Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Usata come parola tecnica già nel Settecento e da Hegel, la fenomenologia è, insieme all’ermeneutica, una delle due matrici del pensiero novecentesco. Come esercizio di attenzione e concentrazione dello sguardo su come si mostrano le cose, cioè come procedimento descrittivo rigoroso, essa ha influenzato molte scienze umane. La sua fortuna è legata ad Husserl e alla sua scuola, da cui origina un vero e proprio “movimento fenomenologico”. Riprendendo la nozione di intenzionalità e oggetto intenzionale di Brentano, Husserl avvia una descrizione dei vari tipi di esperienza vissuta. Descrizione estesa al mondo emozionale, morale, naturale da Scheler e Hartmann. Grazie anche alla flessione ontologico-esistenziale datale da Heidegger, la fenomenologia ha avuto grande sviluppo in Francia, soprattutto con Merleau-Ponty, il quale sostituisce al soggetto trascendentale un soggetto “incarnato”, fatto del mondo in cui opera.
La storia del termine fenomenologia
Maurice Merleau-Ponty
Pensiero e corpo
L’occhio e lo spirito
È necessario che il pensiero scientifico - pensiero di sorvolo, pensiero dell’oggetto in generale - si ricollochi in un “c’è” preliminare, nel luogo, sul terreno del mondo sensibile e del mondo lavorato così come sono nella nostra vita e per il nostro corpo: non il corpo possibile, che è lecito definire una macchina dell’informazione, ma questo corpo in atto che chiamo mio, la sentinella che se ne sta silenziosa sotto le mie parole e le mie azioni. [...] In questa storicità primordiale, il pensiero allegro e improvvisatore della scienza imparerà a riancorarsi alle cose stesse e a riflettere su di sé, ridiventerà filosofia...
in Il corpo vissuto, a cura di F. Fergnani, Milano, Il Saggiatore, 1979
Max Scheler
L’esperienza della realtà
Per conoscere come si effettui questo atto di riduzione, bisogna sapere anzitutto in cosa realmente consiste la nostra esperienza interiore della realtà. Non esiste alcuna sensazione specifica (duro, resistente ecc.) capace di darci l’impressione della realtà; anche la percezione, il ricordo, il pensiero e tutti i possibili atti percettivi non sono in grado di produrla: ciò che essi ci danno è sempre e solo il modo di essere (contingente) e mai l’esistenza delle cose. A testimoniarci la loro esistenza (realtà) è piuttosto l’esperienza interiore di una resistenza oppostaci da quella sfera del mondo, che ci si è già rivelata: resistenza che si esercita soltanto nei confronti dei desideri e delle tendenze della nostra vita e del nostro impulso vitale.
M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, Milano, Fabbri Editori, 1970
Il termine “fenomenologia” risale al filosofo tedesco Johann Heinrich Lambert , che nel Nuovo Organo (1764) affianca alla dottrina della verità, la alethiologia, una dottrine dell’apparenza, la fenomenologia, che studia le cause del carattere illusorio degli oggetti della sensibilità. Hegel, in seguito, riprende e modifica tale accezione nella Fenomenologia dello spirito (1807): la scienza dell’esperienza della coscienza, ossia la descrizione del cammino dialettico che la coscienza empirica deve fare per riconoscersi in quanto spirito assoluto, spirito che finalmente conosce tutto se stesso. Il cammino si compie attraverso una serie di figure – intese come rendersi parzialmente visibile di qualcosa, di qui il nesso con il termine fenomenologia – che si presentano prima come proiezioni della singola coscienza e poi come manifestarsi del mondo storico.
Il termine non ha avuto un uso rilevante sino a quando non è stato adoperato da Edmund Husserl (1859-1938), agli inizi del Novecento, per contrassegnare la propria filosofia. Da allora, con la diffusione e la varia ricezione dei lavori husserliani, si è venuta a costituire una vera e propria galassia di indirizzi a carattere fenomenologico, non solo in ambito filosofico ma anche in molte scienze umane. Sia in quest’ultimo caso che in filosofia, il richiamo alla fenomenologia indica in genere un esercizio di liberazione e concentrazione dello sguardo su cosa effettivamente c’è. Indica, dunque, un procedimento non basato sull’argomentazione (deduttiva, induttiva o dialettica) ma sulla descrizione di esperienze, siano esse di natura esterna o interna, riguardino cose e comportamenti fattuali oppure operazioni e oggetti ideali.
La fenomenologia di Husserl
La fenomenologia di Husserl si ricollega essenzialmente a un duplice filone di ricerca: quello psicologico e quello logico. Il magistero di Franz Brentano (1838-1917) esercitò un impulso decisivo sul giovane Husserl, che si stava occupando della natura e dell’origine dei concetti della logica e della matematica. Secondo Brentano la caratteristica principale dei fenomeni psichici è “l’intenzionalità”, cioè il fatto di essere sempre riferiti a un oggetto: si spera se c’è qualcosa di sperato, si gusta se c’è qualcosa di gustato. La distinzione importante è quella tra l’oggetto in quanto referente esterno, “reale”, e l’oggetto interno, “intenzionale”, l’oggetto così come è percepito da noi, secondo il senso che per noi ha il suo modo di essere presente. A questa distinzione si collega quella tra l’oggetto interno e le forme intenzionali con cui ci rapportiamo a esso (che sono tre: rappresentazione, giudizio, valutazione emotiva).
