FENOMENOLOGIA (XIV, p. 1006)
Al pensiero e all'opera di Edmondo Husserl (1859-1939) si ricollega oggi un vasto movimento filosofico. Già per Hegel il termine di ufenomenologia" (cfr. la sua Fenomenologia dello Spirito) caratterizzava lo studio della coscienza: con intenti e metodi molto diversi, questa qualifica generale può valere anche per la f. husserliana. Partito dalla filosofia della matematica, cioè dalla esigenza di una più adeguata comprensione, fondazione, giustificazione dell'attività matematica in quanto tale, Husserl avvertì le insufficienze dello psicologismo sensualistico e associazionistico corrente, che fraintendeva il significato e deformava i caratteri di ciò stesso che avrebbe dovuto spiegare. Invero, le formazioni logico-matematiche (i giudizî, i numeri, gli insiemi, ecc.) non possono ridursi agli eventi psichici reali che li accompagnano nella coscienza e alla loro associazione empirica; sono invece vere costruzioni ideali, oggetti ideali, che sorvolano, orientano, anticipano, sintetizzano aprioristicamente, condizionano teleologicamente il flusso stesso della coscienza, la quale non è il semplice ricettacolo dei dati sensibili reali, ma è intenzionalmente protesa verso l'avvenire e la compiutezza. Secondo questa concezione intenzionalistica (che costituisce il vero cardine della f.), la coscienza è sempre "coscienza di qualche cosa", che si annunzia ma non si esaurisce nel dato immediato, ma il cui significato o essenza può essere ugualmente colto dalla coscienza in una forma di intuizione eidetica, che accompagna necessariamente l'intuizione dell'individuo. Una qualsiasi esperienza individuale, contingente, sensibile, per avere una determinazione significativa e diventare possibile oggetto di un discorso, deve rinviare a un piano generico, a un' "essenza" rispetto a cui l'individuo diventa un esempio, una illustrazione. Le essenze, come configurazioni intenzionali o oggetti ideali della coscienza, possono essere studiate per proprio conto, prescindendo dai fatti concreti (riduzione eidetica), sulla base del libero esercizio della immaginazione, variando cioè illimitatamente gli esempî possibili, per determinare e descrivere ciò che resta in essi invariante, e che esprime pertanto la struttura intrinseca necessaria delle essenze medesime. Accanto alle scienze empiriche (dei fatti) ci sono dunque le scienze eidetiche, le quali possono essere di due specie, formali e materiali. Le prime sono la logica formale (in senso stretto) e l'ontologia formale (corrispondente alla matematica), le quali discipline si occupano delle verità formali che convengono a tutte le essenze: rispettivamente dei giudizî la prima, e delle leggi dell'oggettività in generale (oggetti, proprietà, relazioni) la seconda. Le scienze eidetiche materiali sono le ontologie regionali, le quali trattano dei generi supremi in cui può articolarsi la nostra esperienza, e delle varie essenze corrispondenti a queste regioni (per es. la regione "cosa", "coscienza"). Ogni conoscenza di fatti implica necessariamente un riferimento alla logica formale, all'ontologia formale e all'ontologia materiale, le quali esprimono le leggi necessarie e generali secondo cui diventiamo coscienti di qualche cosa, ed elaboriamo le varie scienze che si occupano della realtà.
Ma una scienza integrale delle essenze (o anche una scienza dei "significati") non è possibile se non quando, attraverso una opportuna operazione mentale o trasformazione del nostro atteggiamento naturale, si metta a nudo la vita pura, spontanea, intenzionale della coscienza. Questa operazione è la riduzione fenomenologica (ἐποχή), la quale rappresenta una messa in parentesi del mondo, una neutralizzazione di tutte le nostre credenze naturali ed interessi pratici: non si tratta di dubitare dell'esistenza del mondo (come nel dubbio metodico cartesiano), ma solo di prescinderne, di sospendere ogni giudizio o asserzione nei suoi riguardi. La vita della coscienza non è così soppressa, anzi si manifesta allo stato puro, nella sua intenzionalità costitutiva (coscienza trascendentale), nell'infinita trama delle sue possibilità: noi non sappiamo cosa ci sia nel mondo reale (messo in parentesi), ma sappiamo cosa significherebbe l'esserci o il presentarsi di determinati oggetti. La f., intesa in questo senso, si propone l'esplorazione sistematica della coscienza trascendentale, delle varie possibilità coscienziali, atteggiamenti, modi, collegamenti sintetici, modi di presentazione, ecc., e diventa al tempo stesso lo studio dell'apriori universale (formale e materiale) della scienza. Il limite dell'apriorismo kantiano è di essere formale e ricavato dall'analisi regressiva delle scienze già esistenti: modellato su determinate scienze, non ha la possibilità di concepire la conoscenza che sul loro esclusivo modello. Ma lo studio dell'apriori deve rivendicare la sua piena autonomia, sulla base della riduzione fenomenologica e dell'analisi intenzionale. La f., così intesa, non è più semplicemente descrittiva, ma diventa costitutiva (di tutte le oggettività ideali che si costituiscono nella vita intenzionale della coscienza), e si configura come "scienza universale della soggettività trascendentale".
