Fenomenologia
Fenomenologia (calco dell'originale tedesco Phänomenologie) indica, in generale, la descrizione ordinata dei fenomeni, ovvero del modo in cui si presenta e si manifesta una realtà. Nella formulazione datane da E. Husserl la fenomenologia ha esercitato un influsso larghissimo non soltanto sulla filosofia, ma anche sulla psicologia e sulla psichiatria contemporanee, che ne hanno accolto i motivi metodologici di fondo, a cominciare dall'esigenza descrittiva e comprensiva, contrapposta alle esigenze esplicative della scienza tradizionale.
Non vi è un unico tipo di evidenza, perché le cose non si presentano tutte nello stesso modo, e il modo in cui esse si presentano e si rivelano a noi dipende da come noi ci disponiamo nei confronti di esse: lo studio della vita intenzionale della coscienza diventa pertanto un presupposto indispensabile anche per comprendere i nostri contatti con la realtà. Il termine fenomenologia fu introdotto in filosofia da J.H. Lambert come titolo di una parte della sua opera Neues Organon (1764). Fu poi ripreso da I. Kant (Primi principi metafisici della scienza della natura, 1786), che gli diede il significato di dottrina dei fenomeni del senso esterno e della loro illusorietà. Nella Fenomenologia dello spirito (1807) G.W.F. Hegel lo intese invece come 'scienza dell'esperienza della coscienza': i fenomeni sono interpretati da Hegel come le figure e le stazioni che la coscienza umana dialetticamente e storicamente percorre allo scopo di pervenire al sapere.
Attualmente con fenomenologia ci si riferisce però alla dottrina e alla scuola di E. Husserl, che, nelle Ricerche logiche (1900-1901), la interpretò come un metodo descrittivo dei contenuti intenzionali o 'vissuti' (Erlebnisse) della coscienza. Muovendo dal concetto di intenzionalità di F. Brentano (la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa, cioè un atto, o noesi, che intende qualcosa, che si rivolge intenzionalmente a un contenuto, o noema), Husserl assegnò alla fenomenologia un ruolo al tempo stesso fondante e critico nei confronti delle scienze e della cultura. Ogni contenuto (del giudizio, della volontà, del sentimento, della riflessione, del ricordo ecc.) rinvia infatti a un corrispondente atto intenzionale della coscienza che può essere descritto nelle sue modalità peculiari, le quali determinano il senso dell'oggetto, o noema. Questa descrizione fenomenologica esige però l'assunzione preventiva di un atteggiamento 'puro', cioè di uno sguardo che osservi il fenomeno della coscienza 'così come esso si dà' ed 'entro i limiti nei quali si dà'. Ciò comporta l'abbandono di ogni 'pregiudizio' del senso comune e del sapere. Per attingere questa dimensione pura, Husserl elaborò il metodo della sospensione del giudizio o epochè, che si richiamava anche al dubbio metodico cartesiano: ogni teoria sulla cosa osservata va posta tra parentesi e, più in generale, la stessa esistenza del mondo e del mio corpo va 'sospesa' o ridotta a puro fenomeno della coscienza. Quest'ultima allora emerge come 'residuo fenomenologico', luogo di esibizione originaria del vissuto non ulteriormente riducibile e del suo rapporto intenzionale con il mondo. Che cosa sia questo rapporto resta sospeso; la fenomenologia si rivolge al come di esso, descrivendone le strutture essenziali, o idee. In tal modo Husserl intendeva, da un lato, rispondere allo scetticismo e al relativismo storicistico (dietro i fenomeni della coscienza e del mondo storici c'è un più originario 'mondo della vita' comune a tutti gli uomini, che è il terreno costitutivo di ogni esperienza e validità intersoggettiva); dall'altro, intendeva combattere il naturalismo delle scienze, che assumono dogmaticamente l'esistenza in sé del mondo e dell'uomo (ogni realtà del mondo, o fenomeno 'mondano', compresa l'esistenza naturale dell'uomo, deve essere invece ricondotta alle attività costitutive di senso della coscienza, come già era stato intuito da Kant con il suo ricorso al metodo trascendentale).
La fenomenologia di Husserl, soprattutto a partire dalla pubblicazione delle Idee per una fenomenologia pura del 1913, venne accusata di idealismo o coscienzialismo, e ciò determinò una spaccatura interna alla stessa scuola fenomenologica, con la secessione dei due maggiori discepoli di Husserl, M. Scheler e M. Heidegger. Husserl ribadì, tuttavia, il carattere non metafisico della coscienza fenomenologica, che è sempre un Io-mondo e un Io-corpo. Non si tratta di dedurre dalla coscienza o di fondare su di essa la realtà materiale del mondo (come in Cartesio); si tratta piuttosto di ricostruire descrittivamente la genesi dei fenomeni mondani e corporei e il loro senso peculiare. Di qui la fondamentale distinzione tra corpo vivente o corpo proprio (Leib) e corpo cosa (Körper), sulle cui evidenze fenomenologiche si basano rispettivamente le scienze umane e storiche (che la fenomenologia influenzò durevolmente, a cominciare dalla psicologia) e le scienze naturali.
Queste analisi della corporeità, ancora oggi attuali, trovarono sviluppi originali nella fenomenologia francese di J.-P. Sartre, P. Ricoeur e, soprattutto, M. Merleau-Ponty (Fenomenologia della percezione, 1945). Per quest'ultimo, fondamento originario dell'esperienza non è la coscienza pura, ma il corpo percettivo come fenomeno irriducibilmente ambiguo nel suo essere riflesso del mondo, costituito della stessa 'carne del mondo', e obiettivazione intenzionale del mondo. La coscienza ‒ come già diceva Sartre ‒ è sempre 'in situazione', cioè definita dai suoi limiti corporei, sociali e storici, nonché dal rapporto di reciprocità con il corpo vivente degli altri uomini; nel contempo, però, essa è continua istanza di liberazione, sia pure condizionata, che intenziona nuovi possibili orizzonti di senso. Questo è poi il fenomeno umano dell'espressione, per cui dal gesto originario, che emerge dal silenzio significativo stesso del corpo e del mondo, l'uomo accede alla parola e infine alle astrazioni concettuali. Sulla base di queste analisi il metodo fenomenologico ha aperto nuove vie di comprensione dei fenomeni della linguistica, dell'estetica e della psichiatria.
S. Poggi, Husserl e la fenomenologia, Firenze, Sansoni, 1973.
C. Sini, Scrivere il fenomeno. Fenomenologia e pratica del sapere, Napoli, Morano, 1997.
P. Thévenaz, De Husserl à Merleau-Ponty, Neuchâtel, Éditions de la Baconnière, 1966 (trad. it. Roma, Città Nuova, 1976).
S. Zecchi, La fenomenologia dopo Husserl nella cultura contemporanea, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1978.