femminile nell'arte
femminile nell’arte. – L’arte delle donne nel 21° sec., contemporaneamente alla nascita di una storicizzazione e musealizzazione d’un arte declinata al femminile, continua a essere teorizzata secondo l’idea di appartenenza a un genere sessuale. Una dicotomia socioculturale che, sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, rilancia un falso movimento di emancipazione, ribadendo su un piano teorico e normativo il legame profondo delle donne artiste a una minorità discorsiva. Malgrado ciò, abbandonate le aspirazioni egualitarie degli anni Sessanta e Settanta, oltre le polemiche interferenze nell’universo maschile e a seguito delle elaborazioni postmoderne degli anni Ottanta, le donne del 21° sec. cominciano a elaborare un'idea di mondo e del loro fare arte sotto il segno non più di un genere ma di un femminile inteso come «virtualità in divenire» (Griselda Pollock). I mezzi di cui si servono e l’oggetto cui si rivolgono non sono più autoreferenziali, appartengono a una pluralità eterogenea di pratiche, pittoriche, filmiche e performative che elaborano tematiche, politiche e territoriali, riferite al corpo dell’artista o all’ambiente che abita, entro una territorialità di confine «nomade e relazionale» (Rosi Braidotti). A cominciare dai primi anni del 21° secolo, le artiste israeliane Sigalit Landau e Ruth Barabash riflettono sulla loro terra e i suoi miti, Emily Jacir (palestinese, Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2007) inscena attraverso video, foto e installazioni il conflitto israeliano palestinese; Mariam Ghani (afgana) analizza l’incidenza delle strutture sociopolitiche negli spazi del reale, una ricerca in progress fruibile in rete; Ana Prvacki (serba), studia lo sconfinamento di pratiche intime e quotidiane in spazi sociali; Marzia Migliora, attraverso il video, il disegno e la fotografia, recupera il concetto di memoria storica e i rapporti spaziotemporali dell’individuo con l’altro da sé. Indagini propriamente corporee riguardano l’artista egiziana Ghada Amer, che inscena la doppia sottomissione di una donna che rimuove cucendo la propria immagine pornografica e, all’interno di un ritorno al figurativo pittorico, le riletture delle immagini da rivista della statunitense Kaethrine Berbhardt e dell’inglese Chantal Joffe. Sul doppio fronte d’un ritorno alla pittura realista e a una sorta di formalismo astratto incontriamo la statunitense Ellen Altfest e la tedesca Tomma Abst (Turner prize nel 2007). La videoartista olandese Saskia Olde Wolbers e la tedesca Kiki Smith ristabiliscono un rapporto poetico e in costante metamorfosi con il reale: acquatico e surreale il primo, in tensione tra divenire umano/animale il secondo. Infine, la giapponese Mariko Mori, in Primal rhytm (2011), e l’artista d’origini indofilippine Prema Murthy, in Winter solstice (2010), inscenano il ritorno del femminile e del maschile a un comune stato originario, il giorno del solstizio d’inverno.