Husserl basò su queste assunzioni il suo primo lavoro, la Filosofia dell’aritmetica (1891), che gli valse la critica di psicologismo da parte di Gottlob Frege: Husserl sembra confondere infatti la validità dei significati e delle proposizioni logico-matematiche, che è universale e permanente, con la loro genesi psicologica, che è empirica e mutevole. Anche se mutano le condizioni psicologiche tale validità resta inalterata, perché il loro contenuto è indipendente da chi le pensa. Lo studio delle opere di Bernhard Bolzano consolidò la separazione tra logica e psicologia mediante la constatazione che il nesso logico di una proposizione è puramente formale, resta invariato e valido pur variando le singole rappresentazioni che la compongono.
Tuttavia la logica è comunque sempre esperita in vissuti psichici; l’unica alternativa alla sua ipostatizzazione è allora, secondo Husserl, chiarire meglio la natura di tali vissuti e degli oggetti intenzionali. Di qui il progetto di una fenomenologia come scienza rigorosa, volta a superare sia il relativismo storicistico e il naturalismo ingenuo delle scienze positive, sia il formalismo astratto dei logicisti e del neokantismo. Quasi a richiamare il detto goethiano secondo cui “i fenomeni sono la teoria”, il metodo fenomenologico doveva essere puramente descrittivo, in modo da cogliere la grammatica –le forme essenziali –dell’esperienza a partire da come essa originariamente si manifesta. Questo progetto fu predelineato da Husserl nelle Ricerche logiche (1901), opera che ebbe grande risonanza soprattutto fra gli studiosi tedeschi più giovani, poiché sembrava promettere un rinnovamento dello sguardo filosofico sul mondo: concretezza tematica e rigore esplicativo fondati sulla “visione delle essenze” esperienziali. A Monaco e a Gottinga si formarono due circoli intellettuali, che nel 1911, insieme al maestro, fondarono l’ Annuario di filosofia e ricerca fenomenologica.
Si moltiplicarono in quegli anni fenomenologie che miravano a individuare le caratteristiche manifestative, le invarianti – o essenze o forme fenomeniche –dei diversi ambiti dell’esperienza e delle sue forme coltivate (fenomenologie della percezione, dell’immaginazione, dell’arte, della musica, del diritto...). Anche per evitare che la fenomenologia diventasse un grande “libro di illustrazioni”, piombando in un nuovo ingenuo realismo, con le Idee per una fenomenologia pura (1913) Husserl ricondusse la fenomenologia all’ io trascendentale, alle operazioni costitutive della coscienza, grazie a cui sorgono tutti i possibili sensi dei fenomeni mondani. Questa svolta idealistica produsse il dissenso della gran parte dei seguaci di Husserl e si può dire che la successiva storia della fenomenologia è incentrata su questa svolta, perché accettarla o respingerla significa chiarire che cosa sia la fenomenologia, cioè mettere in luce i molti motivi e percorsi che la attraversano e su cui lo stesso Husserl non aveva smesso di interrogarsi.
Le applicazioni del metodo fenomenologico
Tra i maggiori interlocutori della fenomenologia c’è Max Scheler (1874-1928), il quale condivide con Husserl il fatto che quando facciamo esperienza di qualcosa, ciò non può essere spiegato richiamandosi a una qualche sintesi tra due funzioni separate, le sensibilità e l’intelletto, poiché ciò non darebbe conto di quel che ci accade. Noi intuiamo, cioè abbiamo apprensione diretta di determinatezze (un libro, un sapore, un sentimento positivo o negativo) e non di dati sensoriali da unificare intellettivamente. La nozione di intenzionalità sta proprio a dire che siamo in contatto immediato con il mondo e non bisogna quindi cercare quale sia il ponte che collega soggetto e oggetto, che è piuttosto una domanda riflessiva, secondaria, derivata dalla sospensione dell’esperienza diretta. Ma, allora, quando Husserl riconduce il contatto immediato a una soggettività costituente, interrompe artificiosamente tale contatto; e quando l’attività fenomenologica prevede la sospensione della direzione naturale dell’esperire, onde riflettere sui contenuti intenzionali, essa è in contraddizione con se stessa, con l’invito a tornare alle evidenze fenomeniche. Per Scheler la relazione immediata con il mondo è di tipo emozionale e non rappresentazionale; in luogo dell’io trascendentale c’è la vivente persona. Inoltre, le emozioni non sono irrazionali, ma si articolano secondo una scala di valori oggettiva, che va da quelli sensibili sino a quelli spirituali (estetici, conoscitivi, etici, religiosi). Contro la tesi kantiana che vuole la morale formale e universale per non dipendere dagli impulsi materiali, Scheler rivendica l’esistenza di “valori materiali”, valori aventi una concretezza non sensibile, un’essenza universale che ciascuno esperisce intuitivamente, e che può essere descritta fenomenologicamente.
