PALMA, Felice
PALMA, Felice. – Figlio di Jacopo, nacque a Massa di Lunigiana il 12 luglio 1583 (Baldinucci [1681-1728], 1846, p. 491).
Le più antiche informazioni riguardanti Palma sono contenute nella biografia dedicata da Filippo Baldinucci allo scultore Tiziano Aspetti nelle Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (ibid., pp. 491-494). Fra la esigua bibliografia successiva, il primo contributo in cui è stata tentata una ricostruzione dell’intera carriera dell’artista si deve ad Alessandro Parronchi (1972). Stando alle argomentazioni dello studioso, a Palma spetterebbe il merito di avere introdotto nella scultura toscana degli inizi del Seicento elementi di novità talmente moderni da potersi ritenere paralleli agli esiti raggiunti dal giovane Gian Lorenzo Bernini a Roma; novità che poi sarebbero state mitigate da Felice a causa del suo adeguamento al gusto allora imperante all’interno della corte medicea.
L’acquisizione di nuovi documenti riguardanti molte delle opere di Palma ha successivamente permesso una rilettura dell’intera carriera dell’artista che, oltre a mettere in discussione la cronologia proposta da Parronchi operata principalmente sulla scorta delle notizie baldinucciane, ha ridimensionato la carica novatrice dello scultore a torto enfatizzata dallo studioso.
Proprio su tale revisione è incentrato quello che può essere definito il contributo a tutt’oggi più esaustivo e importante relativo all’artista, spettante a Luciano Migliaccio e Franco Paliaga (1990), secondo i quali (p. 29): «la carriera del Palma appare un percorso coerente. Partendo da una formazione prima locale, quindi veneta con l’Aspetti, incontratosi con il gusto ufficiale della corte medicea dominato dallo stile dei seguaci del Giambologna, quali Pietro Tacca e il Susini, egli indirizzò verso un originale ripensamento del passato, seguendo soprattutto l’esempio del Caccini, in consonanza con le proposte della coeva cultura figurativa fiorentina». Stando a quanto affermato dai due studiosi «Al Palma mancò certamente […] la possibilità di approfondire il contatto con le nuove concezioni berniniane della scultura. Egli si rivela innanzitutto figlio della tradizione manierista della Toscana occidentale, quella delle opere pisane dei Lorenzi e dei Mosca, che seppe intendere in modo da non contrapporla alla lezione veneta dell’Aspetti e da assumerla entro le più recenti ricerche fiorentine» (ibid., p. 36).
Su un particolare aspetto della carriera scultorea di Palma, quella della produzione di crocifissi, si è di recente soffermata l’attenzione di Francesco Caglioti (2012), che ha restituito al catalogo dell’artista opere inedite o già attribuite ad altri nomi.
Felice Palma si formò nella bottega di Tiziano Aspetti, scultore padovano che dalla fine del Cinquecento aveva intrattenuto rapporti di lavoro col padre di Felice, Jacopo. Tale consuetudine tra il padovano e il padre dello scultore, sommata a un documento del 1602 che attesta la presenza di Felice a Venezia in qualità di testimone del suo maestro (Benacchio Flores d’Arcais, 1930-32; Id., 1940), ha permesso di collocare la formazione di Palma tra Massa e Venezia (Migliaccio - Paliaga, 1990, pp. 21 s.), sconfessando quanto affermato da Baldinucci che la situava a Pisa e la faceva iniziare soltanto con l’arrivo di Aspetti in Toscana (Baldinucci [1681-1728], 1846, p. 491). Stando a questo documento la prima opera nota dello scultore, la Madonna col Bambino in marmo, originariamente situata in un tabernacolo della salita dei Cappuccini di Massa e oggi conservata assai guasta nel cortile del medesimo convento, non dovrebbe datarsi al 1604 come proposto da Parronchi (1972, pp. 279 s.), ma prima del 1602, vale a dire prima dell’arrivo di Felice a Venezia, considerati l’assenza di qualsiasi richiamo alla lezione di Aspetti e il gusto tardomanierista toscano a cui invece pare improntata (Migliaccio - Paliaga, 1990, p. 29).
