VARESI, Felice
VARESI (Varese), Felice. – Nacque a Calais nel 1813, figlio di un ufficiale napoleonico. Non si hanno notizie della madre.
Rientrato fanciullo a Milano, «fu istruito nelle belle lettere, nella matematica, nella fisica, nel disegno, nell’architettura, nelle lingue, e tra’ maestri ebbe il celebre abate Pozzoni» (probabilmente Giuseppe Pozzone, docente nel ginnasio di Brera dal 1819; Regli, 1860). Non si sa quali insegnanti di canto abbia avuto.
Il giovane baritono debuttò il 18 giugno 1834 in un concerto della Società del Giardino con il contralto Marietta Brambilla, il tenore Domenico Reina, il baritono Giorgio Ronconi e il celeberrimo soprano Giuditta Pasta. In autunno debuttò in teatro a Varese e a Novara, nei ruoli eponimi del Furioso nell’isola di S. Domingo e del Torquato Tasso di Gaetano Donizetti. A Carnevale, a Venezia, cantò di nuovo nel Tasso nonché nell’Elisir d’amore dello stesso autore, nella parte di Belcore, per l’apertura del rinnovato teatro Emeronittio (ex S. Giovanni Grisostomo, poi Malibran), con la prima donna Lina Roser, moglie del musicista inglese Michael W. Balfe. In quaresima, alla Fenice, fu Dandini nella Cenerentola di Gioachino Rossini, prima donna Maria Malibran.
Nella stagione di Carnevale del 1836, al fianco di Luigia Boccabadati (1799 o 1800-1850), di cui sarebbe poi diventato genero, si impose al teatro Ducale di Parma nei Puritani di Vincenzo Bellini (Riccardo), nella Cenerentola (Dandini), nella Gemma di Vergy di Donizetti (il Conte di Vergy), che fu poi uno dei suoi titoli prediletti. Vi ritornò per inaugurare la stagione del 1837 con Il pirata di Bellini (Ernesto) e Lucia di Lammermoor di Donizetti (Enrico), assieme al tenore Gilbert-Louis Duprez, che nell’estate precedente aveva incontrato all’Eretenio di Vicenza per Lucia e per Il bravo di Marco Aurelio Marliani.
Alla Pergola di Firenze, scritturato dall’impresario Alessandro Lanari, debuttò nella quaresima del 1837 come Israele Bertucci nel Marin Faliero di Donizetti, prima di una cospicua serie di opere nuove per lui; l’anno dopo cantò Caterina di Clèves, che Luigi Savi scrisse per lui; nel 1839 Salvini e Adelson di Savi, nonché Il giuramento di Saverio Mercadante e Mosè (Faraone) e Otello (Jago) di Rossini. Si esibì al Comunale di Bologna, al Comunale di Modena, al Giglio di Lucca, al Civico di Perugia, al Valle di Roma e al Carlo Felice di Genova.
Tra maggio del 1840 e maggio del 1841, nel teatro São Carlos di Lisbona, diretto allora da Pietro Antonio Coppola, cantò – con la Boccabadati e la di lei figlia Augusta Gazzuoli – Caterina di Clèves, Matilde di Shabran (Rossini), Giovanna I regina di Napoli (Coppola), L’elisir d’amore, Il giuramento, L’assedio di Diu (Manuel Inocêncio dos Santos), La figlia dello spadaio (Coppola), I Puritani, Il furioso all’isola di Santo Domingo.
Alla Scala di Milano comparve tra l’agosto del 1841 e il febbraio del 1842, con La vestale di Mercadante, Caterina di Clèves, Le nozze di Figaro di Luigi Ricci, la prima di Corrado di Altamura di Federico Ricci, Saffo di Giovanni Pacini e la prima dell’Odalisa di Alessandro Nini. Da lì, l’impresario Merelli, attivo sia a Milano sia a Vienna, lo lanciò al Kärntnertor Theater. Vi debuttò nell’aprile del 1842 con La vestale e Corrado di Altamura; in maggio cantò nella prima della Linda di Chamounix (prese parte anche alla prima italiana al Valle di Roma, nell’autunno dello stesso anno), che ripeté nel 1843 e ancora nel 1844, stavolta con la Gazza ladra di Rossini (Fernando), Lucia di Lammermoor e il Roberto Devereux di Donizetti (Nottingham). Nel 1847 vi tornò in Cenerentola e in tre opere di Donizetti (Maria Padilla, Maria di Rohan e Lucia). Fu di nuovo nella capitale austriaca nel 1859. Nel 1843 la Allgemeine musikalische Zeitung lo caratterizzò in questi termini: «decisamente piccolo di statura, accattivante registro baritonale acuto, un bel portamento di voce (abusato però fino alla nausea), calore interiore, più lirico che drammatico» (Jahn, 2004, p. 200).
