SGRUTTENDIO, Felippo
SGRUTTENDIO (de Scafato), Felippo. – Sull’identità di questo personaggio si sono susseguite ipotesi ed espresse posizioni divergenti: la sola cosa certa è la pubblicazione a suo nome, nel 1646, del canzoniere De la tiorba a taccone per i tipi dell’editore napoletano Camillo Cavallo.
La raccolta – 189 testi fra sonetti, canzoni e ballate in dialetto napoletano – rivelava già dal titolo gli intenti parodici che ne avevano occasionato la composizione, alludendo allo strumento musicale pizzicato da un plettro di cuoio, sorta di versione popolaresca della di poco precedente lira mariniana. Suddiviso in dieci sezioni denominate “corde” (come quelle dello strumento), la Tiorba operava un ribaltamento in chiave comico-giocosa degli aulici canzonieri dei petrarchisti, cantando una popolana, Cecca, che aveva la faccia tonna comme a no pallone, gli occhi di arpia e la gotta. Dal canto suo il poeta dichiarava di essersene innamorato dopo aver rimediato una “zoccolata”, e non perché ferito da un dardo che gli trapassava gli occhi e raggiungeva il cuore, come voleva la consueta fenomenologia amorosa.
L’identità di Sgruttendio non mancò di destare la curiosità dei posteri, data anche la discreta fama raggiunta dal suo canzoniere, che uscì in tre successive edizioni napoletane nel 1678 (per i tipi di Francesco Mollo), nel 1703 (per i tipi di Giacinto Musitano) e nel 1783 (per i tipi di Giuseppe Maria Porcelli).
Uno dei primi tentativi di identificazione risale a Gaetano Altobelli, che in una nota alla seconda edizione dell’opera di Ferdinando Galiani, Del dialetto napoletano (Napoli 1789), affermò che sotto lo pseudonimo di Sgruttendio si celava in realtà il letterato ed erudito Francesco Balzano (cfr. Galiani, cit., p. 129 n.).
È con Camillo Minieri Riccio che si impose invece l’identificazione con Giulio Cesare Cortese. Dopo aver verificato che tra i “fuochi” (i censimenti) della località di Scafati non v'era alcuno che rispondesse al nome di Sgruttendio, Minieri Riccio si basò su alcune consonanze stilistiche per concludere che l’autore della Tiorba era lo stesso della Vaiasseide (v. Fasano, 1971, p. 52).
Entrambe le ipotesi furono messe in discussione da Benedetto Croce, che definì cervellotica l’affermazione di Altobelli (che aveva avuto nel frattempo ulteriori sostenitori ottocenteschi in Raffaele Liberatore, Cesare Rubini, Vincenzo De Ritis, Giovan Battista Melzi e soprattutto Pietro Balzano, il quale aveva affermato di essere discendente di Francesco in una relazione tenuta all’Accademia Pontaniana).
A proposito dell’identificazione con Cortese, invece, Croce disse che non bastava che fra le opere di quest’ultimo ancora inedite nel 1621 figurasse Lo colascione (strumento musicale affine alla tiorba) e «la presunzione che le lettere del Basile, in cui si parla di Cecca, fossero dirette al Cortese» (Croce, 1911, p. 40). A smontare la tesi di Minieri Riccio erano sufficienti la constatazione che nel canzoniere sgruttendiano si parlasse di Cortese come di altra persona e soprattutto le parole di Tommaso Morello che, dedicando nel 1646 la Tiorba a Gennaro Muscettola, ne parlava come di opera scritta da autore che «fra’ primi nelle delizie del Pindo campeggia» (in Garbato, 2010, pp. 26-28). L’uso del presente “campeggia” bastò a Croce per intendere Sgruttendio ancora vivo al momento dell’uscita dell’opera (Cortese essendo invece già morto): particolare che fu considerato probante anche ottant’anni dopo (Spagnoletti, 1991, p. 16).
Posizioni in linea con quelle crociane furono altresì espresse nel 1912 nella monografia Un poeta dialettale del Seicento, uscita presso i tipi napoletani della Libreria Detken & Rocholl in due versioni identiche eccetto che per i frontespizi, che recavano rispettivamente la firma di una misteriosa Emilie du Rêve e di Nicola Cariello, parroco di Torre del Greco.
Ergendosi contro le opinioni di Croce (e forse anche per rivalsa contro la freddezza con cui questi aveva accolto la sua poesia in dialetto napoletano), Ferdinando Russo difese l’identità Cortese-Sgruttendio nel volume Il gran Cortese (1913) e non mostrò alcun dubbio allorché si fece egli stesso rieditore della Tiorba nel 1921. Fra le altre cose, Russo riteneva che il “campeggia” utilizzato da Morello fosse un presente storico e dunque non di necessità una garanzia che l’autore del canzoniere vivesse ancora nell’anno della (presunta) prima edizione dell’opera.
La diatriba Croce-Russo si ripercosse sulle generazioni successive di interpreti, tutti impegnati a dimostrare le loro tesi sulla base di analisi testuali. Così se Fausto Nicolini poté più volte sostenere che Sgruttendio era un individuo autonomo e i tentativi di identificarlo con Cortese cronologicamente insostenibili, Enrico Malato si è fatto a più riprese sostenitore dell’equazione Cortese-Sgruttendio, curando un’edizione di opere cortesiane che riproduceva significativamente in appendice la Tiorba (1967) e respingendo successivamente la posizione di Pino Fasano. Questi nel 1971 aveva avanzato l’idea che Sgruttendio potesse essere Francesco Antonio Giusto, membro dell’Accademia degli Incauti e autore di alcuni sonetti dialettali, non escludendo però che il canzoniere della Tiorba fosse stato scritto a più mani. Riallacciandosi alla linea Minieri Riccio-Russo-Malato, Salvatore Nigro ha proposto invece la suggestiva ipotesi che Cortese avesse confezionato la Tiorba per lasciarla in eredità a un Giuseppe Storace d’Afflitto (personaggio del resto già indagato da Malato nei suoi studi).
Sconosciuta la data della morte di Sgruttendio, che Nicolini ritenne già avvenuta da diversi anni nel 1678, allorché vide la luce la nuova edizione della Tiorba.
Fonti e Bibl.: P. Balzano, Di F. S. e delle sue poesie, in Rendiconto… dell’Acc. Pontaniana, III (1855), gennaio-luglio, pp. 81-84; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1911, pp. 38-43; E. du Rêve (N. Cariello), Un poeta dialettale del Seicento, Napoli 1912; F. Russo, Il gran Cortese, Roma 1913; S., F., in Enc. Italiana, Roma 1936, ad vocem (F. Nicolini); C. Bernari, Un poeta in due, in Paragone (Letteratura), XXI (1970), 242 (aprile), pp. 45-62; P. Fasano, La questione S., in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXLVIII (1971), 461, pp. 49-81; S. Nigro, Cortese, Giulio Cesare, in Diz. biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, ad vocem; G. Spagnoletti, Il misterioso S., in Il Belli, II (1991), pp. 13 ss.; G. Amedeo, La questione S., in la Repubblica, 8 luglio 2007; E. Garbato, Introduzione a F. Sgruttendio, La tiorba a taccone…, Roma 2010, pp. 17-81.