CHILANTI, Felice
Nacque a Ceneselli nell'Alto Polesine (Rovigo) il 10 dic. 1914 da Giovanni Battista e da Ida Bongiovanni in una famiglia di campagna (il padre "zappatore, mietitore, contadino e bracciante e terzadro"). La generosità e le disgrazie della sua gente, la casa natale alla Crusara di Ceneselli, gli torneranno nella memoria a distanza di anni con la fuga dei soldati e dei contadini polesani dopo la rotta di Caporetto. Ancora quattordicenne, chiamato dal fratello Pietro, si era trasferito a Roma, dove non completò gli studi di ragioneria, trovando invece un impiego presso l'Unione provinciale fascista agricoltori; più tardi lavorò all'ufficio stampa del nuovo ente per l'E 42. Entrò presto nel giro dei giornalismo come corsivista e inviato del Lavoro fascista che aveva sede in piazza Montecitorio. Il suo esordio di scrittore risale al 1938 col saggio di economia politica, scritto insieme con Ettore Soave, Dominare i prezzi e superare il salario (Roma), un opuscolo del quale "molto si parlò nella stampa di allora pro e contro, e venne citato da emeriti professori di corporativismo" (Ponte Zarathustra, p. 144), e che gli procurò anche l'amichevole consenso di Ezra Pound.
Il C. riconobbe sempre, con lucida e onesta coscienza, le sue esperienze di fascista di sinistra, ribelle e "sedizioso". Credeva nel fascismo dell'Italia "proletaria", nella crisi del sistema capitalistico, nella rivoluzione sociale del regime, come testimonierà Il colpevole (Milano 1967), romanzo autobiografico di un giovane proveniente dalla provincia contadina e socialisteggiante, convinto di non tradire gli ideali socialisti dei padri, ma di trovarli anzi concretamente realizzati nello Stato corporativo. Al congresso di "Mistica fascista", tenutosi a Milano il 19-20 febbr. 1939 sul tema "Perché siamo mistici", partecipò con sentimenti tutt'altro che conformisti. Sulla rivistina chiamata Origini per il vagheggiato programma di un fascismo "incorrotto" della prima ora, scriveva, insieme con Antonio Pizzuto (il futuro narratore di Si riparano bambole e Signorina Rosina), pagine riguardanti l'"Ordine nuovo" e la "Giustizia sociale". Giornalista di regime negli anni Trenta, quando comporre articoli stava già diventando "uno scrivere fuori di me stesso", aveva collaborato al Corriere padano di Italo Balbo, a La Stirpe del ministro dell'Agricoltura E. Rossoni, al Popolo di Roma, con racconti (sulle terze pagine) di pastori e vagabondi in periferia. A contatto con l'ambiente dei giovani universitari fascisti, fondò nel gennaio 1941 Domani (amministrazione e sede a Milano, direzione a Roma), quindicinale giovanile frondista che nutriva propositi politici di "battaglia" e "rinnovamento" all'interno del regime (in redazione, per la parte artistico- letteraria, gli amici A. Gatto, V. Pratolini, F. Pasinetti, V. Pandolfi, G. Veronesi, L. De Libero).Richiamato alle armi, chiese l'esenzione in base al diritto di dirigere il Domani. Non avendo il ministero risposto, il C. ebbe una denuncia come disertore. Il provvedimento venne archiviato dopo il suo arruolamento nel battaglione volontario in partenza per il fronte greco. Seppe a Valona che il quarto numero dei quindicinale era stato sequestrato; un altro ed Ikiltimo numero lo fece sequestrare il gerarca L. Pavolini per la comparsa su Domani del racconto di A. Delfini Fine di unafesta (che "narrava la caduta del regime in provincia e un balenante avviso di rivolta popolare"). Di ritorno dal fronte greco-albanese scrisse Si può anche vivere (1941-42), narrazione in presa diretta dei compaesani, dei braccianti della "Bassa" ritrovati nel suo battaglione sullo sfondo di fuoco e di sangue della guerra. Il romanzo, apprezzato dall'amico Mario Alicata, già militante nel partito comunista clandestino, doveva essere pubblicato nella collana di narrativa di un editore milanese, quando il C. venne arrestato il 10 apr. 1942. L'OVRA accusava il C. e i suoi amici di voler uccidere il genero del duce, Galeazzo Ciano, ed altri gerarchi, A. Starace, R. Farinacci, G. Buffarini Guidi. Dopo sei mesi nel carcere romano di Regina Coeli, il C. fu confinato a Lipari, dove rimase fino alla caduta di Mussolini.