L'esplorazione fenomenologica della coscienza, mentre da un lato ci riconduce necessariamente all'io singolo, tuttavia ritrova nel dispiegarsi dell'intenzionalità della mia coscienza la presenza non meno necessaria di altri io trascendentali, o centri di coscienza (monadologia trascendentale), come precedente e presupposto della costituzione di ogni oggettività. D'altro lato, questo regresso alla spontaneità originaria riapre tutti i problemi della metafisica tradizionale, in quanto pone il problema dell'origine del mondo. Per quanto concerne la logica, questa, reinserita nella vita della coscienza, ricondotta cioè al suo fondamento, diventa logica trascendentale, la quale (nel suo senso più esteso comprendente anche le ontologie materiali) diventa la vera dottrina della scienza, e costituisce l'organo della critica della scienza. Si comprende così l'odierna crisi della scienza occidentale, la quale ha dimenticato le sue origini concrete nel mondo prescientifico (antepredicativo) della vita, è rimasta prigioniera del proprio "vestito di idee", assumendo un aspetto sempre più unilaterale e astratto, che doveva precluderle la comprensione dei problemi vitali dell'esistenza umana. La reinserzione della scienza nel suo contesto naturale del "mondo della vita", e il suo ripensamento sistematico e radicale per opera della f. costitutiva, devono consentire, accanto a una maggiore apertura mentale verso tutte le forme e livelli dell'esperienza, un profondo rinnovamento della scienza stessa e un superamento della crisi dell'umanità occidentale.
La f. di Husserl ha esercitato un influsso grandissimo e tuttora crescente sulla filosofia contemporanea, in particolare sull'esistenzialismo e sulla psicologia (psicologia della forma e psicoanalisi). Alle esigenze esplicative della scienza tradizionale, la f. contrappone l'esigenza descrittiva e comprensiva, che deve svolgersi in maniera autonoma, senza preoccupazioni esplicative estrinseche. Se si parte da presupposti aprioristici (già nel nostro modo di aprirci all'essere e di considerare l'esperienza), anche la nostra comprensione della realtà può risultarne compromessa, ed essere resa unilaterale e deformata. Non vi è un unico tipo di evidenza, perché le cose non si presentano tutte nello stesso modo, e il modo in cui esse si presentano e si rivelano a noi dipende anche dal modo in cui noi ci disponiamo verso di esse. Lo studio della vita intenzionale della coscienza (nell'intreccio delle sue configurazioni essenziali e dei suoi atteggiamenti) è quindi indispensabile anche per quanto concerne i nostri rapporti o contatti con la realtà, e per la concreta edificazione di una scienza che voglia più adeguatamente conformarsi alla natura della realtà da conoscere. Questi motivi metodologici generali si sono mostrati operanti anche al di fuori della particolare concezione della f. husserliana (spesso sganciandosi dalla tecnica della riduzione e dando maggior rilievo alla nozione del "mondo della vita", come base dell'analisi intenzionale). Per Heidegger la f. come "scienza dei fenomeni" significa lasciar parlare i fatti stessi, "lasciar vedere in se stesso ciò che si manifesta, così come si manifesta in se stesso", togliendolo dall'occultamento in cui rischiano di farlo cadere i nostri pregiudizî, per descriverlo in un discorso adeguato (ontologia). Per M. Merleau-Ponty il valore essenziale della f. consiste nell'aver superato la rigida alternativa cartesiana fra soggettivismo e oggettivismo, e così nell'aver reso possibile un profondo rinnovamento della psicologia, basato sul riconoscimento dell'intenzionalità del nostro corpo e del suo ruolo mediatore nella costituzione dell'esperienza.
Bibl.: E. Husserl, Gesammelte Werke (8 voll., L'Aia 1950-59); altre opere fondamentali di Husserl non incluse nella suddetta ed.: Logische Untersuchungen, 3 voll., Halle 1913-1921 (4ª ed., 1928); Philosophie als strenge Wissenschaft, in Logos, Tubinga 1911 (trad. it., Torino 1958); Formale und transzendentale Logik, Halle 1929; Erfahrung und Urteil, Amburgo 1954; M. Heidegger, Sein und Zeit, Halle 1927 (trad. it., Milano 1953); S. Vanni Rovighi, La filosofia di Husserl, Milano 1939; M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Parigi 1945; G. Brand, Welt, Ich und Zeit, L'Aia 1955 (trad. it., Milano 1960); autori varî, La fenomenologia, Brescia 1956; G. Pedroli, La fenomenologia di Husserl, Torino 1958; P. Valori, Il metodo fenomenologico, Roma 1960; autori varî, Omaggio a Husserl, Milano 1960; autori varî, Husserl et la pensée moderne, L'Aia 1960.