DELLA GRECA, Felice
Nacque a Roma nel 1625 dall'architetto "panormitano" Vincenzo e dalla romana Doralice Ridolfi. Venne battezzato il 16 nov. 1625 in S. Marco, sebbene la famiglia vivesse nell'ambito della parrocchia di S.Lorenzino ai Monti, in una casa di proprietà di Pietro Della Valle "a scesa Savelli" all'angolo di via Bonella (Lefevre, 1981, p. 255).
Il nome di questo architetto compare per la prima volta fra i documenti del tribunale criminale del governatore (Arch. di Stato di Roma, Processi, vol. 427, ff. 1394 e ss.) per aver ucciso il 24 marzo 1649, per motivi di donne, un vicino, Teodoro Leonelli, il quale, prima di morire in ospedale, raccontò quello che era successo fra i suoi familiari ed i fratelli Della Greca: "tutto in un tempo uno di essi sparò una archibugiata contro di me che mi colpì nel petto ... et sentendomi morire per tale archibugiata mi venni quasi meno et cominciai a gridare ali traditori, ali traditori" (ibid.). Ilgiovane omicida fuggì lontano e il processo davanti al tribunale del governatore fu celebrato "in eius contumacia"; gli fu comminata una condanna "in pena triremiuni per septennium et scutoruni 500" (ibid.).Nel 1656 il reverendo Francesco Baranzoni, "Almae Urbis gubernator", con l'assenso del papa, intimò alla Curia e al fisco "perpetuum silentium" su tutta la faccenda, mentre il D. si impegnò, con una idonea cauzione, a non recare danno o offesa ai fratelli dell'ucciso (Arch. di Stato di Roma, Tribunale del governatore, Registri atti, n. 342, ff. 66 ss.).
Già nel 1657 gli atti della amministrazione pontificia incominciano a registrare il nome del D. per lavori compiuti, specialmente come artefice di elaborati e grandi modelli di legno e stucco, allora molto in uso per le nuove costruzioni o anche per le esposizioni di fabbriche famose; infatti, il suo nome ricorre a questo titolo più volte tra il 1657 e il 1659. Gli stessi conti lo registrano come misuratore e perito, insieme con G. L. Bernini, di lavori compiuti per l'amministrazione pontificia e per la famiglia del papa.
È singolare come in pochissimo tempo, nonostante i suoi trascorsi, egli fosse riuscito ad affermarsi e ad assicurarsi una posizione invidiabile. Non fa quindi meraviglia che quando i Chigi posero gli occhi su palazzo Aldobrandini in piazza Colonna, prima ancora di acquistarlo, dessero incarico al D. di prenderne esatta rilevazione e di studiarne il restauro. Questo edificio, dalla lunga storia iniziata alla fine del Cinquecento con gli Aldobrandini, fu acquistato nel 1659 dai Chigi con il proposito ambizioso di continuarne la costruzione fino a comprendere tutto il grande isolato attuale, assicurando così una grande e prestigiosa dimora alla famiglia del papa regnante. Di tutto l'imponente complesso di lavori, relativi anche alla sistemazione esterna ed interna dell'edificio, il D. ha lasciato una ricca serie di progetti, piani di esecuzione, prospettive e disegni panoramici. I Chigi rimasero tanto soddisfatti delle misurazioni operate dal D. che decisero di affidargli anche lo studio delle possibili soluzioni da adottare per i lavori. Partite da un semplice adattamento, specialmente nell'interno dello stabile già esistente, esse si estesero poi a considerare l'utilizzazione di tutta l'area dell'isolato, imperniandola sulla creazione di un grande cortile porticato interno. A interessante soprattutto constatare, sulla base degli alzati lasciati dal D., come egli avesse preso in considerazione non solo l'eliminazione dei mezzanini sopra le botteghe, ma anche la creazione di un altro mezzanino sopra il secondo piano nobile, dando alle corrispondenti finestre rilievo architettonico analogo a quello del primo piano.
