DONGHI, Felice
Nacque a Milano il 19 dic. 1828 da Ludovico e Barbara Dacomo; rimasto orfano di padre nel 1835, venne allevato dal fratello Giovan Battista, pittore; frequentò le scuole elementari e per alcuni anni il ginnasio, che lasciò per lavorare come apprendista falegname. Si iscrisse in seguito all'Accademia di Brera, dove frequentò i corsi di disegno ornamentale (con G. Bisi), di architettura, prospettiva, figura e paesaggio; contemporanemente studiò scenografia con A. Sanquirico. Nel 1847 partecipò al gran concorso per la medaglia d'oro, istituito dalla Accademia di Brera, conseguendo il primo premio e l'esonero dal servizio militare austriaco. Nel 1848, durante le Cinque giornate, riportò su acquerelli e disegni le barricate e l'episodio di porta Vittoria (alcuni di questi disegni sono oggi al Museo civico di Milano).
In seguito probabilmente si arruolò nella milizia e seguì Garibaldi. La sconfitta di Novara del 1849 lo costrinse a rìfugiarsi in Svizzera, dove rimase sino al 1850. Ritornato a Milano, si dedicò alla pittura, aprì studio in casa Stampa a porta Vercellina, sposando nel 1856 la figlia della padrona di casa, Costanza. Lavorava intanto anche nel campo della scenografia al teatro alla Scala con il pittore B. Cavallotti, successore del Sanquirico. Negli anni fra il 1850 e il 1856 fu coinvolto in attività antiatistriache, ma ebbe anche ambigui rapporti con le autorità: approntò, infatti, le luminarie e le decorazioni per la visita a Milano di Francesco Giuseppe del 1857 ed eseguì l'incisione con la riproduzione della camera ardente allestita a Monza nel 1858 per il maresciallo J. W. Radetzky (ripr. in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, p. 633). Doveva inoltre, secondo il biografo Marini (1888), preparare un grande album, in memoria dello stesso Radetzky, rimasto incompiuto per gli avvenimenti del 1859, ai quali il D. dedicò uno dei pochi quadri oggi visibili: Luminaria sul corso di porta Venezia la sera dell'8 giugno 1859, che, con l'acquerello Il coperto del Figini, si trova al Museo civico di Milano.
Tra il 1861 ed il 1866 lavorò come capodisegnatore presso l'impresa Gennarini, costruttrice della linea ferroviaria OsenteTermoli; in questa ultima città allestì il padiglione per accogliere Vittorio Emanuele II il giorno della inaugurazione della linea. Lavorò pure alla progettazione delle linee Chiasso-Bellinzona e Milano-Calolzio. Ritornato a Milano continuò l'attività di scenografo: l'ultimo suo lavoro conosciuto è l'allestimento scenografico per il Ballo in maschera, eseguito al teatro Sociale di Udine, nel luglio 1867 (il bozzetto per la seconda scena del primo atto si trova, insieme con altri disegni ed acquerelli del D., presso il Museo teatrale alla Scala). L'anno dopo il D. si trasferì a Torino, impiegandosì come disegnatore presso le Ferrovie Alta Italia; nel 1869 conseguiva la patente di insegnante di disegno presso l'Accademia Albertina. Nel nuovo impiego preparò le tavole acquerellate rappresentanti i trafori dei Giovi e del Moncenisio (esposte e premiate alla Esposizione universale di Parigi del 1878) e le decorazioni delle stazioni di Torino Porta Susa, Novara e Pontedecimo. Nel 1880 disegnava la lapide commemorativa di G. e R. Stephenson (ancora oggi visibile nella stazione di Porta Nuova, lato via Nizza). Si dedicò all'insegnamento del disegno nelle scuole serali ed alla miniatura di pergamene, attività in cui ebbe successo (cfr. La Gazzetta del popolo del 5 maggio 1878 e del 5 giugno 1885).
Nel 1881, ammalato, dovette ritirarsi dalPimpiego, continuando però l'opera di pittore. Fu tra gli allestitori dei progetti per il borgo medievale, per l'Esposizione italiana del 1884, ricevendo gli elogi di A. D'Andrade (La Gazzetta di Torino del 24 maggio 1884); testimonia questa sua attività un album con disegni della Rocca del borgo (Museo civico di Torino, Fondo Riccardo Brayda, 81/6; cfr. C. Daprà, in A. D'Andrade: tutela e restauro [catal.], Firenze 1981, pp. 192, 195 n. 47). Con il figlio Daniele, ingegnere e architetto, allestì per la stessa esposizione il padiglione della vetreria Polti di Garessio e disegnò l'edicola della ditta Carisio e Brunetti. Ricevette, sempre con il figlio, un premio per il rilievo della chiesa di Gravedona, pure esposto a Torino.
Morì a Torino il 1º febbr. 1887 (cfr. La Gazzetta piemontese, 4-5 febbr. 1887).
Presso il Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco si conserva il disegno Chiostro con campanile e antica abbazzia sullo sfondo. Tra i suoi scritti ricordiamo Lapidi e monumenti funerari (edito postumo dal figlio Daniele), Torino 1889.
Bibl.: A. Marini, Cenni biografici del prof. F. D., pittore, Torino 1888; Il Quarantotto milanese, a cura di L. Marchetti-M. Parenti, Novara 1948, pp. 63 ss.; Mostra dei maestri di Brera, Milano 1975, p. 255; Museo teatrale alla Scala (catal.), Milano 1975, III, pp. 584 s. tavv. 962-969; L. Gambi-M. C. Gozzoli, Milano, Bari-Roma 1982, ad Ind.; I pittori dell'800 lombardo, a cura di G. Falossi, Milano 1984, p. 67.