Nel 1604 Palma ritornò in Toscana col suo maestro al seguito di Antonio Grimani, vescovo di Torcello divenuto nunzio apostolico a Firenze. Con la morte di Aspetti, avvenuta a Pisa nel 1606 (1607, stile pisano), Felice assunse gli incarichi lasciati incompiuti da Aspetti su commissione delle famiglie per le quali il padovano aveva quasi esclusivamente lavorato in Toscana: quelle, imparentate fra loro, dei Berzighelli e degli Usimbardi. E, considerato il ruolo avuto a corte da Lorenzo Usimbardi, segretario di Cristina di Lorena, moglie del granduca Ferdinando I de’ Medici, è probabile che siano state proprio queste importanti famiglie ad attirare su Palma le attenzioni della committenza granducale (ibid., pp. 22-24).
Ormai artista indipendente, Palma nel 1607 realizzò in marmo il Ritratto di Tiziano Aspetti (Pisa, Museo di S. Matteo) per il sepolcro che Cosimo Berzighelli aveva voluto erigere al defunto maestro padovano nel chiostro della chiesa del Carmine di Pisa (ibid., p. 23), riguardo al quale la critica ha evidenziato la naturalezza e la freschezza derivategli dalla ritrattistica veneta cinquecentesca (Parronchi, 1972, p. 280; Id., 1986, p. 444, cat. 4.24). Per il medesimo committente, sul finire del primo decennio del secolo Palma diede prova delle sue capacità di architetto progettando la piccola cappella della villa di Capannoli (Pisa), oggi di proprietà della famiglia Ferretti(Migliaccio - Paliaga, 1990, pp. 23, 31): un austero scrigno di marmo mischio a bronzo pensato per accogliere un rilievo quattrocentesco, oggi conservato al Museum of fine arts di Boston, allora ritenuto di Desiderio da Settignano (Baldinucci [1681-1728], pp. 491 s.) e attribuito in tempi recenti alla bottega di Verrocchio (Migliaccio - Paliaga, 1990, p. 39 n. 13).
Tra il 17 luglio 1610 e il 2 agosto 1612 Palma riscosse pagamenti per la realizzazione degli Angeli posti sul timpano dell’altare maggiore del santuario di S. Maria della Fontenuova di Monsummano (Pistoia), che in quegli anni si andava erigendo per volere di Cristina di Lorena (ibid., p. 24). Secondo Migliaccio e Paliaga, questi due angeli furono soltanto ultimati da Palma, a causa della morte dello scultore pistoiese Leonardo Marcacci che in precedenza li aveva sbozzati (ibid.). Rileggendo meglio i documenti, però, i due marmi devono essere interamente riferiti allo scalpello di Felice. Infatti, Marcacci – documentato ancora nel luglio 1611 – aveva davvero sbozzato dei marmi per l’altare, ma questi, non potendosi «render in perfettione per essere dette bozze stroppiate» furono sostituiti ex novo da Felice con «li dua Angioli che di ordine di Michele Mariotti ha fabbricato e condotti a luogo» (Guerrieri, 1973).
Tra il 1611 e il 1613 Palma lavorò nella chiesa di S. Nicola a Pisa, realizzando opere che soltanto recentemente la critica ha individuato con precisione (Migliaccio - Paliaga, 1990, pp. 24 s., 31). Tra il 1611 e il 1612 si occupò infatti della decorazione della cappella della Ss. Annunziata, compiendo, su disegno dell’architetto granducale Matteo Nigetti, il sontuoso altare maggiore voluto da Cristina di Lorena; l’anno successivo eseguì le modanature marmoree e i due Angeli posti alla sommità dell’altare maggiore della cappella del Ss. Sacramento che in quel momento si decorava per volere di Maria Maddalena d’Austria, moglie del granduca Cosimo II, succeduto al padre Ferdinando I.
Grazie al favore riscontrato dalle opere appena ricordate Palma, giunto a Firenze tra il 1613 e il 1614, venne presentato dallo statuario granducale Pietro Tacca, l’8 ottobre 1614, all’Accademia del disegno in qualità di «scultore giovane di molto merito» (Parronchi, 1972, p. 283).
