LE MONNIER, Felice
Nacque a Verdun, nel dipartimento della Mosa, il 1° dic. 1806 da Jean, ufficiale nella guarnigione cittadina, e da Jeanne Michaud, figlia di un orologiaio: è tutt'altro che provata la discendenza dal casato dei Monnier, celebre famiglia di rilegatori attiva nel secolo XVIII. Avviato dal padre alla carriera militare, frequentò la scuola preparatoria di Saint-Cyr, dove compì i primi studi intorno al 1820, e quindi, sempre a Parigi, il collegio Henri IV.
Insofferente della disciplina militare, il giovane fuggì dal collegio e per questo ne fu espulso. Il padre lo affidò allora a un amico di famiglia, direttore di una stamperia dove il L. iniziò a lavorare come apprendista segnalandosi per dedizione e operosità. Allo scoppio della rivoluzione parigina del 1830 era già "proto" (capotipografo) e nelle giornate decisive di fine luglio, originate dalle ordinanze restrittive di Carlo X sulla libertà di stampa, si distinse alla testa dei suoi operai nell'officina dove si stampava Le Temps.
Nel 1831, forse deluso dal regime moderato di Luigi Filippo o più semplicemente spinto dal desiderio di fare fortuna in un altro paese grazie al mestiere di cui ormai era padrone, il L. decise di lasciare la Francia insieme con il figlio del suo principale. Voleva raggiungere la Grecia, assai amata dai giovani della sua generazione per la recente lotta per l'indipendenza. Tuttavia, giunto per primo in Toscana, il L. fu sorpreso a Firenze dalla notizia dell'improvvisa morte del compagno di avventura, che lo lasciò solo e senza mezzi, ma con due lettere di presentazione dell'editore parigino J. Renouard: una per G.P. Vieusseux, l'altra per i tipografi D. Passigli e P. Borghi. Fu presso di loro che riuscì subito a impiegarsi come proto, fino a quando, con l'estromissione di Passigli nel 1833, assunse in prima persona la direzione della nuova ditta, Borghi e C., e si stabilì definitivamente a Firenze.
Le prime notizie sulla sua attività in questo periodo riguardano l'edizione della Divina Commedia "ridotta a miglior lezione" (1837) e l'elegante versione del Cinque maggio di A. Manzoni (1838), nella quale la stampa dei versi è illustrata da incisioni che rivelano un gusto felice per la semplicità del fregio.
Nel 1837, divenendo socio di Borghi, il L. diede il proprio nome alla ditta, che chiamò Felice Le Monnier e C. e presto, nel 1840, ne prese l'intera responsabilità. Con un capitale di 4000 lire toscane acquistò gli strumenti tipografici e iniziò l'attività: in poco tempo, lavorando su commissione per la Società editrice fiorentina di E. Alberi, fu in grado di rimborsare i denari presi in prestito "ad un saggio alquanto oneroso": fra le pubblicazioni di questo periodo, la raccolta delle tragedie di V. Alfieri, le Istorie di N. Machiavelli, le opere di G. Boccaccio, traduzioni di prosatori greci e poeti latini. Le edizioni eleganti, in 8° grande, corrette e nitide, oltre a dargli credito, ebbero il pregio di assicurare costantemente il lavoro alla tipografia.
Il primo vero contratto di edizione fu stipulato per la pubblicazione dei Discorsi sulle storie italiane del canonico G. Borghi, fratello di Pietro: firmato nel maggio del 1841, fissava in 570 lire la cifra che l'abate versava al L. per la stampa di 2000 esemplari di ogni fascicolo (80 pagine), tutto compreso, dalla revisione alla rilegatura. Visto il successo dell'opera, in agosto il L. acquistò il diritto di far pubblicare in Francia la traduzione dei Discorsi e dal febbraio 1842 modificò radicalmente il contratto impegnandosi a pagare 700 lire per ogni fascicolo all'autore, a partire dal VII della serie, che ne prevedeva 80 in 15 volumi.
