati minori cappuccini dellaprovincia di Bologna, Budrio 1949, pp. 163-71; R. Fantini, Cent'anni della S. Vincenzo a Parma, Parma 1954, pp. 11-22; G. Giovanardi, Il colera del 1855in Parma e il servizio relig., in Parma per l'arte, VII (1957), 1-3, pp. 4-8 (dell'estr.); I. Dall'Aglio, I seminari di Parma, Parma 1958, pp. 43 s., 105 s.; G. Berti, Ideologie polit. e socialinegli ex-Ducati di Parma e Piacenza durante ilprimo decennio dell'unità italiana, in Arch.stor.per le province parmensi, s. 4, XIII (1961), pp. 121-157; Felice da Mareto, Necr. dei cappucciniemiliani delle province di Bologna (1535-1679)edi Parma (1679-1962), Parma 1962, pp. 438 s.; C. Pelosi, Note ed appunti sul movim. cattolico aParma (1859-1931), Parma 1962, ad Ind.;C. Marsilli, I catt. intransigenti a Parma dal 1860 al 1880, in Aurea Parma, XLVII (1963), 3, pp. 127-135; M. Maccarrone, Il Concilio Vaticano I e il "giornale" di mons. Arrigoni, Padova 1966, ad vocem;C. Pelosi, Mons. F. C. e il suo tempo, in Arch.stor. per le province parmensi, s. 4, XIX (1967), pp. 371-381; Bibl. generale delle antiche prov.parmensi, a cura di Felice da Mareto, I, Parma 1973, p. 120; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, coll. 313 s.