Il 23 settembre 1614 il nome di Palma compare per la prima volta tra quelli degli artisti che presero parte alla decorazione della cappella Usimbardi nella chiesa fiorentina di S. Trinita. Ciò è quanto si apprende dalla documentazione resa nota da Roberto Bartalini (1991), che ha permesso di datare i lavori di Palma in questo luogo al biennio 1614-15 (l’ultimo pagamento è dell’11 febbraio 1616), contrariamente a quanto affermato dalla critica precedente che li riteneva dei primi anni Venti (ibid., pp. 292-294; Migliaccio - Paliaga, 1990, p. 27) o li situava tra il 1613 e il 1618 (Ciardi Duprè dal Poggetto, 1987, pp. 250 s.). Per la cappella della famiglia che fino a quel momento più lo aveva favorito, Felice realizzò il Pellicano bronzeo posto al centro del timpano dell’altare e il Crocifisso bronzeo collocato al centro della medesimaara (Caglioti, 2012, p. 97), che sicuramente «rappresenta la più alta realizzazione del Palma in questo campo» (Migliaccio - Paliaga, 1990, p. 34). Per le pareti laterali scolpì in marmo il Ritratto del vescovo Pietro Usimbardi e il Ritratto del vescovo Usimbardo Usimbardi, palesando in essi «la crescente autorità che, anche su Palma, andava assumendo ormai la ritrattistica nuova di Pietro Tacca» (Bartalini, 1991, p. 77).
Nei due busti Usimbardi Palma volle misurarsi con la ritrattistica riformata ‘a colpi di Natura’ dallo scultore granducale «ma come ritraducendone la bruciante vitalità in un ordine tutto di ‘decoro’ ed etichetta, di filtratissima e composta ‘naturalezza’. E il felice venetismo, alla Alessandro Vittoria, del busto scolpito in gioventù per la tomba di Tiziano Aspetti, nel chiostro del Carmine di Pisa, era irrimediabilmente perduto, anzi rinnegato» (ibid.).
Agli stessi anni in cui Palma licenziò i busti per S. Trinita sono databili per ragioni di stile anche gli altri ritratti che lo scultore realizzò per la famiglia Usimbardi: quello di Lorenzo Usimbardi oggi nel Museo civico di Colle Val d’Elsa (Parronchi, 1972, p. 295; Id., 1986, p. 444, cat. 4.25), quello di Pietro Usimbardi situato nel convento di S. Pietro della stessa città (Bartalini, 1991, p. 81 n. 8) e quello di Usimbardo o Pietro Usimbardi conservato al Victoria and Albert Museum di Londra (Pope-Hennessy, 1963; Bartalini, 1991, p. 81 n. 8). Probabilmente in questo periodo l’artista scolpì anche il Ritratto di Virginia Usimbardi ricordato dalle fonti, oggi perduto (Baldinucci [1681-1728], 1846, p. 493; Bartalini, 1991, p. 81 n. 8).
Tra il 1615 e il 1620 dovrebbero datarsi i numerosi Crocifissi riferiti da Caglioti (2012, pp. 95-101) allo scalpello di Palma: quelli bronzei oggi a Scandicci (chiesa di Gesù Buon Pastore a Casellina), a Impruneta (basilica di S. Maria), a Roma (Fondazione ecclesiastica Istituto Marchesi Gerini) e quelli in cartapesta conservati a Firenze (S. Pier Celoro, Capitolo Metropolitano di S. Maria del Fiore) e a San Casciano in Val di Pesa (Pieve di S. Pancrazio). Tutte opere che, secondo lo studioso, richiamano il Crocifisso di S. Trinita, vero prototipo per tale famiglia tipologica di manufatti realizzati da Palma.
Il 26 maggio 1615 Palma pagò la prima quota associativa all’Accademia del disegno (Parronchi, 1972, p. 283) e, entro la fine dello stesso anno, decorò il fonte battesimale che per volere di Cristina di Lorena era stato collocato tre anni prima nel duomo di Pietrasanta (Lucca) da Orazio di Francesco Bergamini e Fabrizio di Agostino Pelliccia (Migliaccio - Paliaga, 1990, pp. 26, 41 n. 21). Per impreziosire questo fonte – oggi conservato nel battistero di S. Giacinto della stessa città – lo scultore creò lo sportello bronzeo raffigurante il Battesimo di Cristo, la statuetta marmorea del Cristo risorto, quella bronzea di Noè ora conservata presso l’Art Gallery of Ontario di Toronto, le armi del granduca in marmo e un modello in cera per una statuetta di Costantino che non risulta essere stata realizzata.