Nel frattempo il L., oltre a entrare in rapporti con N. Tommaseo, esule a Parigi, fu ammesso nella grande biblioteca privata di G. Capponi (dalla quale trasse copie rare di antiche edizioni dei classici) e si impose a Vieusseux come l'uomo adatto a realizzare le imprese editoriali più problematiche. Dai rigori della censura, alla quale, pur senza smarrire il senso della misura, si era segnalato per intraprendenza e vivacità, lo proteggevano la cittadinanza francese e l'innata arguzia. Come tipografo curava la pulizia e la leggibilità della pagina, rifiutando il lusso (e il costo) di fregi inutili e legature sontuose; come editore allargava la cerchia degli utenti, abbandonando la stampa riservata alle élites e rivolgendosi, con prezzi relativamente bassi, a un più vasto pubblico.
Il successo che gli diede la notorietà arrivò nel 1843, con l'avventurosa e clandestina pubblicazione dell'Arnaldo da Brescia di G.B. Niccolini. L'opera, inneggiante alla libertà dalla tirannia straniera, fu stampata (in 3000 copie presto esaurite) a Marsiglia, rilegata a Livorno e introdotta a Firenze regolarmente attraverso la dogana, la quale fu indotta a trascurare il controllo perché ingannata dalla dichiarazione "carta bianca" che comportava una tassa maggiore.
Nacque con l'Arnaldo la lunga e fortunata serie di volumi della "Biblioteca nazionale", la collezione animata da un chiaro "concetto politico non disgiunto da criterio editoriale", come il L. scrisse nel 1845 a T. Mamiani. Risale al dicembre 1844 il manifesto che segna la nascita della collezione, non a caso immediatamente vagliato dalle autorità di polizia: è un dépliant in quattro facciate, il primo autentico catalogo dell'editore. Si apre con l'annuncio delle Opere di Niccolini, la Divina Commedia, le Istorie fiorentine di Machiavelli, le Orazioni funebri di F.D. Guerrazzi e le Opere di G. Leopardi; seguono T. Tasso, F. Petrarca, P. Giordani, Alfieri, T. Grossi, C. Cantù, G. Vasari. Dai letterati (e più in generale dagli uomini di cultura sensibili agli ideali patriottici) che avevano trovato in lui l'uomo adatto a realizzare le imprese editoriali più ambiziose, il L. ebbe piena collaborazione nella scelta e nella cura delle opere, nella conoscenza e nei rapporti con gli autori, senza mai cedere alla presunzione di poter fare da solo.
Il piano editoriale si sviluppò negli anni, abbandonando il sistema delle pubblicazioni a fascicoli per dare spazio alle opere complete, a ristampe o edizioni critiche, dove l'edito e l'inedito si fondevano in una necessaria opera d'insieme, secondo un moderno rigore critico. Nel ventennio successivo i volumi della "Biblioteca nazionale" si fermarono di rado alla prima edizione, espressa in una tiratura oscillante fra le 2000 e le 3000 copie: volumi che arricchirono il catalogo senza un programma rigido, che avrebbe soffocato la libertà di iniziativa dell'editore e che era del resto difficilmente attuabile in quei tempi.
Per stampare in una versione completa le Opere di Leopardi fu necessario vincere le ritrosie di A. Ranieri, depositario degli originali, e tollerare a ogni costo il suo difficile carattere. La fatica fu coronata dal successo con la pubblicazione, nel 1845, dei due volumi: nessun altro editore riuscì, nel successivo quarantennio, a strappare a Ranieri un solo verso dei pochissimi non compresi in quell'edizione. L'anno dopo fu la volta delle Opere di Giordani, "edizione condotta sopra un esemplare corretto dall'autore e notabilmente accresciuta". Nello stesso periodo maturò l'idea del "tutto Foscolo", per la quale fu necessario ricercare e raccogliere testi sparsi per l'Europa, attribuirne con certezza la paternità, identificarli sui giornali, copiarli, tradurli. Per gli scritti del periodo inglese, il L. dovette incaricare addirittura G. Mazzini, allora esule a Londra, che accettò e si adoperò con entusiasmo: tuttavia, per i sopravvenuti impegni di Mazzini durante il biennio rivoluzionario, il primo volume delle Prose letterarie di U. Foscolo uscì solo nel 1850 e a cura di altri collaboratori. Un rapporto lungo e particolare con uno scrittore di successo fu quello con Guerrazzi, avviato grazie a Vieusseux: iniziato con le Orazioni funebri, proseguì con Isabella Orsini, duchessa di Bracciano (1845), gli Scritti, l'Apologia della vita politica (1851) e le nuove edizioni de La battaglia di Benevento e L'assedio di Firenze (1854, edito per la prima volta in Italia).
