L’opera scientifica di Feliciano Benvenuti, che si è svolta ininterrottamente per oltre un cinquantennio, dai primi anni del dopoguerra fino alla sua scomparsa nel 1996, rappresenta uno dei più alti e fecondi contributi recati al rinnovamento degli studi sulla pubblica amministrazione e del diritto amministrativo dopo l’avvento del nuovo ordinamento democratico instaurato dalla Costituzione approvata nel 1947. La sua è stata una complessiva rivisitazione del sistema del diritto amministrativo, ispirata al dichiarato intento di difendere e promuovere il pieno sviluppo della persona umana in consonanza con i valori e i principi fondativi del nuovo assetto costituzionale.
Di antica famiglia di origine veneziana, Benvenuti nasce a Padova il 16 gennaio 1916. Si laurea in giurisprudenza all’Università di Padova discutendo la tesi La successione fra enti autarchici territoriali, relatore Enrico Guicciardi; diventa poi assistente nella facoltà di Scienze politiche della stessa università. Durante la guerra presta servizio militare come ufficiale di marina, e in seguito passa due anni in un campo di concentramento in Germania.
Nel 1951 vince il concorso a cattedra in diritto amministrativo, e in seguito ricopre la cattedra di diritto amministrativo nella facoltà di Scienze politiche di Padova (1951-56), poi nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università cattolica di Milano (1956-72) e infine nella facoltà di Economia e Commercio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (1972-83), di cui dal 1974 è anche rettore. Concorre alla fondazione (1959) dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica (ISAP) di Milano, che dirige fino al 1972; svolge la funzione di presidente anche in altri enti culturali ed economici. Muore a Padova il 16 luglio 1999.
Sin dall’avvio della sua attività di ricerca, Benvenuti ritenne di doversi discostare dall’approccio prevalentemente positivistico dei suoi maestri padovani (Guicciardi, Donato Donati), per accostarsi allo studio del diritto muovendo da un diverso punto di vista (in particolare sulla scia dell’insegnamento di Giuseppe Capograssi): vale a dire dal convincimento che
il diritto non è se non un momento di una realtà complessa di cui solo l'uomo è signore, quell'uomo che, secondo la sua natura, è il punto della libertà (Feliciano Benvenuti: un percorso, in Studi in onore di Feliciano Benvenuti, 1996, 1° vol., p. 11, poi in Scritti giuridici, 2006, 1° vol., Monografie e manuali, pp. XXXI-XXXII).
E a tale fondamentale principio di libertà della persona, che rappresentava (e rappresenta) anche il cardine del nuovo ordinamento democratico instaurato dalla Costituzione, egli ha continuato a fare costante riferimento ideale nel corso della sua opera scientifica, fino a trarne le più avanzate e coraggiose implicazioni, quali sono state sintetizzate da ultimo nel suggestivo saggio Il nuovo cittadino: tra libertà garantita e libertà attiva (1994, poi in Scritti giuridici, cit., 1° vol., pp. 869 e segg.).
Dall’indagare su come la libertà personale possa essere sempre meglio protetta e tutelata nei riguardi delle istituzioni pubbliche, il suo cammino di ricerca è infine approdato alla prefigurazione dei modi in cui la libertà può diventare il veicolo di una capacità di autogoverno della società su se stessa, di come si debba passare dalla «libertà garantita» alla «libertà attiva», dalla democrazia rappresentativa a una democrazia governante che egli ha definito con il termine demarchia.
