FIGLIUCCI, Felice (in religione Alessio)
Nacque a Siena il 4 maggio 1518 da Francesco di nobile famiglia.
Fu avviato presto agli studi, in previsione di una brillante carriera ecclesiastica. Mandato poi all'università di Padova, venne attratto dalle discipline filosofiche che apprese da M. A. Pasero, detto "il Genova". Decisiva per la sua formazione fu però l'amicizia con C. Tolomei. Il F. studiò la dottrina neoplatonica conciliata con l'aristotelismo, secondo gli insegnamenti di M. Ficino e G. Pico della Mirandola, ed alimentò l'amore per la sua "lingua toscana", che riteneva da nessun punto di vista inferiore a quella latina.
Terminato il suo corso di studi, divenne chierico e si trasferì a Roma, dove entrò a servizio del cardinale G. M. Ciocchi Del Monte, il futuro papa Giulio III. A Roma, nel 1544, licenziò per le stampe la sua prima opera, una traduzione del Fedro di Platone, accompagnata dall'"argomento" di M. Ficino (Roma, F. Priscianese).
Il 1º genn. 1545 scriveva a Cosimo de' Medici per dedicargli il primo volume della traduzione dell'epistolario del Ficino, al quale stava lavorando. Non danneggiò i suoi programmi la partenza per Trento, alla fine dell'anno, col Del Monte, legato di Paolo III al concilio.
Il 23 apr. 1546 il F. pronunciò, nella cattedrale di Trento, davanti ai legati al concilio e a trentacinque prelati, un'apprezzata orazione, della quale è andata perduta ogni traccia scritta. Nello stesso anno uscì a Venezia presso G. Giolito de' Ferrari il primo tomo de Le divine lettere del gran Marsilio Ficino.
Nel marzo del 1547 il concilio si trasferì a Bologna ed il F. poté trattenersi con gioia a Padova per continuare a scrivere in ambiente universitario. Riconoscente, dedicò al suo cardinale e mecenate una Tradottione antica de la Rettorica d'Aristotile, stampata a Padova nel 1548, che nella prefazione descriveva come opera di un anonimo senese, secondo un diffuso costume letterario dell'epoca. Contemporaneamente pubblicò il secondo tomo delle "divine lettere", traduzione accolta favorevolmente dal pubblico e dalla critica. Il F. aveva annunciato di voler tradurre anche altre opere del Ficino, ma non mantenne la promessa e preferì concentrarsi sulle opere degli antichi.
Nel settembre 1549 la sospensione del concilio, seguita dalla morte di Paolo III in novembre, lo obbligò a tornare a Roma dove, senza abbandonare il servizio ai Del Monte, aveva intessuto dei legami anche col cardinale G. A. Sforza di Santa Fiora, un nipote del papa Farnese, che assisté in conclave il 31 genn. 1550.
Dopo l'elezione al pontificato di Giulio III, che sembrò per un attimo mettere in pericolo il suo ruolo, il F. il 20 novembre scrisse al nipote del nuovo papa, vescovo Cristoforo Del Monte, pregandolo di essere mantenuto nel servizio e cogliendo l'occasione per dedicargli una nuova traduzione: Le undici filippiche di Demosthene con una lettera di Filippo a gl'Atheniesi,comprensiva del commento di Libanio e stampata a Roma da V. Valgrisi nel 1551.
In pari tempo il F. faceva annunciare la prossima uscita di un suo commento all'Etica di Aristotele, costatogli molto lavoro. I De lafilosofia moralelibri dieci, sopra lidieci libri dell'Ethica d'Aristotile (Roma, Valgrisi, 1551) furono l'opera più importante del F., dove cercò di elaborare un originale pensiero filosofico.
Il F. compose il suo libro secondo lo schema di un dialogo platonico avente come protagonisti i suoi compagni di università e C. Tolomei. Ribadita la superiorità del contemplare, somma attività dell'intelletto, precisava che prima di potervi giungere era necessario prendere coscienza delle passioni e degli affetti dell'animo umano per mitigarne l'intensità e renderli composti. Solo così avrebbe potuto fruttificare il seme sparso dalla contemplazione, che di per sé, proprio per la sua elevatezza, era un'attività propria più degli angeli e degli spiriti puri che degli uomini, caratterizzati invece dal compiere le "azioni e le opere nobili e virtuose". La socialità e l'etica non allontanavano perciò gli uomini dal bene ma costituivano una via da percorrere necessariamente per poterlo raggiungere. La felicità umana provata dall'uomo virtuoso era quindi premessa e anticipo della beatitudine contemplativa.
Il libro dei F., dedicato a Giulio III con la richiesta di essere provvisto dei mezzi per proseguire la sua attività di traduttore e commentatore, raggiunse una discreta notorietà e già nel 1552 G. M. Bonelli ne stampava un'edizione veneta, alla quale seguirono altre ristampe.