Nel 1618 l’artista ottenne dall’operaio del duomo di Pisa Curzio Cevoli la commissione per le due statue bronzee che ancora oggi impreziosiscono le acquasantiere poste all’ingresso della cattedrale (Parronchi, 1972, p. 294; Id., 1986, pp. 446 s., catt. 4.26 - 4.27; Migliaccio - Paliaga, 1990, p. 26). I due bellissimi bronzi, raffiguranti Cristo e S. Giovanni Battista furono ultimati prima del 30 maggio 1621, mentre i pagamenti a essi relativi coprono un arco di tempo complessivo che va dal 1° novembre 1618 al 19 aprile 1623 (ibid., p. 41 n. 21). A questi anni risalgono anche gli altri pagamenti versati dallo scultore all’Accademia del disegno: l’8 giugno 1618, il 17 maggio 1619, l’8 marzo 1620, l’8 agosto e il 12 settembre 1621, il 21 febbraio 1622, il 12 febbraio e il 22 settembre 1623 (Parronchi, 1972, p. 283).
Nello stesso periodo in cui realizzò i bronzi per il duomo pisano, Palma scolpì anche l’opera che più di altre contribuì alla fama e al lustro del suo nome: il Giove fulminante oggi collocato nel piazzale d’ingresso della villa medicea di Poggio Imperiale, nei pressi di Firenze.
Ritenuta realizzata da parte della critica intorno al 1612 (Parronchi, 1972, p. 285; Ciardi Duprè dal Poggetto, 1987, p. 251) o agli inizi degli anni Venti (Migliaccio - Paliaga, 1972, pp. 26 s.), la scultura pare debba essere datata con più precisione al periodo compreso tra il 1618 e gli anni immediatamente successivi (Pizzorusso, 1989; Bartalini, 1990, p. 80 n. 2). Secondo Claudio Pizzorusso, che ha rinvenuto il pagamento finale (11 settembre 1624) in un registro di documenti riguardante palazzo Pitti e l’annesso giardino di Boboli, l’opera sarebbe stata infatti realizzata per volere di Cosimo II col finediadornare il giardino della più importante tra le residenze granducali. Il Giove, quindi, nacque per decorare l’Isola di Venere a Boboli e qui venne collocato insieme al Saturno di Gherardo Silvani, alla Frode di Francesco Susini, alla Latona di Agostino Ubaldini e al Vulcano di Chiarissimo Fancelli, fino a quando, forse nel 1635, venne spostato nell’attuale sede.
Mentre il Giove prendeva forma, l’artista, collaborando con gli scultori Orazio Mochi, Francesco Susini e Agostino Ubaldini e con i pittori Ottavio Vannini, Giovanni da San Giovanni, Matteo Rosselli, Sigismondo Coccapani e Anastasio Fontebuoni, partecipò alla realizzazione degli apparati funebri fatti allestire da Maria Maddalena d’Austria in onore del defunto granduca Cosimo II morto nel 1621.
A Felice spettò la realizzazione di una statua «in terra di rilievo intero finte di marmo» raffigurante «la Prudenza simbolicam.te figurata una donna con due faccie che riguardava in uno specchio, postole nella dritta mano, et con la sinistra s’appoggiava ad un ancora avendo avvoltato al medesimo braccio una serpe. Il capo era coperto di morione et inghirlandato di fronde di moro» (Giglioli, 1949, p. 181).
Sulla scia del successo cagionatogli dalla statua di Giove, Palma fu eletto console dell’Accademia del disegno il 18 gennaio 1623 (Parronchi, 1972, p. 284). Nello stesso anno venne chiamato a realizzare i Busti di Jacopo e Camillo Guidi per la cappella che allora si andava erigendo su progetto di Giulio Parigi nella chiesa di S. Francesco a Volterra. A causa di una lunga malattia che lo condusse a morte prematura, l’artista per questa cappella riuscì a scolpire nel marmo soltanto il Ritratto del vescovo Jacopo Guidi e a modellare, in terracotta, il Ritratto di Camillo Guidi, oggi perduto (Paliaga, 1988, pp. 41-43, 45; Migliaccio - Paliaga, 1990, pp. 27 s., 45).