Di qui anche il peculiare e originale caratterizzarsi della sua opera sotto il profilo del metodo. La sua indagine non ha mai voluto essere solo quella del giurista positivo che analizza e ricostruisce dall’interno la trama delle norme e degli istituti esistenti. È stata sempre, invece, anche una riflessione di grande respiro teorico, da giurista filosofo (come egli amava definirsi), attenta allo sviluppo storico e dinamico del diritto, alle matrici ovvero ai paradigmi culturali sottostanti al diverso succedersi degli ordinamenti, all’interazione fra il tessuto normativo e il suo riscontro nella realtà sociale e all’emergere delle esigenze di promozione e sviluppo delle libertà individuali e collettive promananti dalla lettura dei ‘segni dei tempi’. È stata, quindi, anche una riflessione critica sugli ordinamenti esistenti, di cui ha saputo delineare limiti e prospettive di superamento, in tal modo anticipando e promuovendo quelle trasformazioni che solo dagli anni Novanta in poi sarebbero intervenute nell'amministrazione italiana.
Alla luce di tale atteggiamento di fondo, si comprende come al cuore della proposta ricostruttiva del sistema di diritto amministrativo avanzata da Benvenuti (una proposta talora definita 'utopica', con tutta la forza e il valore di questa parola), vi sia stata prima di tutto una nuova concezione dell'amministrazione, che ha segnato una precisa cesura rispetto alla concezione tradizionale.
La concezione tradizionale guardava all'amministrazione dal punto di vista delle istituzioni di governo, in particolare dello Stato e dell'autorità di cui questo era considerato primo ed esclusivo depositario. Benvenuti ha invece ripensato l'amministrazione, e in generale l'intero assetto istituzionale, dal punto di vista della persona e del cittadino, come un’amministrazione non solo finalizzata all'organizzazione sociale e allo sviluppo individuale, ma anche manifestazione della società stessa.
I tratti distintivi di questa concezione sono assai noti. Alla visione di un'amministrazione considerata essenzialmente come amministrazione di autorità, e in particolare come manifestazione dell'autorità statale portatrice di interessi pubblici contrapposti agli interessi individuali e collettivi, visione tipica dello Stato di diritto limitato d’impronta liberale (su cui si veda la vigorosa critica in Mito e realtà dell’ordinamento amministrativo italiano, relazione letta a Firenze il 10 ottobre 1965 durante il Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, e pubblicata in L'unificazione amministrativa ed i suoi protagonisti, Atti del Congresso, a cura di F. Benvenuti, G. Miglio, 1969, pp. 67 e segg., e poi in Scritti giuridici, cit., 3° vol., Articoli e altri scritti 1960-1969, pp. 2733 e segg.), egli sostituisce invece una visione opposta, che il nuovo assetto costituzionale non solo legittima, ma impone.
Il punto di avvio è l'osservazione che la nuova carta costituzionale disegna, prima ancora che un'organizzazione del governo, un'organizzazione della società: quella organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3) che si esprime, secondo il principio democratico che la informa, in un pluralismo delle istituzioni di governo e delle formazioni sociali, e che trova d’altro canto il suo momento unificante negli obiettivi comuni di libertà e di sviluppo personale e collettivo alla cui realizzazione concorrono sia le istituzioni di governo sia gli stessi cittadini singoli o associati. Si tratta di obiettivi che sono finalità e compiti pubblici e, insieme, oggetto di diritti e di doveri dei cittadini (su tutto ciò si veda l’originale lettura del sistema costituzionale esposta in L’ordinamento repubblicano, 1975, poi in Scritti giuridici, cit., 1° vol., pp. 643 e segg.).
Ne consegue una speculare visione dell'amministrazione pubblica come attività che non può qualificarsi per la provenienza da questa o quella delle istituzioni di governo o dalle strutture da queste dipendenti, né per gli strumenti che impiega, che siano poteri di autorità o di diritto comune o la prestazione di beni e di servizi, ma come attività che trova invece la sua connotazione primaria e unificante nell'essere ordinata al perseguimento degli scopi e dei compiti comuni individuati dalla Costituzione e dalle leggi e all’adempimento dei corrispondenti diritti e aspettative riconosciuti ai cittadini singoli e associati.