I progetti del D. si orientavano su due diverse impostazioni: una manteneva intatta la struttura del vecchio palazzo Aldobrandini, dalla quale si partiva per la costruzione del nuovo grande edificio a pianta rettangolare, ricavando tra l'altro lo scalone di rappresentanza su via dell'Impresa con accesso dal cortile; l'altra soluzione, che fu poi quella adottata dai Chigi perché più confacente alla loro dignità di casata principesca e papale, mirava a rendere più prestigioso l'ingresso dal Corso con l'apertura di un grande androne porticato adducente ad un nuovo monumentale scalone, in sostituzione della vecchia e molto modesta scala degli Aldobrandini (Lefevre, 1972).
Negli anni in cui lavorò al palazzo di piazza Colonna il D. diventò l'architetto di fiducia di casa Chigi, una sorta di supervisore per i lavori di secondaria importanza nelle fabbriche di loro proprietà o promosse dal pontefice Alessandro VII: il 28 nov. 1657 riceveva 100 scudi "... a conto dei modelli fatti e che va facendo dei palazzi pontifici di Monte Cavallo e San Pietro" (L. Ozzolà, L'arte alla corte di Alessandro VII, in Archivio della Soc. rom. di storia patria, XXXI[1908], p. 14). Il 24 sett. 1659 riceveva il rimborso di 306 scudi per le spese "in far li modelli del Palazzo Vaticano e Palazzo di Monte Cavallo e in far la pianta di tutto Castel Gandolfo con modello di cartoncino ecc. il tutto per ordine dell'Ecc. Cardinal Farnese" (Bertolotti, 1879-80, p. 162; E. Bonomelli, I papi in campagna. Roma [1953], p. 101). Contemporaneamente il D. era impegnato a studiare la sistemazione di palazzo Colonna (poi Odescalchi) ai Ss.Apostoli, passato, per testamento di Pompeo Colonna, in usufrutto del cardinal Flavio Chigi il 6 genn. 1651; la famiglia Chigi risiedeva peraltro nel palazzo fin dal 1657.
Si voleva dare all'edificio, in parte dovuto al Maderno che vi lavorò fra il 1622 ed il 1628, un più ampio respiro ed è per questo che, fra il 1661 ed il 1667, furono acquistate le case contigue al palazzo. Mentre l'architetto lavorava ad alcuni progetti (conservati nella Biblioteca Vaticana: una pianta del piano terra con due ingressi in asse fra loro, uno sul Corso e l'altro sulla piazza, aperti ambedue sull'asse centrale del cortile e del palazzo; un secondo progetto, più ampliato, che prevedeva due vestiboli notevolmente più grandi e divisi da quattro colonne ciascuno; un terzo progetto per la facciata su via del Corso; cfr. Cod. Chig., p. VII, 10, ff. 62v, 63r, 72v, 73r) e prima che iniziassero i lavori di rifacimento condotti dal Bernini, si dette mano a opere di carattere decorativo degli interni. Dell'8 marzo 1663 è un pagamento vistato dal D. per due bassorilievi di marmo esistenti nel palazzo e provenienti da piazza di Pietra (Golzio, 1939, p. 5); il 7 febbr. 1664 il D. vistava un documento concernente la costruzione di un palco per un pittore nell'ultima stanza verso il Corso, nell'appartamento nobile (ibid., p. 6).
Nel 1669 il palazzo era ultimato e misurato puntualmente; tale misurazione, che comprende una quantità di altri dati interessanti per ricostruire l'aspetto originario interno ed esterno dell'edificio, era vistata dai periti nominati dal cardinal Flavio Chigi, cioè Antonio Del Grande, Paolo Pichetti, Mattia De Rossi, assistito dal D., al quale venne poi corrisposto uno speciale compenso per aver misurato di nuovo tutti i lavori dei muratori, scalpellini, falegnami, ecc., correggendone gli errori commessi a danno del cardinale.
La protezione del potente cardinal Chigi non è probabilmente estranea agli incarichi che il D. ricevette in quegli anni. Nel 1662 sottoscrisse, insieme con Carlo Fontana, una relazione sul discusso abbattimento dell'arco di Portogallo, ordinata in quell'anno proprio da papa Alessandro VII, per migliorare la viabilità di via del Corso (Lefevre, 1971, p. 401).
