Feminist Film Theory
Quella che nel mondo cinematografico anglosassone è stata definita Feminist Film Theory, la teoria e critica cinematografica femminista, è la creazione di un nuovo spazio di indagine e costituisce non soltanto il risultato della crescita numerica delle donne attive nel campo del cinema. Essa è infatti una vera e propria riflessione sul linguaggio, oltre che un metodo di lavoro, di codifica e di decodifica, che si interroga sostanzialmente sul rapporto tra rappresentazione e differenza sessuale.
Storicamente la F. F. Th. è nata dall'interazione di fenomeni politico-culturali spuri e all'origine non collegati tra loro: l'organizzazione politica delle donne e il suo affermarsi in quanto sapere; l'Independent cinema (intendendo la produzione filmica che si pone fuori e/o contro il modello hollywoodiano); l'emergere e l'affermarsi di una controcultura fortemente connotata in senso intellettuale ed europeo, che si definisce post-strutturalista e decostruttiva e il cui compatto corpus di riflessioni teorico-analitiche ha il suo punto di applicazione nell'accademia. Le università infatti, soprattutto nei Paesi anglosassoni, hanno funzionato quasi immediatamente come camere di incubazione del pensiero femminista. Il movimento delle donne ha cercato subito di conquistarsi spazi di potere e di espressione all'interno delle istituzioni, comprese quelle accademiche, e in America Settentrionale si sono consolidati ormai da anni gli wom-en's studies, le esperienze di studio e di ricerca sul femminile e tra donne, ormai riconosciute ufficialmente come disciplina accademica a pieno titolo. È proprio questo precedente che ha reso possibile il formarsi del concetto di feminist film theory. Tale percorso teorico non è però nato né si è sviluppato all'interno degli women's studies. Nonostante le due esperienze della ricerca femminile si siano svolte e si svolgano in contemporanea in seno allo spazio accademico, rari sono stati i casi di sovrapposizione e quasi assenti i fenomeni di annessione. La F. F. Th., come più in generale la Feminist Theory, non ha voluto fare del femminile un campo separato, ma piuttosto un punto di incontro, giocando sulla sua doppia natura di sapere specialistico e di pratica politica. Se da un lato ha ottenuto rapidamente vasti riconoscimenti e ha assunto lo statuto di disciplina, dall'altro ha tentato di mantenere il suo potenziale di trasgressività e il suo obiettivo di destabilizzazione dei codici correnti. Creatasi in modo autonomo rispetto agli women's studies, la F. F. Th. è poi diventata una delle punte di diamante della riflessione teorica delle donne, oltre che uno dei punti di forza del pensiero teorico in generale. La sua sfera di influenza si è estesa sempre più ad altri campi, compresa la storia dell'arte, la teoria letteraria e la storia del teatro, che, mutuando concetti e pratica di indagine dalla teoria cinematografica al femminile, in un clima di scambi in parallelo, hanno prodotto analisi sulla 'logica dello sguardo', estesa anche ai linguaggi narrativi o all'ambito pittorico. Si tratta dunque di una disciplina che sta trasformando i parametri intellettuali e al contempo facendo da specchio a un mutamento in atto nel pensiero nordamericano. Come mai tanta forza di penetrazione e tanto peso culturale? Un'ipotesi di spiegazione va cercata, nuovamente, all'interno del processo di sviluppo della cultura statunitense degli ultimi decenni. La F. F. Th. ha fatto del 'guardare' e della decostruzione dei meccanismi stessi della visione il suo oggetto privilegiato di indagine. Tale enfasi sulle forme e sul soggetto della rappresentazione non è affatto un fenomeno isolato o casuale, ma coglie ciò che è certamente uno dei punti focali dell'espressione culturale e artistica statunitense a partire dagli anni Ottanta. Molto di quel pensiero conosciuto con il nome di post-strutturalista e molte di quelle forme artistiche definite postmoderne hanno infatti concentrato i propri sforzi sulla messa in questione delle forme di rappresentazione classica e sulla decostruzione della posizione unitaria occupata dal soggetto della rappresentazione. La F. F. Th., all'interno di questo panorama, ha costituito il sintomo e il simbolo di un fenomeno considerato d'avanguardia in atto in un terreno che va ben al di là dei confini che le sono propri.