È in sostanza un'attività che è pubblica per gli scopi e i compiti cui è finalizzata, e che non ha più come suo tratto distintivo, in particolare, l'essere espressione di autorità in un rapporto di separazione e di contrapposizione rispetto ai cittadini singoli e associati. È un’amministrazione che esprime il diverso rapporto di integrazione e di convergenza che la Costituzione prefigura tra istituzioni di governo e società governata, e che non può non farsi strumento dell’organizzazione sociale e, se possibile, diventare manifestazione della società stessa.
L’amministrazione dev'essere, in breve, pensata e disciplinata secondo le caratteristiche oggettive della sua attività, che deve assicurare in concreto le condizioni di libertà individuali e collettive. Non deve essere più veicolo del governo sulla società, ma luogo e tramite per realizzare, fra il momento politico del governo espressione della democrazia rappresentativa (della democrazia di investitura) e il momento della società governata, una forma più estesa e compiuta di attuazione della democrazia (la democrazia di esercizio o di partecipazione), per poi diventare infine manifestazione della prefigurata ‘demarchia’.
A tale visione di fondo si ricollega la proposta di Benvenuti per una ricostruzione del sistema di diritto amministrativo. Egli pone primariamente al centro della sua attenzione non il soggetto e l’atto o il provvedimento (com'era proprio della precedente concezione dell’amministrazione, imperniata sulla figura del potere di autorità), ma l’amministrazione come attività, nel suo distinto e autonomo profilo oggettivo-funzionale, quale d’altronde già l’art. 97 della Costituzione aveva messo in rilievo nel sancire come principi costituzionali dell’amministrazione il buon andamento e l’imparzialità.
Nei suoi celeberrimi studi iniziali dei primi anni Cinquanta (Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, «Rassegna di diritto pubblico», 1950, 1, pp. 1 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 2° vol., Articoli e altri scritti 1948-1959, pp. 991 e segg.; Funzione amministrativa, procedimento, processo, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1952, 1, pp. 118 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 2° vol., pp. 117 e segg.), Benvenuti elabora dapprima sul piano teorico il concetto di funzione, come il momento dinamico corrispondente all’esercizio del potere amministrativo, come il ‘farsi dell’atto’ in cui si forma la decisione amministrativa sugli interessi coinvolti, per riferire poi al momento della funzione i principi e le regole generali che ne possano assicurare uno svolgimento in sé obiettivamente conforme ai suoi caratteri propri.
Da un lato, al fine di meglio garantire l’imparziale composizione degli interessi coinvolti nella decisione discrezionale amministrativa, Benvenuti riconduce quindi alla funzione e non più all’atto i principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di giustizia, dando un nuovo inquadramento teorico alle acquisizioni già raggiunte dalla giurisprudenza amministrativa con il sindacato sull’eccesso di potere, e aprendo al sindacato del giudice nuove possibilità di applicazione e di penetrazione.
Dall’altro lato, egli guarda non solo al profilo della funzione-mezzo, ma anche a quello della funzione-scopo: a un’amministrazione complessivamente obiettivata (sia di regolazione sia di servizio), che vede nella legge non più solo la norma da eseguire, ma il programma da assolvere e che trova nella sua rispondenza alle finalità e ai risultati cui è ordinata e nella capacità di conseguirli, la sua legittimazione, in armonia con il principio del buon andamento, secondo una sua interna funzionalità, in modo autonomo rispetto alle istituzioni di governo e insieme responsabile verso i singoli e la società (su ciò si veda il fondamentale saggio L’amministrazione oggettivata: un nuovo modello, «Rivista trimestrale di scienza della amministrazione», 1978, 1, pp. 6 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 4° vol., Articoli e altri scritti 1970-1983, pp. 3467 e segg.).
Benvenuti ricollega poi alla nozione di funzione, allo svolgimento dinamico della funzione, la nozione di procedimento, come estrinsecazione formale della stessa, come ‘forma della funzione’.