Alla Fenice di Venezia, salvo la citata Cenerentola del 1835, si esibì in tre densissime stagioni di Carnevale. Nel 1847-48 cantò Macbeth di Giuseppe Verdi, Don Carlo di Pasquale Bona, Il barbiere di Siviglia e Otello di Rossini, e due prime assolute: Amleto di Antonio Buzzolla e Allan Cameron di Pacini. Nel 1850-51, Luisa Miller di Verdi, di nuovo Allan Cameron, Lucia di Lammermoor, e due prime: Fernando Cortez di Francesco Malipiero e Rigoletto di Verdi. Nel 1852-53, Ernani e Il corsaro di Verdi, e tre prime: Bondelmonte di Pacini, La prigioniera di Carlo Ercole Bosoni e La traviata di Verdi, dall’esito deludente.
Nel settembre del 1848, nel teatro di piazza Bandoria a Lugano, partecipò con l’esule Giuditta Pasta a un concerto di beneficenza per i profughi delle Cinque giornate, alla presenza di Giuseppe Mazzini. Al San Carlo di Napoli, dall’aprile del 1849 al gennaio del 1850, cantò in Macbeth, Beatrice di Tenda, I masnadieri (Verdi), Elfrida di Salerno (Giuseppe Puzone), Linda di Chamounix, Otello, Saffo, Leonora di Guzman (ossia La favorita di Donizetti).
Nella stagione 1856-57 a Madrid, al teatro Real, cantò Rigoletto, Il barbiere, Ernani, Il trovatore di Verdi, Linda di Chamounix, Don Pasquale e Lucrezia Borgia di Donizetti, e poi cantò in alcuni concerti, dove eseguì anche pagine dalla Matilde di Shabran. A Londra si produsse una sola volta nel 1860 allo Her Majesty’s Theatre nel Rigoletto, diventato il suo cavallo di battaglia. Minore importanza rivestono le presenze a Budapest nella parte conclusiva dell’attività artistica. Non fu mai invitato a Parigi né a Pietroburgo, forse le piazze più importanti d’Europa fuori d’Italia, a dimostrazione di una carriera importante sì, ma nell’insieme priva di una durevole risonanza internazionale.
Dagli anni Cinquanta era cominciato il declino. Negli anni Sessanta fece ripetutamente compagnia con il soprano Erminia Frezzolini, con la quale prima d’allora aveva cantato una sola volta, al Verzaro di Perugia, come Guido nell’Elena da Feltre di Mercadante. Nel 1863 con lei fu al Carcano di Milano in Lucia di Lammermoor e Rigoletto, cui aggiunse anche l’amatissima Gemma di Vergy. Nel 1866 al S. Radegonda di Milano cantò Linda di Chamounix e al Contavalli di Bologna Il barbiere di Siviglia.
Centrale nella carriera di Varesi fu la collaborazione con il coetaneo Verdi, che doveva averlo conosciuto fin dagli anni del debutto alla Società del Giardino. Il compositore speculava sulla sua partecipazione al misterioso Rocester, l’opera – il prototipo dell’Oberto conte di San Bonifacio? – che nell’autunno del 1837 egli sperava di poter allestire al Ducale di Parma per Carnevale (Verdi, 2012, pp. 32 s.). Tra le prime sue esibizioni verdiane vanno ricordati I Lombardi alla prima crociata al teatro Regio di Torino nel Carnevale del 1844 e l’Ernani del luglio seguente a Padova, dove la critica sottolineò che il baritono «sa quel che canta, e ciò che più vale sa quello che dice» (Conati, 1987, p. 235); con Ernani peraltro aprì la stagione a Parma nel 1844-45. La padronanza dello stile del giovane Verdi fu confermata dal successo mietuto con I due Foscari nel marzo del 1845, sempre a Parma: «Varesi poi, che per la quarta volta ricalca queste scene, nella parte del vecchio Foscari ottenne il più bel trionfo. Tutti i suoi brani furono levati al cielo; era però serbato alla sua grande scena e aria finale destare un tanto fanatismo, e straordinario così che male lo si potrebbe descrivere a parole» (La Fama, 31 marzo 1845, p. 107).