La Feminist Theory non è in America Settentrionale un'esclusiva delle donne. Questo sapere ha a tal punto scardinato i codici tradizionali e incrinato gli equilibri e le opposizioni uomo/donna che si sono prodotti interessanti, se pur problematici, sconfinamenti di oggetto e soggetto tra maschile e femminile, tra uomo e donna. Il discorso teorico di molti uomini di cultura è pervaso da questo linguaggio o ne ha addirittura assunto le modalità. Il giornalismo e la critica lo riciclano e lo divulgano. La definizione feminist applicata a questo linguaggio non indica necessariamente ciò che in Italia si intende con tale appellativo. Diverse ne sono le connotazioni e le collocazioni, oltre che i modi di produzione e di circolazione del pensiero a essa sotteso. La domanda, a questo punto inevitabile, è quale ne sia dunque il rapporto con la politica o il nesso con una pratica rivolta alla trasformazione. Il campo, evidentemente minato, investe tra l'altro la constatazione che fare politica è tutt'altra cosa in un Paese dove, per es., non esistono i grandi partiti della sinistra e dove la comunità intellettuale intrattiene con il potere politico-istituzionale rapporti meno diretti e intensi di quelli che contraddistinguono il contesto italiano. Dal momento che le situazioni e i problemi sono diversi, va messo in evidenza almeno un punto essenziale per capire il potenziale politico di rottura della Feminist Film Theory. Si tratta del discorso sulla/della sessualità e sulla/della differenza sessuale, che rappresenta uno dei suoi punti di forza. In una società fondata sull'ideologia del puritanesimo ‒ come è quella statunitense ‒ sollevare la questione della sessualità e della differenza sessuale, renderla manifesta tanto da farne oggetto di indagine e circolazione, nonché di riflessione teorica, è di per sé un gesto trasgressivo. Se la sessualità è politica, ne deriva anche una politica della sessualità.I primi articoli teorici cui ci si può non arbitrariamente riferire con il termine femministi vennero prodotti agli inizi degli anni Settanta, a partire dalla spinta a criticare e, quindi, cambiare la rappresentazione convenzionale delle donne nei film. In un primo momento ci si limitò ad analisi che prendevano in considerazione esclusivamente l'immagine delle donne nel cinema. Ben presto, però, il modello iconografico lasciò posto a una ricerca che dall'oggetto della rappresentazione si spostava verso l'indagine sui modi stessi del rappresentare. Il breve saggio Visual pleasures and narrative cinema dell'inglese Laura Mulvey, pubblicato nel 1975, divenne il simbolo del nuovo corso teorico. Negando di essere il risultato di una ricerca individuale, esso si presentava come espressione del pensiero e delle forze emergenti nel contesto culturale angloamericano. Spesso citato non solo in campo cinematografico, tale saggio diventò una pietra miliare nella storia del pensiero contemporaneo statunitense. Servendosi della psicoanalisi assunta come strumento privilegiato di indagine, la nascente F. F. Th. cominciò a interrogarsi sui meccanismi che rendono possibile e operativa la rappresentazione e sul rapporto tra fascinazione e narrazione per immagini. Il cinema, e in particolare il cinema hollywoodiano, divenne un terreno ideale d'analisi in quanto locus dove per eccellenza si mettono in gioco gli oggetti del piacere. Riflettendo sul rapporto tra narrazione e piacere visivo, tra immagine e desiderio, ci si chiese a chi appartenevano le fantasie che il cinema veicola e mette in scena, da chi e per chi venivano prodotte e in che modo dunque la differenza sessuale agiva non solo sulla creazione ma sulla circolazione delle immagini. Al centro dell'attenzione non era più la mera immagine della donna. A essere messa in questione era direttamente la differenza sessuale. L'indagine si spostò sui modi che il cinema adotta per crearla e farla circolare, rafforzarla, incrinarla, destabilizzarla.Il cinema, oggetto di fascino, è forma d'arte e di consumo che più di ogni altra si fonda sul piacere di guardare e lo perpetua. Ma chi è il soggetto di questo sguardo e chi l'oscuro oggetto del desiderio? Le prime risposte a questa domanda sono state polemiche: il cinema è, per eccellenza, messa in scena di voyeurismo e feticismo, dove il maschile è comunque il soggetto della rappresentazione e il femminile il suo oggetto. Il maschile e non l'uomo, il femminile e non la donna. Uno degli elementi di rottura introdotti dalla F. F. Th. ‒ in parallelo a quanto avveniva nel frattempo in campo storiografico con l'introduzione della categoria del gender ‒ è il fatto che, cercando di uscire dal dualismo oppositivo uomo/donna, essa sceglie di interrogarsi su ciò che di maschile e di femminile si produce in ciascun soggetto