GOVEAN, Felice
Nacque a Racconigi nel 1819 da Domenico e Vittoria Lubatto, probabilmente da un ramo della nobile famiglia Goveano, di origine portoghese, che, trasferitosi in quella località al seguito dei Savoia-Carignano, aveva poi aderito ai principî rivoluzionari e giacobini.
Il nonno del G., Giacomo, era stato maire di Racconigi durante l'età napoleonica e due suoi figli erano caduti vittime della reazione; il padre stesso del G., ex frate dell'Ordine dei serviti, fu coinvolto nella cospirazione del 1821 e nel moto insurrezionale del '31.
Rimasto orfano di madre subito dopo la nascita e privato prematuramente anche della figura paterna, il G. subì le conseguenze delle vicissitudini della famiglia e del rapido decadimento sociale a cui essa fu condannata. Allevato a Torino, ebbe un corso di studi disordinato e irregolare, sotto l'occhio vigile della polizia, che ne controllava i movimenti. I trascorsi familiari e le vessazioni subite contribuirono però a formarne il carattere e a fornirgli un'educazione politica orientata verso le nuove idealità liberali e nazionali; prima, però, dovette attraversare un periodo confuso e disordinato di ricerca della propria collocazione sociale e professionale.
Inizialmente trovò impiego in una società di assicurazioni, ma, stancatosi ben presto del lavoro d'ufficio e della modesta retribuzione, cercò fortuna a Milano nel mondo teatrale, entrando a far parte di una compagnia drammatica. Deluso anche da questa attività, cominciò a lavorare in una stamperia e nel 1846, assunto come semplice compositore nella tipografia Arnaldi, fece ritorno a Torino. Qui, nonostante l'impegno lavorativo quotidiano, ebbe modo di coltivare la propria vocazione letteraria e all'inizio del 1848 dette alle stampe un volumetto, Il Balilla, che per il tema trattato - la leggenda dell'eroe popolare in lotta contro lo straniero - incontrò un grande successo di pubblico e fu venduto in 12.000 esemplari. Nel disegno dell'autore esso doveva inaugurare un nuovo filone della stampa popolare, aprendo la strada a una serie di pubblicazioni che insegnassero al "minuto popolo la storia dei gloriosi nostri fatti nazionali, dei nostri eroi, dei nostri uomini celebri".
In effetti, incoraggiato dal clamoroso successo di questa prima opera, il G. nel breve volgere di pochi mesi, fra l'inverno e la primavera 1848, pubblicò altri racconti e drammi storici aventi le medesime caratteristiche (Ferruccio. Cenni storici, La battaglia di Legnano, Stamura d'Ancona, Gagliaudo).
Tutti editi dalla tipografia Baricco e Arnaldi di Torino, ebbero accenti antitedeschi (e quindi antiaustriaci) e una spiccata ispirazione patriottica e popolare, cui non fu estraneo l'"incoraggiamento del poeta mazziniano G. Revere, riparato a Torino dopo la caduta della repubblica romana, e di C. Reta, direttore de Il Mondo illustrato e dopo Novara triumviro del governo provvisorio a Genova insorta" (Castronovo, p. 4).
Nel maggio 1848 il G. pubblicò anche un volume su V. Gioberti, l'unico dedicato a un contemporaneo fra quelli che precedettero la sua attività giornalistica (Vincenzo Gioberti. Cenni pel popolo, Torino 1848). Non ancora pervaso da quei sentimenti anticlericali che ne avrebbero caratterizzato il resto dell'esistenza, il G. manifestò in questa opera una certa adesione ai principî del Gioberti, cui riconosceva il grande merito di aver offerto una concreta prospettiva di successo al movimento nazionale unificando le diverse anime del mondo liberale dal punto di vista politico e ideologico. Ma già in quei giorni stava giungendo a maturazione, auspice M. Lessona, l'accordo con G.B. Bottero e A. Borella per dar vita a un giornale, la Gazzetta del popolo, che avrebbe rappresentato uno dei casi più importanti nella storia della stampa italiana dell'Ottocento.