Su questa posizione, che vede nei valori degli universali concreti, i quali non vengono posti dai singoli, ma si rivelano, si realizzano nelle loro scelte, sta anche Nicolai Hartmann che infatti propone una minuta analisi fenomenologica dei valori, delle virtù e delle passioni. Hartmann, inoltre, condivide con Scheler e contro Husserl il primato della realtà sulla possibilità, rifiutando l’idealismo soggettivo husserliano: la realtà è sempre esterna e irriducibile alla coscienza. Proprio perché l’oggetto è sempre posto in una relazione intenzionale, interna alla coscienza, sempre la realtà dell’oggetto trascende tale relazione. L’intenzione ci fa cogliere il senso possibile ma non l’ essere extracoscienziale dell’oggetto.
Il più noto allievo di Husserl, Martin Heidegger (1889-1976), intese la fenomenologia come via di accesso al vero filosofare in quanto chiede come accade e quale significato abbia il manifestarsi del mondo. Con la nozione di “intuizione categoriale” Husserl aveva mostrato che percepiamo più che semplici dati sensoriali, percepiamo modi di essere determinati (il calamaio, una melodia). Proprio in questo qualcosa di più, nel fatto di cogliere intuitivamente che qualcosa è questo e non quello, si schiude il problema dell’essere degli enti. Anche per influenza di Scheler, tale problema non viene tuttavia affrontato partendo dalla coscienza e dalla intenzionalità, ma dall’ esistere, dal modo coinvolto, pratico, eveniente, del nostro incontrare il mondo. L’essere-al-mondo è la condizione di possibilità della coscienza intenzionale, non viceversa. Di qui si avvia la radicale trasformazione heideggeriana della fenomenologia, che nondimeno resterà la chiave di lettura della sua ontologia, imperniata sul movimento del manifestarsi e nascondersi dell’essere.
La fenomenologia di area francese
L’opera di Heidegger ha molto influenzato la ricezione della fenomenologia e ciò ha dato frutti particolarmente fecondi in Francia, dove è stata introdotta da Jean-Paul Sartre (1905-1980), sia con gli studi sull’immaginazione e sull’emozione come modi di rapportarsi della coscienza al mondo (primato del possibile sul reale), sia più in generale nella mobile precisione descrittiva della sua filosofia. E da Emmanuel Lévinas (1905-1995), per il quale la fenomenologia è il metodo di ogni filosofia poiché, superando dogmi e sistemi, ci lascia penetrare in tutto ciò che è nascosto, dimenticato, sottinteso o frainteso, demistificando le apparenze.
È però Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) che ha dato l’impronta decisiva alla fenomenologia francese. Nell’assunto che il corpo è il nostro mezzo per avere un mondo, ovvero che lo spirito non utilizza il corpo, ma si fa attraverso di lui, Merleau-Ponty esalta gli aspetti mondani della soggettività. La fenomenologia è sì lo studio di ciò che è essenziale nell’esperienza umana, ma poiché l’esperienza dell’uomo non è pura e disinteressata, bensì “in situazione”, partecipata, “mischiata” con quella degli altri, le essenze andranno ricollocate nell’esistenza, nel concreto mondo intersoggettivo. Percezione e corpo vissuto (Leib), già importanti temi husserliani, diventano allora il filo conduttore per “reincarnare” il soggetto fenomenologico. L’accento cade in particolare sul continuo essere in fieri della percezione, sul suo carattere multiprospettico e aperto, che rinvia oltre la singola manifestazione, promettendo sempre ulteriori scorci visuali. È così che, prima di ogni predicazione e categorizzazione, viene nascendo il senso e il volto del mondo. Senso e volto imprevedibili, intrinsecamente ambigui, però. Come mostra la semplice esperienza delle mani che si toccano: l’azione si tramuta in passione, il toccare dall’esterno si tramuta in sentire dall’interno, il momento condizionante in momento condizionato, rivelando un essere delle cose mobile, intrecciato e oscillante.
Sempre in area francese va ricordato Jacques Derrida, che ha cominciato a sviluppare la propria “decostruzione” della metafisica occidentale, ripercorrendo il tentativo husserliano di fornire una genesi della razionalità, sia mediante l’analisi delle operazioni costituenti della soggettività trascendentale, sia risalendo alle origini nascoste e dimenticate della scienza moderna. Il che consente due osservazioni sulla recente ricezione della fenomenologia. Da un lato si privilegia il tardo Husserl, quello della genealogia della logica e, in generale, del “mondo della vita”, della sfera antepredicativa, della intersoggettività e della corporeità (e si va da Enzo Paci a Jürgen Habermas, da Michel Henry a Jean-Luc Nancy). Dall’altro, si riscopre il primo Husserl, quello che intende fare una descrizione puntuale e immanente dei vari ambiti dell’esperienza, e che perciò sembra potersi ricollegare a temi e metodi della filosofia analitica (si va da Gilbert Ryle a Michael Dummett, da John Searle a Barry Smith).