sessuato. La differenza sessuale viene intesa non come dato di fatto biologico ma come costrutto culturale, prodotto in fieri di un meccanismo, di una vera e propria 'tecnologia' di rappresentazione e autorappresentazione. Nel contesto di questa ricerca dentro e fuori lo sguardo, dentro e fuori lo schermo cinematografico, tra la camera chiara e la camera oscura, il ruolo ovvero i ruoli dello spettatore/spettatrice hanno rappresentato uno dei campi di indagine più ricchi. Le parole chiave di una ricerca che, attenta alla psicoanalisi soprattutto lacaniana e passando per l'analisi testuale, è approdata alla funzione spettatoriale sono gaze e desire, concetti che esprimono l'interazione tra sguardo e desiderio. Se è vero che il cinema narrativo classico, giocando sulle modalità del voyeurismo e del feticismo, esclude il soggetto femminile, sarebbe da interrogarsi sui motivi profondi per cui le donne amano il cinema. Sarà poi puro masochismo quello che le spinge a guardarsi, oggetto passivo dell'altrui sguardo? Su questa contraddizione, a partire dal 1975 si è avviata una serie di analisi sulla logica dello sguardo, tese a dimostrare la possibilità di un piacere scopico femminile e a comprenderlo. Se lo sguardo non è neutro, come si (pre)figura e si articola la differenza sessuale? Dal momento che il cinema in quanto dispositif e il fascino che esercita si fondano su meccanismi di identificazione, in che modo essi sono collegati alla formazione di identità e alla sua componente sessuale? Che ruolo, che funzione ha il soggetto femminile nella meccanica del vedere al cinema? Che posizione occupa la spettatrice nella costruzione e circolazione degli sguardi? Partendo dal presupposto che in questo gioco di specchi gli uomini e le donne possano assumere indifferentemente posizioni tanto maschili quanto femminili, la F. F. Th. ha messo in luce la gamma delle funzioni spettatoriali possibili, dimostrando che i processi di identificazione sono inscindibilmente legati alle forme e ai viaggi del desiderio. Rivivendo a livello fantasmatico desideri multipli e persino contraddittori lo spettatore/spettatrice si scinde e si moltiplica andando a occupare varie posizioni, immedesimandosi di volta in volta non solo in un corpo (sessuato), ma anche nell'espace du regard e nella macchina desiderante della narrazione. Nel chiaroscuro d'immagini, la spettatrice si traveste e si maschera, esplorando così forme di identità proprie e altrui, seguendone gli itinerari e attraversandone le geografie.La ricca ricerca delle donne in campo teorico si è accompagnata e al contempo ispirata all'altrettanto intensa sperimentazione pratica condotta all'interno dell'Independent cinema. Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del 20° sec., questo cinema ha dato vita a una variegata e importante produzione che si è andata sviluppando parallelamente alle idee che la critica formulava attraverso la scrittura. Il cinema di Yvonne Rainer (soprattutto l'emblematico The man who envied women, 1985), quello di Laura Mulvey e Peter Wollen (Riddles of the Sphinx, 1977; Crystal gazing, 1982; Frida Kahlo & Tina Modotti, 1983), Thriller (1979) di Sally Potter, Variety (1983) di Bette Gordon, il Sigmund Freud's Dora (1979) di Anthony McCall, Claire Pajaczkowska, Andrew Tyndall e Jane Weinstock, i film di Trin T. Min-ha (Naked spaces, 1985; Surname Viet, given name Nam, 1989; A tale of love, 1995; The fourth dimension, 2001) e i tanti altri che si potrebbero nominare fanno parte integrante di questo nuovo discorso e sono essi stessi, nel doppio senso del termine, dei new talkies.
Optando per la visibilità, la F. F. Th. ha prodotto molte scritture e creato una serie di canali attraverso i quali far circolare le proprie idee. Numerose sono le case editrici che al pensiero delle donne hanno dedicato intere collane e innumerevoli le pubblicazioni (libri, saggi, articoli) che di esso si occupano e si sono occupate. Dal momento che si tratta di una disciplina accademica, cui vengono assegnate regolari cattedre universitarie, la produzione di tesi di laurea e di dottorato che ne deriva è in continua crescita. Dal 1974 è stata fondata anche una rivista, "Camera obscura", che si occupa interamente di questo sapere con l'obiettivo di capitalizzarne le scoperte e gli esiti.
L. Mulvey, Visual pleasures and narrative cinema, in "Screen", Autumn 1975, pp. 6-18 (trad. it. in Letteratura e femminismi. Teorie della critica in area inglese e americana, a cura di M.T. Chialant, E. Rao, Napoli 2000, pp. 299-307).
Off screen: women and film in Italy, eds. G. Bruno, M. Nadotti, London 1988.
L. Mulvey, Visual and other pleasures, Bloomington (IN) 1989.
Immagini allo schermo: la spettatrice e il cinema, a cura di G. Bruno, M. Nadotti, Torino 1991.