femminicidio
femminicìdio s. m. – Termine con il quale si indicano tutte le forme di violenza contro la donna in quanto donna, praticate attraverso diverse condotte misogine (maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica o psicologica), che possono culminare nell’omicidio. Questo tipo di violenza affonda le sue radici nel maschilismo e nella cultura della discriminazione e della sottomissione femminile: le donne che si ribellano al ruolo sociale loro imposto dal marito, dal padre, dal fidanzato vengono maltrattate o uccise. L’idea di inferiorità della donna è sottesa anche a un altro preoccupante fenomeno che si inscrive, più generalmente, nella categoria di f. (o gendercide), e che colpisce in particolare la Cina, dove il programma di controllo delle nascite avviato dal regime già negli anni Settanta del 20° sec. è culminato nei decenni successivi nella cosiddetta politica del figlio unico (v.), ideata per cercare di frenare l'imponente crescita demografica impedendo alle coppie sposate, salvo in casi eccezionali, di avere più di un figlio. La speranza di partorire un maschio, considerato secondo antiche convinzioni più utile alla sua famiglia d'origine di una femmina, destinata a entrare in un altro nucleo familiare, è la causa di una strage silenziosa di milioni di figlie. La selezione sessista avviene prevalentemente prima del parto, attraverso l’aborto, o dopo la nascita, mediante l’abbandono o l’omicidio delle neonate. Sono le cifre stesse a segnalare un’innaturale sperequazione demografica tra maschi e femmine, che, secondo il premio Nobel per l’economia 1998 Amartya Sen, fa lievitare la cifra delle donne 'mancanti' all’appello in ampie regioni dell’Africa e dell’Asia; donne che in quanto tali non ricevono le stesse attenzioni degli uomini nell’assistenza sanitaria e alimentare, nella prevenzione medica e anche, e soprattutto nell’istruzione.