Drammatico dunque il cammino del C., "fascista estremista" e "sedizioso", attraverso la dittatura. Non meno difficile, rischiosa e "torbida" la successiva militanza marxista. Fu dapprima nel gruppo di Bandiera rossa durante la Resistenza a Roma. In questa formazione clandestina confluivano trockisti (il marxismo del C. più che a Lenin si ispirava alle idee di Trockij), anarchici, comunisti espulsi e radiati, fuori e contro il CI-N (tra loro c'era anche il famoso Gobbo del Quarticciolo), tutti decisamente rivoluzionari ("Noi di Bandiera rossa, per la rivoluzione: Stella fissa, fato nella praxis"). Condannato a morte dai nazifascisti, scampò fuggendo attraverso le terrazze di via Frattina e via Borgognona, quando lo cercavano per far numero e fucilarlo alle Fosse Ardeatine.
Nel giugno del 1944, l'arrivo degli Anglo-Americani trovò il C. nella redazione del Tempo di Renato Angiolillo e Leonida Repaci, uno dei primi giornali di Roma liberata. Dal Tempo che si definiva "quotidiano socialdemocratico" (vi collaboravano C. Malaparte, M. Bontempelli, C. Alvaro, G. Piovene, A. Moravia: "la mia firma tra cotanto senno"), come dal Popolo di Roma per la nuova direzione dell'Alvaro (che lo mandò, inviato speciale al Nord, a Milano distrutta dai bombardamenti delle fortezze voi ' anti), il C. si staccò per avvicinarsi al giornalismo socialcomunista. Dopo la vittoria della Democrazia cristiana alle elezioni del 18 apr. 1948, infatti abbandonò anche il Corriere della sera, dove l'aveva chiamato il redattore capo Michele Nottola; e si associò il 6 dicembre nella avventurosa creazione di un nuovo giornale di opposizione Paese sera. Meglio impostato del precedente Repubblica (quotidiano paracomunista dei pomeriggio, chiuso a Roma dopo la sconfitta del Fronte popolare), Paese sera, oltre ai fatti di cronaca ben "montati", aveva uno spirito sarcastico e di proteàta particolarmente accetto ai romani. La rubrica in corsivo, firmata Benelux dal C., che commentava causticamente i fatti del giorno, divenne presto una attesa, felice abitudine per i lettori. Portarono Paese sera al livello di 40.000-50.000 copie, le cronache di gravi scandali come il caso Montesi, le inchieste sulla mafia dei C. e di Enzo Lucchi, l'altra indagine "interna" condotta dal C. e da Ruggero Zangrandi sulla situazione abitativa e la casa in Italia. Su Paese sera e poi su L'Ora di Palermo, il C. proseguì e intensificò quel "giornalismo investigativo" interessato non tanto alle curiosità, ai resoconti folkloristici da stendere in bella prosa, quanto piuttosto a inchieste difficili e pericolose su problemi scottanti del momento.