Più problematici i legami con Manzoni, dovuti alla pubblicazione nella "Biblioteca nazionale" dei Promessi sposi (1845).
Per non chiedere l'autorizzazione all'autore, il L. riprodusse l'edizione del 1827, stampata e ristampata più volte prima del 1840, data in cui era entrata in vigore la convenzione fra gli Stati italiani sul rispetto della proprietà letteraria. Profondamente ferito nell'amor proprio, Manzoni intraprese le vie legali sostenendo che l'unica eccezione consentita dalla convenzione al principio del rispetto della proprietà fosse la riproduzione iniziata prima dell'entrata in vigore della normativa e non dopo: di tale avviso si mostrarono i giudici nelle tre sentenze sul caso. L'intesa definitiva venne raggiunta solo vent'anni dopo, nel 1864, anche per intercessione di un amico comune quale Capponi, con il pagamento da parte del L. della rilevante cifra di 34.000 lire, dovuta alle svariate edizioni comunque riprodotte in quel lasso di tempo.
Quelli compresi fra 1845 e 1847 furono gli anni più belli per la "Biblioteca nazionale". I volumi dalla caratteristica copertina rosa divennero sempre più popolari e indispensabili per chi volesse rivivere nei romanzi storici di Guerrazzi, Cantù e Grossi l'eroico spirito di ribellione alle tirannie e al tempo stesso accrescere la propria cultura letteraria grazie ai commenti e alle introduzioni apposti ai testi antichi come a quelli nuovi. Nel 1846 il L. curò ben due edizioni clandestine della celebre opera di M. d'Azeglio Degli ultimi casi di Romagna. La prima fu stampata presso la tipografia Ricci a Firenze, la seconda a Bastia dalla tipografia Fabiani, e fu abilmente introdotta nel Granducato attraverso intricati giri fra le dogane di Livorno e del confine pontificio, senza che per la mancanza di prove certe la polizia, per quanto al corrente della cosa, potesse intervenire.
Con il 1848 il L. venne a trovarsi in difficoltà ma, a differenza di molti, pur conoscendo una fase sensibile di ristagno nelle vendite e nella stampa dei volumi fino al blocco quasi totale delle pubblicazioni nell'autunno di quell'anno, non fu travolto dagli eventi. Dovette la sopravvivenza all'attività di tipografo, che lavorava su commissione, cogliendo l'occasione degli opuscoli politici, numerosi e importanti: le Nuove speranze d'Italia di Tommaseo, gli scritti di Mamiani, I lutti di Lombardia e L'emancipazione civile degli israeliti di d'Azeglio. Agli opuscoli si aggiunse la stampa di quotidiani quali La Patria, Il Conciliatore, Lo Statuto; di un altro, la Costituente italiana di G. Modena e A. Mordini, fu anche organizzatore e propagatore.
La ripresa vera e propria della "Biblioteca nazionale" si ebbe sul finire del 1850, con la pubblicazione di un'opera di bruciante attualità, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850 di L.C. Farini. Riprese anche, e stavolta molto serrato, il confronto con la censura: ne furono eloquente testimonianza le improvvise perquisizioni in tipografia in occasione della stampa dei Versi di G. Giusti, fra il 1851 e il 1852. Seguirono le Poesie di A. Poerio, le opere di V. Alfieri e B. Cellini, Gli ultimi rivolgimenti italiani di F.A. Gualterio, lavoro ricco di documenti inediti sull'Italia della Restaurazione; poi venne la Vita di Dante (dipinto come uomo di azione e di lettere, autentico perseguitato politico) di C. Balbo, del quale, dopo la morte (1853), la casa editrice propose l'opera completa.