Proprio a questo punto, però, il F. rallentò il ritmo degli studi perché quella vocazione religiosa, che aveva lasciato un poco in disparte nella sua vita, si fece sentire, in maniera inaspettata, più forte. Sin dal suo ritorno a Roma, al termine della prima fase del concilio di Trento, aveva iniziato a frequentare l'ambiente di S. Girolamo della Carità e l'oratorio fondato da Filippo Neri. Qui conobbe il mistico B. Cacciaguerra, senese come lui, che in quegli anni godeva di un notevole ascendente sulla cerchia che gravitava intorno all'oratorio e sul Neri medesimo. L'umanista raffinato e amante delle lettere fu lentamente ma progressivamente attratto dal Cacciaguerra, uomo dalla cultura limitata ed intransigente ma dal notevole carisma personale nutrito di estasi e di visioni, propagandato con la dottrina della comunione frequente. Il F., che pure fu unito da profonda amicizia con il Neri, P. Spadari, C. Tassoni e gli amici dell'oratorio, ebbe per "il Padre, Messer Bonsignore" quasi una venerazione e lo considerò sempre al di sopra degli altri. Il Cacciaguerra lo persuase infine a lasciare la sua vita di cortigiano per farsi religioso. Nei primi mesi del 1556, eliminata ogni esitazione, insieme con il suo amico F. Marsuppini, il F. decise di prendere l'abito domenicano nel convento di S. Marco a Firenze.
Il 17 luglio 1556 il F. fece la professione dei voti in S. Marco, assumendo il nome del santo del giorno, Alessio. Il giorno successivo ne informava Filippo Neri. Conducendo un'ineccepibile vita da religioso, riprese in S. Marco il contatto con gli studi e le lettere, mantenendo la corrispondenza (andata quasi interamente perduta) con gli amici dell'oratorio, tra i quali Carlo Borromeo, ed in modo particolare con il Tolomei. Questi gli scrisse, professandogli di nutrire per lui il medesimo affetto che gli dimostrava quando era "cortegiano" e rallegrandosi del fatto che continuasse ad applicarsi ad Aristotele "per la via de' Greci". Col Tolomei corrispose anche a proposito della questione del volgare, esaltandone la capacità di esprimere argomenti scientifici e filosofici.
Il F. si mantenne aggiornato sui lavori della seconda ed ultima fase del concilio di Trento, dal 18 genn. 1562 al 3 dic. 1563. Su ordine di papa Pio V pubblicò, nel 1567, la traduzione del nuovo Catechismo romano, a spese della Camera apostolica. Il Catechismo, cioè istruttione secondo il decreto del Concilio di Trento a' parrochi fu la sua opera più conosciuta e consultata. Se ne stamparono numerose edizioni, anche illustrate, fino al 1761. Invece solo grazie all'aiuto del nipote Flavio riusci a completare e stampare a Venezia, nel 1583, da G. B. Somaschi, quel commento alla Politica di Aristotele che aveva promesso da lungo tempo: il De la Politica, ovvero scienza civile secondo la dottrina d'Aristotile. Dei suoi componimenti poetici restano, manoscritte, alcune Ecloghe pastorali, conservate nella Biblioteca Estense di Modena (ms. α M. 9,3).
A sessantacinque anni fu preso dalla nostalgia della città natale e chiese ai superiori di essere trasferito nel convento di S. Spirito in Siena. La domanda fu accolta il 28 apr. 1584 ed il F. visse in S. Spirito per altri undici anni, fino alla morte, che lo colse il 20 ott. 1595.
Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. Vallicelliana, ms. O.15, Epistolae Felix Figliucci, ff. 14-19 (le due lettere indirizzate dal F. al Cacciaguerra e a Filippo Neri); De le lettere di M. Claudio Tolomei libri sette, Vinegia 1566, pp. 275, 277; Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Diaria, I,Friburgi Brisg. 1901, pp. 539 n. 34, 818 n. 15; II, ibid. 1911, p. 125; Il primo processo per s. Filippo Neri, a cura di G. Incisa della Rocchetta - N. Vian, III, Città del Vaticano 1960, p. 66 n. 1812; J. Quétif-J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum, II,Lutetiae Parisiorum 1721, coll. 263 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII,Fiesole 1844, p. 44; A. Zucchi, Roma domenicana, III,Roma 1941, p. 249; E. Garin, Utopisti italiani del '500, in La città di vita, I(1946), pp. 89-94; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII,Roma 1951, p. 133; E. Garin, L'umanesimo italiano,Bari 1952, pp. 214 s., 220; L. Ponnelle-L. Bordet, St. Philippe Néri et la société romaine de son temps (1515-1595), Paris 1958, pp. 132, 133 s., 138, 149, 172, 225; M. E. Cosenza, Biogr. and bibliogr. Dict. of the Italian humanists, II,Boston 1962, p. 1421; S. M. Bertucci, in Dict. d'histoire et de géogr. ecclés., XVI,Paris 1967, coll. 1460-1463.