Alla precedente concezione strutturale-formale, in cui il procedimento è visto come sequenza di atti preparatori alla produzione degli effetti da parte del provvedimento finale, egli giustappone una concezione sostanziale, in cui il procedimento è visto come espressione del farsi della decisione amministrativa e come luogo della composizione degli interessi coinvolti, da disciplinare in modo tale da concorrere all’imparziale ed efficiente svolgimento della funzione.
Egli pone così al centro della sua indagine il dover essere del procedimento amministrativo, la necessità di una disciplina che, analogamente a quanto previsto per l’esercizio della funzione giurisdizionale e a quanto già esiste negli ordinamenti stranieri (come l’austriaco, a cui egli fa particolare riferimento), assicuri la rappresentazione degli interessi coinvolti nel farsi della decisione amministrativa.
Benvenuti si fa quindi portatore dell’esigenza di varare anche in Italia una disciplina generale del procedimento amministrativo come procedimento dialogico e partecipato (come processo), secondo le modalità riconducibili al principio del giusto procedimento (esigenza che sarà accolta solo con il varo della legge 7 ag. 1990, nr. 241, e con il riconoscimento solo negli ultimi anni del principio del giusto procedimento come principio costituzionale). Su ciò si veda in particolare L’attività amministrativa e la sua disciplina generale, in Atti del convivium regionale di studi giuridici, Trento 28 giugno 1957, 1958, pp. 49 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 2° vol., pp. 1509 e segg.
Nel pensiero di Benvenuti la disciplina del procedimento amministrativo aperto alla partecipazione preventiva degli interessati non doveva peraltro contribuire soltanto a garantire l’obiettività dell’agire amministrativo, sottraendolo in particolare all’unilateralità delle decisioni dei politici e dei burocrati, ma doveva essere, secondo la linea di pensiero già ricordata, anche il mezzo per dare avvio a un diverso rapporto fra amministrazione, cittadini e società.
L'amministrazione, nel suo essere funzione di un ordinamento della società informato al principio di libertà, deve aprirsi alla partecipazione individuale e comunitaria, oltre che a tutte le altre possibili forme di associazione o di immedesimazione dei cittadini nell’operare delle istituzioni, così da trascorrere dalla libertà garantita alla libertà attiva, alla libertà-responsabilità dei cittadini nel concorrere ai compiti pubblici o sociali, secondo l’immagine ricorrente di un cittadino che si fa coamministrante e poi amministrante a pieno titolo (si veda fra l'altro Il ruolo dell’amministrazione nello Stato democratico contemporaneo, «Jus», 1987, 3, pp. 277 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 5° vol., Articoli e altri scritti 1984-1999, pp. 3927 e segg.)
Nella stessa prospettiva, poi, viene contestualmente a prefigurarsi un rapporto di paritarietà fra amministrazione e cittadini che implica l'abbandono o il superamento della relazione potere/interesse legittimo, propria della concezione tradizionale, per sostituirla con una relazione che esprima l'immediata, diretta responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei portatori di interessi che possono essere variamente incisi, quindi in termini di obblighi e di diritti soggettivi (cfr. Per un diritto amministrativo paritario, in Studi in memoria di Enrico Guicciardi, 1975, pp. 807 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 4° vol., pp. 3223 e segg.).
Benvenuti ha mostrato come una funzione obiettivata sia necessariamente retta da un principio di relazionalità, sia interna sia esterna, e di relazione paritaria tra i soggetti che ne sono protagonisti. Obiettivazíone della funzione e paritarietà dei rapporti fra amministrazione, cittadini e interessati, si implicano a vicenda, così che i principi e le regole della funzione e del procedimento (le norme di azione) e i diritti dei cittadini e degli interessati (le norme di relazione) vengono a coincidere.