Nel maggio 1625 l’artista è documentato a Pisa insieme allo scultore Francesco Susini per effettuare una stima di due sculture realizzate da Chiarissimo Fancelli per la cattedrale (ibid., p. 28).
Fra le opere attribuite allo scalpello di Felice figurano la Pietà lignea già nella chiesa di S. Sebastiano di Massa, oggi nei depositi della soprintendenza di Pisa (Parronchi, 1972, p. 284), il Nettuno del giardino della villa dei Massoni di Massa (ibid., pp. 294 s.), il bronzetto raffigurante Giove fulminante conservato nella collezione Daniel Katz di Londra (Brook, 1986, p. 446 cat. 4.28), il S. Giovanni Battista, in marmo, in collezione privata inglese (Parronchi, 1972, p. 294), un Ritrattomaschile, in marmo, apparso sul mercato antiquario (ibid., p. 298 n. 53) e l’Autoritratto dello scultore già in collezione Gregori a Firenze (ibid., pp. 295 s.) forse identificabile con quello ricordato da Baldinucci ([1681-1728], 1846, p. 494). Apparteneva all’estrema produzione dell’artista anche il Cristo in Croce modellato in cartapesta per la chiesa di S. Rocco in Massa che oggi risulta perduto (ibid., p. 493; Migliaccio - Paliaga, 1990, pp. 28 s.).
Il 13 agosto 1625 l’artista stilò il suo testamento, lasciando alcuni suoi modelli di gesso e terracotta ai pittori Filippo Martelli e Agostino Ghirlanda e tutti gli altri suoi averi all’unica figlia Angela (Parronchi, 1968).
Morì a Massa il 6 settembre 1625 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco della stessa città (Baldinucci [1681-1728], 1846, p. 494).
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di G. Ranalli, III, Firenze 1846 (edizione stereotipa Firenze 1974), pp. 491-494; M. Benacchio Flores d’Arcais, Vita e opere di Tiziano Aspetti: I, La vita, in Bollettino del Museo civico di Padova,n.s., VI-VIII (1930-32), pp. 189-206; Id., Vita e opere di Tiziano Aspetti, Padova 1940, p. 138, doc. IX; E.H. Giglioli, Giovanni da San Giovanni (Giovanni Mannozzi, 1592-1636). Studi e ricerche, Firenze 1949, pp. 179-184; J. Pope-Hennessy, Catalogue of Italian sculpture in the Victoria and Albert Museum, London 1964, II, p. 569, nr. 604; A. Parronchi, Opere giovanili di Michelangelo, I, Firenze 1968, pp. 88-90; Id., F. P. Nascita del barocco nella scultura toscana, in Festschrift Luitpold Dussler, München 1972, pp. 275-298; F. Guerrieri, Artisti granducali nel tempio della Madonna della Fontenuova a Monsummano, Pistoia 1973, pp. 38 s.; A. Parronchi, in Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III (catal., 1986-87), II, Disegno, incisione, scultura, arti minori, Firenze 1986, pp. 444-446 s., catt. 4.24 - 4.27; A. Brook, ibid., p. 446 cat. 4.28; III, Biografie, ibid. 1986, pp. 140 s.; M.G. Ciardi Duprè dal Poggetto, in La chiesa di S. Trinita a Firenze, Firenze 1987, pp. 250-252; F. Paliaga, Giulio Parigi a Volterra, in Ricerche storiche, 1988, n. 1, pp. 35-49; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove. Sculture e scultori fiorentini del Seicento, Firenze 1989, pp. 55-62; L. Migliaccio - F. Paliaga, Nuovi studi su F. P. e note sull’attività toscana di Tiziano Aspetti, in Paragone XLI (1990), 479-481, pp. 20-46; R. Bartalini, F. P. e Lorenzo Usimbardi in Prospettiva, 1991, n. 64, pp. 75-82; F. Caglioti, Da Benedetto da Maiano a F. P.: per un riesame del Crocifisso in cartapesta di S. Maria del Fiore, in E l’informe infine si fa forma… Studi intorno a S. Maria del Fiore in ricordo di Patrizio Osticresi, a cura di L. Fabbri - A. Giusti, Firenze 2012, pp. 95-106.