Nel 1854 il L. perse un collaboratore fondamentale, G. Barbera, il piemontese stabilitosi in Toscana che da oltre 15 anni lo affiancava in tutte le fasi del lavoro editoriale, ormai deciso a intraprendere una propria attività. Nel quinquennio che precedette la guerra del 1859 si contano decine di nuovi titoli nella "Biblioteca nazionale": accanto a essi, altre iniziative collaterali, come la vendita del ritratto degli autori o la traduzione di importanti classici stranieri affidata alla "Piccola Biblioteca".
Un cenno alle tirature, quali emergono dalla Nota dei lavori relativa al periodo 1849-64, offre uno specchio sintetico dell'attività: 22.750 copie diffuse in più ristampe della Commedia di Dante (e 14.750 del Rimario del poeta), 16.300 dei Promessi sposi, 10.700 della Gerusalemme liberata, 9800 delle Prigioni di S. Pellico, 9100 dei Versi di Giusti.
Nel biennio dell'unificazione fu di nuovo la volta degli opuscoli politici, di sicuro successo e capaci, in qualche caso, intervenendo su una polemica particolarmente accesa, di smaltire in pochi giorni anche 10.000 copie: così avvenne alla Scomunica e alla Causa italiana ai vescovi di padre C. Passaglia (autunno 1861), venduti in oltre 20.000 copie. Quanto alla stampa su commissione, quella dei giornali (fra i quali Il Risorgimento italiano di A. Gennarelli), pur comportando un innegabile contributo personale nel reperimento delle notizie e nella distribuzione, rappresentò per il L. un introito molto opportuno durante la recessione economica che inevitabilmente accompagnava i conflitti, con la conseguente paralisi del commercio librario.
Diverso fu il discorso per la Gazzetta del popolo, quotidiano di cui il L. era non solo tipografo ma anche proprietario: acquistando la testata all'inizio del 1861, ne fece un preciso strumento per sostenere il principio dell'Unità e della monarchia, contro le "mene degli esaltati" che la minacciavano.
Come scrisse egli stesso, non era stata l'idea del guadagno a spingerlo all'impresa, ma "il desiderio di giovare alla causa italiana per la quale ho lavorato tanti e tanti anni". Il foglio sostenne dunque l'azione del ministero contro le pretese dei democratici più avanzati, ma senza ricorrere alla polemica continua propria di molti giornali filogovernativi, attenuando invece le dispute troppo accese e le contrapposizioni nette che rischiavano di dividere il paese.
Fu questo il punto d'arrivo dell'evoluzione del L., da semplice imprenditore a patriota impegnato, capace di porre in secondo piano una delle componenti fondamentali delle proprie scelte, il calcolo economico. Avendo sposato già prima del 27 apr. 1859 la causa unitaria, si sentiva profondamente italiano, al di là della nazionalità francese e della Legion d'onore che lo raggiunse proprio in quei mesi da Parigi. Fu questa la sua "politica dell'editore", la stessa per cui oppose un rifiuto ad A. Gavazzi che gli aveva proposto un pamphlet contrario alla politica annessionista del governo provvisorio toscano. Indipendentista, unitario, monarchico, il L. vedeva in casa Savoia e nei suoi governi (il governo dei suoi autori, da Mamiani a M. Amari a M. Minghetti) il solo ceto dirigente in grado di realizzare l'annessione dello Stato pontificio e del Veneto senza contraccolpi destabilizzanti.
Per il linguaggio moderato ma fermo l'impresa della Gazzetta si rivelò anche un affare, con una tiratura giornaliera minima di 6000 copie e un utile netto annuo di 9000 lire: dati, questi, rilevati prima della cessione della testata nell'agosto 1862, dovuta alle numerose occupazioni che gravavano sull'editore. Cessione subordinata a una condizione precisa: il quotidiano non avrebbe modificato la linea politica.