Da una visione di un’amministrazione obiettivata, partecipata, paritaria nella società, deriva infine una prospettiva complessivamente diversa per il sistema del diritto amministrativo. Già nella sua prolusione all'Università cattolica del 1956 (Pubblica amministrazione e diritto amministrativo, pubblicata in «Jus», 1957, 2, pp. 149 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 2° vol., pp. 1571 e segg.), Benvenuti indica il mutamento che dovrebbe di conseguenza riguardare il diritto amministrativo, il modo di impostarlo, il suo oggetto, rilevando come in prospettiva esso non possa più essere pensato come il diritto dell'amministrazione statale o come il diritto dell'amministrazione di autorità, delle istituzioni di governo, ma dovrà avere riguardo all’'amministrare' e ai principi comuni che reggono l’amministrare: e dunque sia quando venga esercitato da strutture pubbliche o da soggetti privati, sia quando si configuri come attività di regolazione (anche con strumenti di diritto privato) o di prestazione per finalità sociali o di interesse generale.
È d’altra parte questa la visione del diritto amministrativo che si è andata affermando nei tempi recenti, con l’evolversi dell’ordinamento interno in consonanza con l’insegnamento di Benvenuti, grazie in particolare all’integrazione dell’ordinamento nazionale in quello comunitario e in quello internazionale.
Alle stesse linee ispiratrici si ricollegano gli studi di Benvenuti in ordine ai profili istituzionali e organizzativi dell’amministrazione, nonché quelli relativi ai modi e alle forme della tutela giurisdizionale nei riguardi dell’amministrazione.
Se egli si prodiga con grande impegno scientifico e civile per una disciplina generale dell’attività amministrativa, secondo la prospettiva da lui propugnata, non minore è il suo contributo alla valorizzazione e all’attuazione del principio del pluralismo autonomistico affermato nella Costituzione.
Da un lato, egli sottolinea il ruolo e la posizione delle rinnovate autonomie locali e delle nuove autonomie regionali come istituzioni di governo, componenti costitutive del nuovo ordinamento repubblicano, partecipi dell’esercizio di una sovranità che non compete più allo Stato-persona ma alla collettività nazionale e all’ordinamento che la regge. Nello stesso tempo non manca mai di segnalare come il pluralismo autonomistico delle istituzioni debba trovare il suo punto di coordinamento unitario e la sua finalizzazione ultima nell’attuazione dei compiti costituzionali e dei diritti della persona. Si vedano su tutto ciò, fra i tantissimi interventi, Per una nuova legge comunale provinciale («Rivista amministrativa della Repubblica italiana», 1959, pp. 533 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 2° vol., pp. 1747 e segg.), Evoluzione dello Stato moderno («Jus», 1959, 1, pp. 161 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 2° vol., pp. 1825 e segg.), Dalla sovranità dello Stato persona alla sovranità dell’ordinamento («Jus», 1995, 2, pp. 193 e segg., poi in Scritti giuridici, cit., 5° vol., pp. 4367 e segg.).
Dall’altro lato, Benvenuti vede nell’attuazione piena delle autonomie regionali e locali la condizione necessaria per promuovere la trasformazione del modo di essere dell’amministrazione, dando vita all’auspicato rapporto di reciproca integrazione fra amministrazione, cittadini e società.
Le autonomie locali e le autonomie regionali sono da lui considerate forme di autogoverno delle rispettive collettività, entro cui potrà più compiutamente realizzarsi l’idea di un’ amministrazione partecipata e diffusa nella società, sempre nell’intento di favorire il passaggio dalla libertà garantita alla libertà attiva.
Di qui in particolare la difesa e la valorizzazione, anche nell’ambito dell’organizzazione delle autonomie regionali e locali, del momento amministrativo rispetto a quello politico. È sempre ben chiara in Benvenuti la consapevolezza che sul piano organizzativo si deve realizzare la distinzione di ruoli e di attribuzioni fra organi politici e strutture gestionali, in coerenza con la visione oggettivo-funzionale dell’amministrazione (cfr. La regione come organismo tecnico, in La regione e il governo locale, Atti del Symposium 'Problemi della regione e del governo locale', a cura di G. Maranini, 1965, 2° vol., Seconda giornata, poi in Scritti giuridici, cit., 3° vol., pp. 2351 e segg.).
