CAVALLOTTI, Felice Carlo Emanuele
Scrittore e uomo politico, nato a Milano il 6 dicembre (secondo altre fonti ottobre) 1842, morto a Roma il 6 marzo 1898. Non aveva ancora compiuto gli studî liceali quando la Lombardia fu liberata dalla dominazione degli Austriaci; e fino d'allora s'addestrò nel giornalismo, e all'Unità Italiana inviò caldi articoli, spronando a soccorrere l'impresa di Garibaldi in Sicilia. Per la sua giovine età non poté partecipare alla spedizione dei Mille, ma riuscì a partire con la seconda spedizione, comandata dal Medici. Fu presente a molti dei fatti d'arme da Milazzo al Volturno (1° ottobre 1860), ed entrato a Napoli ebbe occasione di conoscere il Dumas, che lo invitò a collaborare all'Indipendente. Tornato a Milano, attese a tradurre dal tedesco la Vita di Gesù dello Strauss, che fu poi data alla luce nel 1865. Frequentò pure i corsi di legge all'università di Pavia. Nel 1866 corse ad arruolarsi tra i volontarî di Garibaldi, e combatté a Vezza; dopo la pace, riprese con rinnovato ardore la carriera giornalistica, fondando, insieme con altri giovani, come lui ardenti rivoluzionarî, quel Gazzettiano rosa, rimasto famoso nei fasti della stampa periodica. Scrisse pure in versi, con accesa fantasia, meritandosi le lodi di Giosue Carducci, che lo chiamò "il lirico della bohème", e d'allora iniziò la lunga serie di duelli e di processi, che caratterizzarono la sua vita di acerbo polemista. Attese pure a studî di storia letteraria, e fino dal 1872 aprì la lunga serie della sua produzione drammatica con un dramma in versi, I Pezzenti, che, rappresentato a Milano dal Ciotti e da Pia Marchi, segnò un trionfo per l'autore, il quale parve aver trovato la sua via, che percorse rapidamente con altre produzioni: Agnese (1873), Guido (1873), Alcibiade, la critica e il secolo di Pericle (1874), I Messeni (1877). Ma la vita politica, nella quale portò sempre uno spirito acre, aggressivo, quasi sempre inequanime, lo attrasse maggiormente. Eletto (28 settembre 1873) deputato al Parlamento per il collegio di Corteolona, sedette all'estrema sinistra, ma prima dichiarò pubblicamente che considerava nulla la formula del giuramento, dando occasione a un tempestoso incidente alla Camera. Né s'arrestarono le aspre polemiche, poiché il C., nella seduta del 28 maggio 1874, protestò contro il sequestro, che riteneva abusivo, d'un suo volume di Versi, e successivamente usò sempre un linguaggio tagliente, spesso irruento, quando ebbe occasione di denunciare qualche ingiustizia governativa. L'avvento della sinistra al potere (1876) fu da lui accolto con plauso; ma quando nacque il cosiddetto trasformismo, il C. ne fu nemico implacabile, proriunciando discorsi in Parlamento e in pubblico, che resero agitatissima la vita politica italiana, poiché i partiti, il Governo, l'esercito, l'amministrazione dello stato furono per il focoso oratore lo spunto di polemiche che degenerarono talvolta in pettegolezzi e accuse malsane e procurarono a questa strana figura di lottatore politico una serie di processi e di duelli, in uno dei quali, col tenente Ambrosini (10 aprile 1885), fu gravemente ferito. Maggiore accanimento mostrò il C. contro F. Crispi, che nell'agosto del 1887 aveva assunto le redini del governo. La polemica sulla politica italiana non era scesa fino allora alla pubblica denigrazione degli uomini politici, a oltraggiarli nella vita privata, accusandoli di malversazioni, di falsificazioni d'atti pubblici, insomma d'ogni specie di basse accuse. Il C. nella sua acrimonia contro lo statista siciliano non si peritò di calcare questa via: in Parlamento, nei tribunali, nei pubblici comizî, nella stampa periodica dilagarono accuse spesso campate in aria, astruse e cavillose, frutto di malsane passioni. Caduto il Crispi dopo Abba Garima, il C. continuò ad assalire con ferocia il suo avversario; entrato in polemica giornalistica con F. Macola, direttore della Gazzetta di Venezia, e corsa una sfida, il fiero polemista era ferito a morte in quello che conchiudeva la serie dei suoi numerosi duelli. Anche così impegnato nella lotta politica, il C. non si distolse dalla letteratura, specialmente drammatica, della quale diede notevoli saggi, oltre a quelli già indicati. Sono ancora da ricordare: Il cantico dei cantici (Trieste 1882), che corse le scene di tutti i teatri italiani; La sposa di Menecle, commedia (Roma 1882); Il povero Piero, dramma (Milano 1884); La figlia di Jefte (ivi 1887); Agatodémon (ivi 1891). Una raccolta completa delle sue opere è quella edita a Milano (1895-1896) in 10 volumi.
Bibl.: P. Bardazzi, F. C., Palermo 1898; B. Croce, in La letteratura della nuova Italia, II, 3ª ed., Bari 1929, pp. 167-177.