Fra gli impegni del L. in quei mesi spicca l'acquisto di nuovi e più ampi locali in via S. Gallo, destinati ad accogliere la sua tipografia dopo il trasloco da via S. Barnaba, avvenuto dopo oltre dieci mesi di lavori di adattamento e restauro.
L'avvio della nuova attività si intrecciò con i profondi mutamenti intervenuti nel mercato librario dopo l'Unità. "Il tempo delle pubblicazioni politiche - scriveva nel marzo 1863 - è passato per chi non si voglia mettere contro il nostro governo. La letteratura è, se non uccisa, addormentata dalla politica giornalistica". Di qui l'interesse del L. per nuovi settori, promettenti almeno in teoria, come quello scolastico, reso peraltro incerto dalle carenze della pubblica istruzione.
Come qualità e varietà la "Biblioteca nazionale" non presenta lacune e mantiene un elevato numero di titoli, ma, al di là degli impegni già assunti in precedenza, le iniziative veramente nuove furono ridotte e i progetti per il futuro praticamente assenti: a pesare erano poi l'età e la mancanza di figli e quindi di eredi. Tali fattori, oltre alla carenza di liquidi per le spese sostenute nella nuova sede e la costosa conclusione della disputa con Manzoni, sono gli elementi che nel corso del 1864 lo indussero a cedere la tipografia a una società in via di costituzione, formata da azionisti quali B. Ricasoli, C. Ridolfi, A. Mari, in grado di fornire tutte le garanzie possibili quanto a serietà e armonia di intenti. Il passaggio di consegne ebbe luogo nel marzo 1865, dietro il pagamento di 80.000 lire e con la clausola che al L. andassero 4 delle 40 azioni costituenti il capitale della società. Un anno dopo, per volontà dell'assemblea, il L. ne divenne il direttore tecnico e commerciale nonché il consigliere onorario. Importante fu il suo ruolo anche nella nascita della Nuova Antologia, in quanto uno dei proprietari dei cinque pacchetti azionari della società fondatrice della rivista, sorta nello stesso periodo e collegata alla casa editrice.
Della Società successori Le Monnier (questa la denominazione), il "sor Felice" rimase direttore per un quindicennio, garantendo, pur nelle innovazioni e nei cambiamenti imposti dai tempi, la continuità con il passato. Nell'agosto 1879, dimessosi da ogni carica, si ritirò nella sua villa di Bellosguardo, a Signa, dove morì il 28 giugno 1884, poco prima che il Comune di Firenze potesse deliberare la concessione della cittadinanza onoraria.
L'ultimo suo atto d'amore per la città e la cultura fu la consegna di tutti i suoi documenti alla Biblioteca nazionale.
Fonti e Bibl.: Le Carte Le Monnier (circa 6700 lettere) e i Copialettere della casa editrice per il periodo 1844-66 (oltre 31.000 minute, un vero e proprio specchio dell'attività, dei piani e dei programmi del L.), conservati presso la Biblioteca nazionale di Firenze, sono stati ampiamente utilizzati da C. Ceccuti, Un editore del Risorgimento: F. L., Firenze 1974, il testo principale sull'argomento.
Si segnalano inoltre: G. Barbera, Memorie di un editore, Firenze 1883; A. Gotti, DiF. L. e della sua "Biblioteca nazionale", in Rassegna nazionale, 16 maggio 1885, pp. 169-174; F. Martini, Giuseppe Mazzini e l'edizione delle opere di Ugo Foscolo, in Nuova Antologia, 1° maggio 1890, pp. 60-78; 16 maggio 1890, pp. 232-253; P. Galeati, Di due tipografi: F. L. e G. Barbera, Imola 1895; I primordi della "Biblioteca nazionale" di F. L. in LX lettere a lui di Pietro Giordani, a cura di I. Del Lungo, Firenze 1917; C. Ceccuti, Le Monnier dal Risorgimento alla Repubblica, 1837-1987. Centocinquant'anni per la cultura e per la scuola, Firenze 1987; G. Spadolini, F. L., l'Antologia e la Nuova Antologia, in Rassegna storica toscana, XXXIV (1988), pp. 3-36.