Il giornale iniziò le pubblicazioni a Torino il 16 giugno 1848 ed ebbe caratteristiche editoriali e una linea politico-culturale che ne favorirono l'immediato successo e un'ampia diffusione (nel periodo risorgimentale raggiunse i 14.000 abbonamenti). Fu un foglio di chiara impostazione popolare, evidenziata anche dal prezzo assai contenuto, che si caratterizzò per l'immediatezza del linguaggio e per la brevità e chiarezza degli articoli. La linea politica fu elaborata principalmente dal G., che collocò il giornale in una posizione di sinistra moderata, molto vicina alla monarchia ma soprattutto favorevole alla battaglia per l'estensione delle libertà costituzionali e per il raggiungimento dell'indipendenza nazionale. Il G., volontario nel marzo 1849 alla ripresa della guerra contro l'Austria, si distinse inoltre per la vigorosa lotta contro i privilegi ecclesiastici e per le aspre polemiche anticlericali che affrontò nei suoi articoli e che raggiunsero un livello particolarmente elevato nel 1849, quando, trascinato in tribunale da due sacerdoti che erano stati bersaglio dei suoi caustici interventi, fu condannato una prima volta a cinque giorni e poi a un mese di carcere.
Sempre nel corso del 1849 il G. ebbe qualche problema con il governo, che proibì la messa in scena di un suo dramma, L'assedio di Alessandria nel 1174, scritto all'indomani dell'ingresso dei soldati austriaci nella città e la cui rappresentazione avrebbe potuto favorire un turbamento dell'ordine pubblico. Nel gennaio di quell'anno, peraltro, aveva incontrato un discreto successo sulle scene torinesi un altro lavoro del G., il Guttemberg, dramma in quattro atti scritto per esaltare la funzione della libera stampa nella lotta contro l'ignoranza e la superstizione e per l'elevamento delle classi popolari: tutti temi, come si è visto, intorno ai quali ruotò in questa fase l'intera sua attività letteraria e giornalistica. Un altro suo dramma, I valdesi, pubblicato a Torino nel 1852, incontrò ugualmente delle difficoltà con il governo, che ne vietò la rappresentazione.
Coerentemente con questa attenzione per l'educazione e il progressivo affrancamento dei ceti popolari, il G. fece della Gazzetta del popolo il punto di riferimento del nascente movimento operaio torinese e nei primi anni Cinquanta dette il proprio personale contributo alla fondazione di società di mutuo soccorso e di biblioteche popolari. In questo stesso periodo egli fu il maggiore ispiratore di un'altra importante iniziativa editoriale che fece capo al quotidiano torinese: l'associazione Libera pro-paganda, costituita nel gennaio 1850 e diretta appunto dal G. e da Borella, che ebbe come scopo la pubblicazione di una collana di volumi a carattere divulgativo destinati all'istruzione popolare. In questo ambito il G. dette alle stampe un breve trattato di economia politica (Il debito pubblico, Torino 1851), nel quale esaltò le idee di A. Smith, espresse la propria preferenza per una tassazione di tipo progressivo e sostenne la necessità di tenere sotto controllo il bilancio dello Stato, ma anche quella, di lì a poco perseguita dai governi cavouriani, di finanziare attraverso di esso gli indispensabili interventi nel settore delle infrastrutture. Pubblicò poi un volume di introduzione all'astronomia (Un'occhiata al cielo, ibid. 1852), il cui scopo dichiarato era essenzialmente quello di combattere i pregiudizi popolari e le erronee credenze di matrice religiosa.
Progressivamente convertitosi alla politica cavouriana (fu tra i primi, per esempio, a sostenere la spedizione di Crimea) e rimasto sempre strenuo sostenitore delle battaglie anticlericali, nell'ottobre 1859 il G. trovò un approdo naturale nell'affiliazione alla ricostituita massoneria, allora rappresentata dalla loggia torinese Ausonia. Su sua proposta il 20 dic. 1859 venne fondato a Torino il nucleo originario di quello che nel 1861 sarebbe divenuto il Grande Oriente d'Italia, che avrebbe visto in lui uno dei più autorevoli dirigenti. Egli fra l'altro promosse l'elezione a gran maestro dell'amico C. Nigra (agosto 1861) e cercò di fare della massoneria una struttura organizzativa vicina alle posizioni del governo. Il G. uscì definitivamente dal sodalizio massonico nel luglio 1863, allorché la sua linea risultò sconfitta e prevalsero gli orientamenti della sinistra democratica di provenienza garibaldina.
