ORSINI, Felice
Patriota e cospiratore, nato a Meldola, presso Forlì, il 10 dicembre 1819, giustiziato a Parigi il 13 marzo 1858. Dal padre, già ufficiale napoleonico e poi ascritto alle vendite carboniche, fu collocato a Imola presso uno zio, perché attendesse agli studî; e ancora giovinetto diede prova di audacia e di disposizione alla vita avventurosa, poiché, avuta notizia della rivoluzione del 1831, insieme con altri suoi coetanei tentò di fuggire ad Ancona per arruolarsi con i Francesi. Il 5 luglio 1836 fu colpevole di una tragica sciagura, avendo, non si sa se per disgrazia o di proposito, ucciso un domestico con un colpo di pistola. Dovette essere trafugato in Toscana, fino a quando fu dapprima condannato a sei mesi di carcere, e poi assolto, purché, come ne aveva mostrato desiderio, si fosse deciso a farsi gesuita. Ma, dopo pochi giorni di noviziato a Chieri, l'O. chiese e ottenne di essere rimandato a casa. Recatosi a Bologna per frequentarvi i corsi universitarî di legge si ascrisse alla Giovine Italia e condusse vita disordinata. Laureatosi nel 1843, subito dopo il tentativo rivoluzionario di quell'anno, insieme con E. Barbetti ideò una società segreta intitolata Congiura italiana dei figli della morte, che in realtà non uscì dalla fase programmatica. E il programma, steso da lui con l'amico, fu sequestrato dalla polizia pontificia e procurò l'arresto del giovane cospiratore e del padre di lui (1° maggio 1844). Condotto a San Leo, poi a Roma, fu condannato alla galera a vita nel forte di Civita Castellana, donde uscì nel luglio del 1846 per l'amnistia di Pio IX. Andato a Firenze s'ingolfò nelle agitazioni rivoluzionarie, ebbe mano nella diffusione della stampa clandestina, pubblicò un volumetto storico-politico (Alla gioventù italiana, Italia 1847), e dal governo granducale ebbe ordine, poi revocato, di sfratto. Nel 1848 partecipò alla guerra dell'indipendenza nei volontarî dello Zambeccari, e dopo la caduta di Vicenza, alla difesa di Venezia. Eletto nel gennaio 1849 deputato alla Costituente romana, e proclamata la repubblica in Roma, l'O. fu commissario a Terracina, poi ad Ancona per ristabilirvi l'ordine turbato da gravi fatti di sangue, e ad Ascoli, che era in preda al brigantaggio, alimentato da elementi reazionarî. Caduta la repubblica, l'O. riparò a Firenze, poi a Genova e a Nizza (marzo 1850), dove strinse relazione con A. Herzen, si occupò di studî politici e geografici (Memorie e documenti intorno al governo della repubblica romana, Nizza 1850, e Geografia militare della penisola italiana, Torino 1852) e attese ad affari di commercio. Dopo il tentativo del 6 febbraio 1853, al quale, di concerto col Mazzini, si disponeva a partecipare, andò a Londra. Colà il Mazzini, che aveva per lui grande stima, lo scelse a capo dei tentativi rivoluzionari di Sarzana e della Valtellina, falliti pur essi miseramente (1853-54). Rifugiatosi in Svizzera, vi rivide il Mazzini, di cui però disapprovava i tentativi rivoluzionarî. A Zurigo conobbe Emma Herwegh, che poi doveva facilitargli la fuga dal castello di Mantova; e di là, accettata una missione affidatagli dal Mazzini, andô a Trieste, poi a Vienna, ma il 17 dicembre 1854 fu arrestato a Hermannstadt. Condotto prigioniero in Italia e internato nel castello di Mantova (28 marzo 1855) ebbe modo di corrispondere con gli amici di Zurigo, specie con la Herwegh, che aiutata dal Cironi e dal Mazzini favorì quell'evasione (28 marzo 1856) che parve miracolosa. Riuscito a riparare in Inghilterra, vi fu accolto festosamente. Tenne colà conferenze e attese a scrivere per consiglio del Mazzini e con l'aiuto della Mario un primo abbozzo in inglese delle sue memorie (Austrian Dungeons in Italy, Londra 1857). Più tardi fece tradurre da G. Carbonel una compiuta narrazione della sua vita (Memoirs and adventures, Edimburgo 1857) che, scoppiato l'aperto dissenso con il Mazzini, apparve poi ridotta e mutata di autobiografia in opera di prevalente polemica antimazziniana, anche in italiano, a cura di A. Franchi (Memorie politiche, Torino 1858). Irritato contro il Mazzini e i mazziniani, frequentò a Londra elementi torbidi e venne accarezzando l'idea di un gran colpo, l'uccisione di Napoleone III ritenuto colpevole delle condizioni italiane. Provvisto di passaporto falso, partì per la Francia il 29 novembre di quell'anno. Con lui erano a parte del complotto il Pieri, il Gomez, il Rudio. L'attentato ebbe luogo la sera del 13 gennaio 1858, mentre Napoleone III si avviava all'Opéra. L'imperatore ne uscì miracolosamente illeso, ma numerusi furono i morti e moltissimi i feriti. Durante il processo, l'O. tenne contegno calmo e dignitoso; e nella prigionia scrisse due lettere a Napoleone III, nelle quali gli raccomandava le sorti dell'Italia, lettere che produssero grande scalpore al punto che ne fu sospettata, a torto, l'autenticità. È noto che esse furono utili al conte di Cavour, che per l'attentato si trovò in difficili frangenti, avendogli Napoleone III imposto quasi dei patti per distruggere il partito mazziniano, da lui ritenuto responsabile dell'attentato. L'O., che fu difeso da J. Favre, fu condannato a morte con il Pieri. Salì il palco fatale con grande coraggio e prima di offrire la sua testa al carnefice gridò: Viva l'Italia! Viva la Francia!
Bibl.: E. Montazio, F. O., Torino 1862; E. Zironi, Vita di F. O., Firenze 1888; P. Mastri, F. O. nel forte di S. Leo, Imola 1908; A. Luzio, F. O., Milano 1914; M. Boulenger, L'attentat d'O., Parigi 1927; A. M. Ghisalberti, F. O. e la Repubblica romana, in Studi e documenti su G. Mameli, ecc., Imola 1927; id., Il primo processo politico di F. O., in Il comune di Bologna, 1933; id., Per l'epistolario di F. O., in Rass. stor. del Risorg., a. XX (1933); id., Studi storici e militari di F. O., in Esercito e Nazione, 1934; id., Docum. orsin. Intorno al secondo tentativo di Lunigiana, in Il comune di Bologna, 1934; id., La tesi di laurea di F. O., in Camicia Rossa, ottobre 1934; R. Caddeo, L'attentato di F. O., Milano 1933; C. Gevel, Deux carbonari: Napoléon III et F. O., Parigi 1934.