Nel 1663 succedette al padre Vincenzo nella carica di architetto del monastero dei Ss. Domenico e Sisto: a lui è infatti attribuito il progetto del ricco altare della chiesa. databile proprio a quell'anno (ibid.). Sempre nel 1663 era registrato nel "rolo della famiglia di N. S." cioè del papa Alessandro VII, tra i "camerieri extra".
Il 22 nov. 1665 era nominato dal cardinal camerlengo, preso atto della sua dimostrata perizia, "unum ex meniuratoribus et exsistimatoribus ornnium et quorumcumque aedificiorum" in.Roma ed in tutto lo Stato ecclesiastico, al posto di un altro misuratore, G.M. Bolino (ibid., p. 402). Sempre per i Chigi, il D. era attivo in quegli anni anche nel palazzo di Formello e nella vicina villa Versaglia, edifici venduti dagli Orsini ai Chigi il 5 sett. 1661.
I primi documenti relativi al palazzo sono del 1662. I lavori di muro diretti dal D., che dovettero riguardare solo l'interno dell'edificio mentre l'esterno conservava l'originario aspetto quattrocentesco, sono registrati dal 6 apr. 1663. Nel marzo 1665 si incominciano ad incontrare pagamenti per muratori, scalpellini, falegnami e ferrari che lavorarono nella villa Versaglia; anche questi conti sono vistati dal D. il quale si occupava contemporaneamente della costruzione della nuova strada che da Formello andava a Versaglia, villa che il cardinal Flavio si era fatto costruire dopo il suo viaggio in Francia, a ricordo della villa reale di Versailles. L'architetto vistò pure i conti riguardanti le piantate di gelsi e di altri alberi, interessandosi dunque anche ai lavori di giardinaggio (Golzio, 1939, p. 150).
II D. fu soprintendente anche dei lavori di muratura e decorazione della piccola chiesetta della villa, la cui pianta ottagonale cupolata, inscritta in muri perimetrali preesistenti formanti un rettangolo, di lontana ascendenza bramantesca, gli è stata attribuita dallo Hager (1972), il quale data la costruzione del piccolo tempio a un periodo precedente il 1666, anno in cui il D. fu sostituito, nella direzione dei lavori, da Carlo Fontana.
Sulla base dei disegni del D. nel fondo Chigi della Biblioteca Vaticana, lo Hager (ibid.) gli attribuisce anche la chiesa di S. Biagio in Campitelli, detta anche di S. Rita, nella cui costruzione l'architetto fu sostituito, sempre dal Fontana, in una epoca di poco anteriore a quella dei lavori della villa di Formello (Hager, 1972, pp. 261-272). Il 25 febbr. 1666 il D. vistava il conto dei lavori compiuti nel corso del 1665 dal pittore Monsù Momper nel palazzo Chigi di Ariccia (Golzio, 1939, doc. 174); tra maggio e luglio dello stesso anno "tara", insieme al Bernini ed al Fontana, alcuni lavori per la chiesa di Galloro, sempre dovuta alla munificenza dei Chigi (ibid., docc. 413, 415). Nel 1667 - in un periodo anteriore alla morte di Alessandro VII - disegnava su pergamena un progetto per la facciata di S. Giovanni in Laterano, che costituisce un'alternativa, impostata su stanchi moduli manieristici addobbati con una veste decorativa vistosa, al restauro barocco operato dal Borromini.
Dopo la morte del pontefice (22 maggio 1667), nonostante qualche controversa regolamentazione di conti con il cardinal Flavio (Golzio, 1939, doc. 323), il D. continuò a servire la casata: nel settembre 1669 assisteva il Bernini nell'immissione dell'acqua Felice in una casa (C. D'Onofrio, Le fontane di Roma, Roma 1962, p. 200); nell'ottobre è ricordato quale revisore dei conti e misuratore della famiglia (Golzio, 1939, doc. 59).
Tra il luglio e l'ottobre 1670 "tara", insieme col Bernini ed il Fontana, il conto di un chiavaro fiammingo ai Coronari (A. Bertolotti, Artisti belgi ed olandesi, Roma 1880, pp. 319 s.).