A loro volta, gli studi di Benvenuti relativi alla giustizia amministrativa riflettono la medesima prospettiva innovativa dei rapporti fra amministrazione e cittadini, sviluppandone le implicazioni in ordine ai presupposti e alle forme della tutela giurisdizionale e del processo.
Già tutta la teoria della funzione, nell’aprire l’orizzonte all'individuazione delle regole sostanziali e procedurali dell’agire amministrativo, poneva le premesse per un ampliamento dell’oggetto e dei limiti del sindacato giurisdizionale, in particolare sull’esercizio della discrezionalità, come poi è progressivamente avvenuto.
Nello stesso tempo, la riflessione critica di Benvenuti investe in apicibus l’originaria impostazione del sistema di giustizia amministrativa. È una riconsiderazione critica che emerge nella sua prima monografia, ormai classica, L’istruzione nel processo amministrativo (1953, poi in Scritti giuridici, cit., 1° vol., pp. 1 e segg.). Questa, prendendo le mosse dall’analisi di una singola fase del processo, in realtà, entro una visione di teoria generale di diritto processuale, offre un nuovo inquadramento del processo amministrativo, non più solo come processo da ricorso ma come processo di parti.
Il che consente a Benvenuti di definire un equilibrato assetto della fase istruttoria, fra giudice, ricorrenti e amministrazione resistente, informato (secondo la formula ormai generalmente invalsa) al principio dispositivo con metodo acquisitivo.
Nel medesimo tempo, l’impostazione generale della monografia anticipa le linee ispiratrici dei successivi studi in tema di giustizia amministrativa, da cui scaturisce un profondo ripensamento dei postulati sostanziali e processuali della tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione, secondo la concezione paritaria dei rapporti fra amministrazione e cittadini.
La posizione del cittadino singolo e associato nei confronti dell’amministrazione è ripensata nella sua unità e nel suo spessore sostanziale. Come tale, essa dev'essere pienamente tutelata, assicurando il rispetto degli obblighi (di garanzia e di risultato) ricadenti sull’amministrazione. In tal modo Benvenuti viene naturalmente a superare la tradizionale dicotomia fra diritto soggettivo e interesse legittimo, e a fare dello stesso interesse legittimo il nucleo attorno a cui ricostruire un rapporto paritario fra amministrazione e interessati, secondo un rinnovato assetto di diritti e di obblighi al cui mancato rispetto deve conseguire non solo una tutela demolitoria, secondo l’impostazione tradizionale, ma una tutela adempitiva e parimenti una tutela risarcitoria (si veda ancora Per un diritto amministrativo paritario, cit.).
Sulla base di questi presupposti, si devono allora ripensare le forme di tutela giurisdizionale e i poteri del giudice. Questi non possono che ampliarsi e diversificarsi, in maniera da fare della tutela giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione un complesso adeguato e insieme differenziato di strumenti per assicurare la protezione più completa e diretta o satisfattiva possibile, sia sotto il profilo delle garanzie sostanziali e procedurali sia sotto il profilo del conseguimento dei risultati.
Alla paritarietà del rapporto deve cioè corrispondere il carattere pieno e diretto di una tutela volta ad assicurare la rispondenza e la responsabilità dell’amministrazione nei riguardi di chi è portatore di interessi e aspettative di carattere sostanziale a cui l’amministrazione stessa deve provvedere.
Anche da questo punto di vista, la visione anticipatrice di Benvenuti ha trovato solo negli ultimi decenni i primi riscontri nell’evolversi della disciplina della tutela giurisdizionale nei riguardi dell’amministrazione.
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