Il suo credo giornalistico d'opposizione riaffermava la necessità di "essere liberi, colti, corretti nell'informazione, capaci nella critica, coraggiosi nella verità" (Ex, p. 132). L'audace, spregiudicato reportage sul processo di Viterbo per la strage di Portella della Ginestra, le sensazionali rivelazioni sulla "banda" Giuliano e sul potente mafioso Calogero Vizzini denudarono collusioni politiche e corruzione, fecero per la prima volta nomi, infransero muri di omertà e di silenzio. Messa sotto accusa, la mafia alle minacce fece seguire i fatti, con l'esplosione di una bomba al tritolo nella tipografia che stampava la sua "spericolata ma esatta inchiesta" perché tacesse. Ma il "siciliano del Nord", come lo chiamavano, non si arrese né alle intimidazioni né all'attentato; tanto da poter esclamare in seguito nel 1973: "questa battaglia civile contro la mafia, questa piaga che travaglia ancora il nostro Paese, è per me quasi una seconda Resistenza". Appartengono ancora al "giornalista di tempestose inchieste" il reportage sul "disgelo" in Russia dopo la morte di Stalin, i viaggi del "giramondo" in Corea (parecchi mesi trascorsi sotto la tenda a Pan Mun jon) negli anni della "guerra fredda", il successivo trasferimento in Cina; e nei periodi di rientro in Italia e sosta a Roma, le inchieste sul cattolicesimo italiano, i bellissimi dialoghi sulla distensione.
Aveva come compagna e "custode" della sua vita la moglie Viviana, morta poi a Pechino il 30 maggio 1980 e li sepolta nel cimitero degli eroi rivoluzionari Ba Bao Shan; una coppia "forse difficile, ma certamente eccezionale", nel memore giudizio della figlia Gloria (si veda la dolorosa rapsodia, il "lungo requiem" dedicato alla moglie-compagna nella Lettera a Pechino).
Nel 1962 un intervento chirurgico alla gola, una laringectomia con asportazione totale della laringe cancerosa, privandolo della voce, diminuì le sue capacità di lavoro pubblicistico militante. Lasciò la professione giornalistica e ripiegò sulla narrativa, con volontà da allora in avanti di "diventare scrittore per essere uomo", vedendo nell'attività letteraria l'estrema salvezza ("letteratura come rifiuto di corruzione e compromesso della politica, vera Rivoluzione"). Questo doloroso orgoglio del narratore, sovrapponendosi al lavoro dei pubblicista e del propagandista marxista, portò il C. alla ricerca delle sue colpe ("fasciocomunista", utopista rosso, revisionista) e delle colpe degli altri ("comunfascisti" al tempo del patto Hitler-Stalin, funzionari di partito comandati dalla "disciplina bolscevica"), nella schietta, impetuosa urgenza di capire e far capire, di costringere alla verità senza dogmi, senza paraventi ideologici, se stesso e gli altri. Scrisse così tre romanzi: Ponte Zarathustra (Milano 1965), Il colpevole (ibid. 1967, premio Prato, dedicato alla memoria dell'amico A. Delfini, autore di Una storia), Ex (ibid. 1969, premio Alpi Apuane), che raccolse poi, con l'aggiunta di una Prefazione (pp. 7-40), nella mondadoriana La paura entusiasmante (ibid. 1971, premio Enna Savarese). Il valore e il significato della trilogia, che il C. avrebbe voluto intitolare Autobiografia dell'anonimo, consistono nell'autenticità delle testimonianze, nel chiamarsi continuamente in causa da parte del romanziere biografo ("nella sfacciata sincerità, nell'eterno presente, io io io Chilanti Felice di Ceneselli, che ispira la sua rimeditazione degli eventi"). Nel 1968 l'invasione della Cecoslovacchia e la repressione del socialismo dal volto umano di Dubček furono un duro colpo per il C. ("dopo Praga io sento un vuoto alle spalle"). Per i tipi dell'editore Rusconi, col quale aveva già collaborato quando dirigeva Oggi, pubblicò a Milano nel 1972 (ricopiandole dopo trent'anni dal manoscritto 1941-42) Si può anche vivere: storie del ragazzo Davi e di altri paesani alla guerra d'Albania, sullo sfondo retrospettivo del fascismo degli anni 1921 -22 e della vita di una borgata dell'Alto Polesine, tra il duro lavoro dei campi, i facchini del Po, le alluvioni, gli scioperi.