Le doti del cantante e la levatura dell’attore spinsero Verdi a imporne, senza mezzi termini, la scrittura a Lanari, l’impresario della Pergola di Firenze, per il Macbeth tratto da William Shakespeare (14 marzo 1848): «Varesi è il solo artista attuale in Italia che possa fare la parte che medito, e per il suo genere di canto e per il suo sentire, ed anche per la stessa sua figura. Tutti gli altri artisti, anche migliori di lui, non potrebbero farmi quella parte come io vorrei» (lettera del 16 agosto 1846, in Verdi’s “Macbeth”, 1984, p. 5). Addirittura in qualche caso il compositore si spinse a lasciare al baritono la scelta tra due diverse lezioni: «questo passo c’è in due maniere, fallo come ti vien meglio e scrivimi quale debbo istromentare» (fine gennaio del 1847; ibid., p. 36). Lo volle poi per eroe eponimo nel Rigoletto da Victor Hugo (Venezia, 11 marzo 1851): della peculiarissima condotta canora di questa parte, della mistura di turpitudine e tenerezza consustanziale alla figura del giullare ferito nell’amor paterno, ma anche dell’idea stessa di ergere il baritono dal ruolo obbligato dell’antagonista a quello del protagonista assoluto, vero fulcro del conflitto tragico e sentimentale, Varesi può per certi versi considerarsi un creatore vicario. Non sortì invece eguale effetto la collaborazione alla Traviata. Tra i motivi del contrastato esordio veneziano dell’opera (6 marzo 1853) ci fu la deludente prestazione del baritono, che accusò Verdi di non aver tenuto in debito conto le esigenze della sua voce, come si legge in una sua lettera all’editore Francesco Lucca del 10 marzo: «sostengo che Verdi non abbia saputo servirsi dei mezzi degli artisti che aveva a disposizione»; aver assegnato al ruolo del ‘padre nobile’, Germont, un solo cantabile (Di Provenza il mare, il suol) «ha fatto molto senso nel pubblico veneziano, il quale s’aspettava invece ch’io fossi collocato assai bene, avendo Verdi creato già per me le parti colossali di Macbeth e di Rigoletto con tanto successo, tanto più che prima dell’andata in scena si sapeva che il maestro era assai soddisfatto di me» (Conati, 1983, pp. 327 s.).
Morì a Milano il 13 marzo 1889. A Firenze nel 1851 aveva sposato Cecilia Gazzuoli Boccabadati (1823?-1906), seconda figlia di Luigia. Ne nacquero Elena (1851 o 1854?-1920), valida cantante, dal 1888 insegnante di canto a Chicago, e Giulia (1859-1938).
Varesi iniziò la carriera come ‘basso cantante’, non essendosi ancora nettamente profilata all’epoca la tipologia vocale del baritono. In una scena lirica dominata da colleghi di grande levatura, come Orazio Cartagenova, Antonio Tamburini, Giorgio Ronconi, Filippo Coletti, Filippo Colini, Achille De Bassini, Gaetano Ferri, il giovane cantante seppe subito imporsi all’attenzione, anche grazie al possesso di un bagaglio culturale che gli consentì di dialogare alla pari con i compositori. Ebbe voce vibrante, sonora e pastosa, sostenuta da una tecnica agguerrita, dall’arte del porgere e del fraseggiare con fuoco e passione, doti che poté sfoggiare già nel repertorio del primo Ottocento, specie nei personaggi donizettiani dal profilo di volta in volta insinuante o imperioso. Venne in proverbio la sua interpretazione dell’«affittajuolo» Antonio nella Linda di Chamounix: certe battute intrinsecamente sovversive («Perché siam nati poveri / ci credon senza onor!», pronunciata con forza) entusiasmavano le platee (Gazzetta musicale di Milano, 29 maggio 1842). Gli risultò quindi congeniale la vocalità febbrile, energica, a tratti persino barbarica del primo Verdi. Seppe dare plastico sbalzo al personaggio di Macbeth, seguendo alla lettera le esigentissime indicazioni del compositore, che in Varesi trovò un interprete duttile, disposto a provare e riprovare certe scene fino a poche ore dall’alzata del sipario (Verdi’s “Macbeth”, 1984, pp. 51 s.). La scena della morte, «Mal per me che m’affidai», che poi Verdi rimpiazzò con un diverso finale nella versione parigina del 1865, era tagliata sulle sue risorse canore e sceniche (p. 41). Nelle parole di Emanuele Muzio, l’assistente di Verdi: «Nessun attore, al presente, in Italia può fare più bene il Macbeth di Varesi, e per il suo modo di canto, e per la sua intelligenza, e per la sua stessa piccola e brutta figura. Forse egli dirà che stuona, questo non fa niente, perché la parte sarebbe quasi tutta declamata, ed in questo vale molto» (lettera del 27 agosto 1846, ibid., p. 7). Eccelse in Rigoletto, dove il fisico basso e un po’ sbilenco – documentato da una famosa foto in costume di scena, da lui stesso colorata a mano (Milano, Museo teatrale alla Scala; in Conati, 1983, tav. 31) – gli permise di disegnare a meraviglia il personaggio, senza dover compiere sforzi di compensazione come dovette invece fare quando, nei personaggi nobili, entrava in concorrenza con colleghi scenicamente più dotati.
Varesi deve considerarsi interprete ‘storico’, proprio per essere stato uno dei primissimi artisti in grado di comprendere, facendola propria, la rivoluzione verdiana e di dare risalto a un teatro che in centro alla scena poneva l’accento della parola e del gesto in funzione drammatica. Va infine ricordato che Varesi praticò con successo anche il genere comico: contribuì così a innescare la persistente tradizione secondo cui un grande baritono deve tenere in repertorio sia Figaro sia Rigoletto; nella prima metà del Novecento lo imitarono Carlo Galeffi e Riccardo Stracciari, nella seconda Aldo Protti e Leo Nucci.
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