Nella primavera del 1861 il G. aveva rinunciato anche alla direzione della Gazzetta del popolo, quasi che con la scomparsa del Cavour e il compimento dell'unificazione nazionale egli ritenesse conclusa la propria missione di giornalista. Quattro anni dopo tuttavia, nel clima di tensione seguito alla convenzione di settembre che lo portò ad appoggiare la protesta "piemontesista" e a sviluppare una profonda disillusione per gli uomini e le scelte della generazione postunitaria, tentò di dar vita a due nuovi giornali, il Conte di Cavour e il Papà Camillo, nei quali sostenne la necessità di tornare alla purezza degli ideali cavouriani. Entrambi ebbero però scarsa fortuna e segnarono la sua definitiva uscita dalla scena pubblica. Da allora "volle fare intorno a sé la solitudine, fece di tutto per essere obliato, provò non so quale amara compiacenza a perdersi nella folla" (Bersezio, 1899, p. 51). Pubblicò ancora qualche opera letteraria e teatrale, come il dramma in sei quadri L'assedio di Torino (1706) (Torino 1880) ma senza più ottenere consensi dalla critica o dal pubblico.
Morì a Torino il 10 marzo 1898.
Altri scritti: La morte del papa, ibid. 1861; La contessa Stragonoff, o Majotta di Chieri, ibid. 1866; Tre mesi d'oro. Racconto storico dei tempi del basso impero, ibid. 1869.
Fonti e Bibl.: M. Lessona, F. G., in Il Movimento letterario italiano (Torino), 15 maggio 1880; G. Pallavicino, Memorie, Torino 1886, II, pp. 420 ss.; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II. Trent'anni di vita italiana, Torino 1889, pp. 28-30, 33-35; Id., Commemorazione di F. G. fatta il 10 ott. 1898 nella sala V. Troya e cenni sopra la costituzione del comitato per il monumento, Torino 1899; L. Ambrosini, Un anno di vita del giornale "Il Conte di Cavour", in Il Risorgimento italiano. Rivista storica, III (1910), pp. 734 ss., 785; G. Faldella, Tribuni e tribune…, in Id., Piemonte ed Italia. Rapsodia di storia patriottica, Torino 1911, p. 110; A. Colombo, Per la storia della massoneria nel Risorgimento italiano. Documenti dell'archivio Govean, in Rass. stor. del Risorgimento, I (1914), pp. 53-89; C. Contessa, Momenti tristi illustrati con diversa luce. Una lettera di Vittorio Emanuele II ad Alfonso Lamarmora ed una di Costantino Reta triumviro di Genova nel 1849 a F. G., in Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza, Torino 1923, pp. 673 ss.; L. Collino, F. G. autore drammatico e la censura, in Il Risorgimento italiano, XIX (1926), 4, pp. 555-557; F. Lemmi, Giornali e giornalisti piemontesi e liguri dei tempi di Carlo Alberto, in Rassegna mensile municipale (Torino), 1934, n. 12, p. 7; V. Castronovo, Giornalismo e giornalisti piemontesi nel decennio post-unitario, in Il giornalismo italiano dal 1861 al 1870: dagli Atti del quinto Congresso dell'Istituto naz. per la storia del giornalismo, …1966, Torino 1966, pp. 2, 4 ss.; E.R. Papa, Origini delle società operaie. Libertà di associazione e organizzazioni operaie di mutuo soccorso in Piemonte, 1848-1861, Milano 1967, pp. 49, 54 s., 58, 68; A. Comba, Patriottismo cavouriano e religiosità democratica nel "Grande Oriente Italiano", in Boll. della Società di studi valdesi, XCIV (1973), 134, pp. 99 s., 102 s., 105-110, 112, 117-119; V.G. Pacifici, La sottoscrizione per i cento cannoni di Alessandria: motivazioni, polemiche e svolgimento, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXI (1984), pp. 173-196 passim; B. Gariglio, Stampa e opinione pubblica nel Risorgimento. La "Gazzetta del popolo" (1848-1861), Milano 1987, passim; A.A. Mola, Storia della massoneria italiana…, Milano 1992, ad ind.; L. Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post-unitario. Lodovico Frapolli, Milano 1998, pp. 17, 21-28, 31, 35, 43, 47, 50, 60, 85, 91, 96; G. Talamo, Il giornalismo, in Il Piemonte alle soglie del 1848, a cura di U. Levra, Torino-Roma 1999, p. 428; Storia di Torino, a cura di U. Levra, VI-VII, Torino 2000-01, ad indices; A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemporanei. Supplemento, II, s.v.; Id., Piccolo diz. dei contemporanei italiani, ad nomen; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.