Le centoventi pagine amare e irridenti degli Ultimi giorni dell'età del pane (Milano 1974, premio selezione Napoli) rievocano inquieti, negativi momenti del secondo dopoguerra: dal ricatto politico dei burocrati all'opportunismo degli intellettuali, dal degenerante imborghesirsi della sinistra ai trionfi del consumismo. Ma l'opera narrativa più responsabile, e sofferta per quanto riguarda l'elaborazione del testo, rimane Dolci amici addio (ibid. 1974).
Nel 1960 il C. scrisse il romanzo mirando ad una storia avventurosa e stravagante per liberarsi stilisticamente dalle strettoie del neorealismo ("versione nostrana dello zdanovismo"); dopo vari ripensamenti, nel 1965 provò una nuova stesura che, ancora insoddisfatto, ricominciò per la terza volta nel 1974- Il libro, in prima fase intitolato La murena sul panfilo, narra l'"evasione" a bordo di un panfilo di tre italiani, tre "amici" (perché coetanei, già compagni di scuola, legati da nativi impulsi di simpatia giovanile): un deputato comunista, un industriale, un intellettuale approdato al cinema di successo; ma per varie circostanze ("la tempesta e l'avaria, la deriva, l'ignoto") l'"evasione" diventa esame di coscienza, crisi testimoniale in atto che segna il fallimento di tutta una generazione.
Con Le avventure di Bambino (ibid. 1976) il C. creava un nuovo genere di favola, fondendo, in un sorprendente e riuscito avvicendamento narrativo, l'occhio incantato del protagonista Bambino ("di un anno 0 due") con i colpi di scena a getto continuo di un'azione fantasmagorica e realistica insieme, dove episodi di feroce satira civile come il banchetto iniziale degli uomini che amministrano oggi l'Italia si alternano a sequenze intensamente commosse (il funerale, visto dal treno, dei neonati iugoslavi uccisi dall'incubatrice): se nelle Avventure di Bambino la società capitalistica appare sul punto di soccombere ai mali della violenza e dell'alienazione che la minano, il mondo sovietico da parte sua si rivela incapace di superare e risolvere le proprie contraddizioni.
L'ultimo articolo scritto per L'Ora, Città della speranza, esaltava la giornata del 29 nov. 1981 a Palermo, quando avvenne la dimostrazione popolare e giovanile per la pace e contro la installazione delle basi missilistiche a Comiso.
Il C. morì a Roma il 26 febbr. 1982.
Del C., oltre alle opere citate, si ricordano Italiani eroi e bugiardi, Roma 1946; Non piove a Roma, Milano 1948; Da Montelepre a Viterbo, Roma 1952; Vita di Giuseppe Di Vittorio, ibid. 1952; La Cina fa parte del mondo, ibid. 1954; Gastone Sozzi, ibid. 1955; Chi è questo Milazzo…, Firenze 1959; Rapporto sulla mafia, Palermo 1964 (in collaborazione con M. Farinella); Tre bandiere per Salvatore Giuliano, Milano 1968; La mafia su Roma, ibid. 1971; Ezra Pound fra i sediziosi degli anni Quaranta, ibid. 1972; Trotzkij vivo. L'assassinio di un intellettuale contemporaneo, Bologna 1972.
Fonti e Bibl.: R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milario 1962, p. 4851 M. Addis Saba, Gioventù italiana del Littorio, Milano 1973, pp. 206 s.; Ricordo di F. C., Milano 1983 (articoli, memorie e interventi di V. Pratolini, V. Scheiwiller, G. Corsini, A. Gismondi, G. Goria, U. Dotti, E. Mattei, S. Garbato, V. Sereni e altri). V. anche Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, 1, Milano 1968, p. 537.