Nel settembre dello stesso anno si rifiutava di intervenire, insieme con Antonio e Carlo Fontana, ad un sopralluogo chiesto da Francesco Falconieri per la constatazione di difetti di costruzione della villa La Rufina a Frascati (M. Del Piazzo, Schede borrominiane, in Commentari, XIX[1969], 3, p. 326).
Nel 1673, come aveva già fatto per il giardino della villa Versaglia a Formello, si occupava delle condutture dell'acqua che alimentavano i vari giochi del giardino che il cardinal Flavio Chigi possedeva nei pressi di Quattro Fontane a Roma, all'angolo delle odierne vie Nazionale e Depretis (Golzio, 1939, p. 193). Contemporaneamente il suo nome compare più volte negli atti dell'amministrazione papale come stimatore e revisore camerale (Lefevre, 1971, p. 404).
A questo periodo viene fatta risalire inoltre l'erezione della chiesa degli Angeli Custodi in via del Tritone a Roma (distrutta), unico edificio religioso che l'architetto realizzò in toto.
Egli progettò un impianto spaziale composto da un vano cilindrico sul quale si impostava direttamente una cupola emisferica. Le pareti erano articolate da quattro coppie di pilastri disposte radialmente; ciascuna coppia inglobava una apertura minore. La riproposta di una tipologia centrica, che era, come abbiamo visto, già congeniale all'architetto, oltre a essere idonea a una chiesa congregazionale come questa, che apparteneva appunto all'Arciconfraternita degli Angeli Custodi, potrebbe derivare da un influsso culturale di Giovambattista Montano, maestro del padre Vincenzo. Questa chiesa, modificata nella struttura edilizia prima da Carlo Rainaldi nel 1681 e successivamente da Mattia De Rossi, fu abbattuta nel 1927 per allargare il tratto mediano di via del Tritone.Nel 1676 il D. venne eletto accademico di S. Luca (Lefevre, 1971, p. 404); l'anno successivo, il 2 ag. 1677, nella sua casa presso il monastero dei Ss. Domenico e Sisto, dettò al notaio il testamento, manifestando la volontà di essere seppellito in quella chiesa e nominando suoi eredi universali i sette figli viventi (Archivio di Stato di Roma, Archivio notarile, Notaio Paluzio, vol. 59, f. 608).
Morì a Roma il 18 ag. 1677 (Lefevre, 1971, p. 405).
Fonti e Bibl.: A. Bertolotti, Nuove Effemeridi siciliane, in Arch. stor. sicil., IV (1879-80), pp.162-171;N.Caflisch, Carlo Maderno, München 1934, pp. 67-70; V. Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell'Arch. Chigi, Roma 1939, ad Indicem; R. Lefevre, Pal. Aldobrandini e dei Chigi a piazza Colonna, Roma 1964, ad Indicem; V. Golzio, Palazzi romani dalla Rinascita al neoclassico, Roma 1971, pp. 81 s., 151-156;R. Lefevre, Schede su due architetti sicil. in Roma: i Della Greca, in Studi meridionali, IV (1971), pp. 387-405;H. Hager, Le facciate dei Ss. Faustino e Giovita e di S. Biagio ai Campitelli (S. Rita) a Roma. A proposito di due opere giovanili di Carlo Fontana, in Commentari, XXIII (1972), 3, pp. 261-272;R. Lefevre, Palazzo Chigi, Roma 1972, pp. 128-137, 144-146, 148, 152-154, 271-276; F. Borsi, in Il palazzo del Quirinale, Roma 1973, p. 116; P.Portoghesi, Roma barocca, Bari 1973, 11, pp. 466-468;I. Belli Barsali-M. G.Branchetti, Ville della Campagna Romana, Lazio, II,Milano 1975, p. 264;R. Lefevre, Divagazioni su due architetti del Seicento: i Della Greca, in Strenna dei romanisti, XLII (1981), pp. 247-261; A. Menichella, L'isola della chiesa dell'Arciconfraternita degli Angeli Custodi e di palazzo Buratti Alberoni in via del Tritone, in Alma Roma, XXII (1981), 1-2, pp. 28-46.