PINELLI, Ferdinando Augusto
PINELLI, Ferdinando Augusto. – Nacque a Roma il 29 dicembre 1810, terzo e ultimogenito maschio di Antonio Ludovico Maria e Angela Carelli.
Il padre era un magistrato nativo di Cuorgné, nel Canavese. Nel 1809, dopo l’annessione dello Stato Pontificio all’Impero francese, era stato nominato procuratore presso la Corte d’appello istituita nella ex città del papa. La madre apparteneva anch’ella a una famiglia di magistrati piemontesi.
Mentre i fratelli Pietro Giovanni Alessandro e Pier Dionigi seguirono le orme paterne laureandosi in giurisprudenza e abbracciando una professione legale (magistrato il primo, avvocato il secondo), Ferdinando Augusto fu avviato alla carriera delle armi. Dal 1826 al 1831 fu allievo del collegio di Marina di Genova. Nel 1831 ricevette il brevetto di sottotenente nella brigata «Casale».
Nonostante il padre avesse ottenuto nel 1828, alla vigilia della morte, un titolo comitale trasmissibile ai figli maschi quale ricompensa per le alte cariche ricoperte (l’ultima fu quella di avvocato fiscale generale presso il Senato di Torino), Ferdinando Augusto rimase in cuor suo un borghese. Anche perché confinato in un’arma – la fanteria – non molto frequentata dai nobili soprattutto perché non permetteva rapide carriere, egli coltivò un’idea del militare quale professionista della guerra. I suoi modelli furono gli ufficiali napoleonici di estrazione borghese, in testa a tutti Eusebio Bava, mentre dimostrò sempre una scarsa considerazione per un’aristocrazia sabauda poco amante degli studi e aggrappata ai propri privilegi.
Prese parte alla guerra di indipendenza del 1848 quale capitano aiutante maggiore nel 16º reggimento di fanteria: si distinse in molti combattimenti, guadagnandosi una medaglia al valor militare. Quando, nel marzo 1849, si riaccese la guerra, era capitano nel 9º reggimento: fu fatto prigioniero dagli austriaci a Mortara nella fase iniziale della campagna.
La metamorfosi dell’assolutista e reazionario Regno di Sardegna in un regime costituzionale protagonista del Risorgimento nazionale favorì significativamente l’affermazione dei fratelli Pinelli. Nel 1850 Alessandro, presidente di classe della Corte d’appello di Torino, fu nominato senatore, mentre Pier Dionigi, un giobertiano approdato a posizioni conservatrici, fu deputato di Cuorgné dal 1848, ministro dell’Interno dal 15 agosto al 16 dicembre 1848 e dal 27 marzo al 20 ottobre 1849, presidente della Camera dei deputati dal 29 novembre 1849 al 22 aprile 1852, giorno della sua morte.
Ferdinando Augusto rimase invece ancora qualche anno nell’ombra. Intervenne attivamente, in ogni caso, nel dibattito sulla riforma dell’esercito piemontese, che si aprì all’indomani delle fallimentari campagne del 1848-49. Nel 1849 pubblicò due opuscoli Alcuni cenni sull’infanteria piemontese e Progetto di un nuovo ordinamento dell’armata con alcune osservazioni sull’attuale teoria della fanteria, entrambi presso la tipografia Canfari di Torino. Tenendosi lontano dalle questioni politico-militari più controverse, Pinelli difese a spada tratta in questi pamphlet l’arma alla quale apparteneva, la fanteria, opponendosi alla generale propensione a un suo drastico ridimensionamento.
Quando fu istituita, alla fine del 1849, la Scuola normale di fanteria di Torino (che dal 1850 divenne Scuola militare con spostamento della sede a Ivrea), Pinelli partecipò convintamente al tentativo di dotare l’arma di un istituto di perfezionamento e nel 1851 pubblicò un manuale, Elementi di tattica, stampato a Ivrea dalla tipografia di F.L. Curbis, in cui raccolse quanto riteneva «essere di utile e quasi necessaria conoscenza per l’uffiziale di linea» (Prefazione, s.n.p.). In quello stesso anno fu promosso maggiore. La morte di Pier Dionigi gli aprì le porte della carriera politica: il collegio di Cuorgnè lo elesse deputato. L’esercito lo collocò in aspettativa e poi in riforma per infermità. Pur avendo abbandonato il servizio attivo, continuò a essere impiegato in compiti militari, dapprima quale comandante della seconda legione della guardia nazionale di Torino e poi anche quale commissario di leva.
Lasciata la Camera dei deputati nel 1853 dopo la conclusione della IV legislatura, si dedicò alla redazione di un’ambiziosa impresa storiografica, una Storia militare del Piemonte in continuazione di quella del Saluzzo cioè dalla pace d’Aquisgrana sino ai dì nostri, che uscì a Torino in tre volumi (più un supplemento ai primi due tomi) nel 1854-55 presso il libraio-editore T. Degiorgis e di cui fu pubblicata nel 1856-57 una traduzione in tedesco a Lipsia a cura di un capitano dell’esercito prussiano, August Riese.
La storia di Pinelli era, in effetti, una ‘continuazione’ sui generis. Se ripeteva il titolo scelto da Alessandro di Saluzzo nel 1818 e riprendeva il filo cronologico nel punto, in cui l’allora colonnello l’aveva lasciato cadere, la scelta linguistica e, in modo particolare, la prospettiva ideologica scavavano un profondo fossato fra le due opere. Mentre Saluzzo aveva inteso rilanciare, all’indomani della restaurazione dei Savoia, una tradizione ‘regionale’, che riconosceva al francese uno statuto privilegiato e che ruotava intorno alle imprese della dinastia, Pinelli voleva invece rendere irreversibili le opzioni del marzo 1848 e rivisitare la storia militare recente in una prospettiva saldamente liberal-nazionale.
Pinelli, che non a caso si presentava quale maggiore in ritiro, puntava a un articolato blocco di idee-guida, nelle quali una nuova classe militare piemontese potesse riconoscersi, intrecciando strettamente i valori professionali a quelli politici, le virtù tradizionali (l’onore, il valore, la lealtà) con i requisiti necessari a un quadro nazionale – un «sincero affetto alle nazionali franchigie» (I, p. 4) – e a un competente professionista – «le solide conoscenze militari» (p. 4). Il sole dell’universo ideologico di Pinelli era il nazional-patriottismo. L’opera era dedicata «alla gioventù italiana». «Io scrissi per i giovani italiani, per gli amici, per i fratelli» (p. 4), ribadiva nella prefazione al primo volume. Il destinatario e il significato primario della Storia militare del Piemonte venivano a coincidere. Il leitmotiv era il «patrio risorgimento» (ibid., p. 11). L’Italia doveva diventare una nazione, se «vuol essere libera contro le irte falangi del dispotismo» (ibid., p. 12). La recente storia militare subalpina non era altro che la storia dell’epifania di una coscienza nazionale: se nel 1821 si era manifestato «un debole barlume di nazionalità» (III, p. 6), il «sacro diritto della nazionalità» legittimava pienamente il 1848 (ibid., p. 9).
Da questa scelta strategica discendeva il rifiuto di una storia militare in chiave sabaudista: «questa che io scrivo è storia di armi patrie e non di dinastia» (II, p. 2). Di qui la protesta contro quel «gretto sentimento di semi-patrio amore che circoscrive l’affetto di tanti piemontesi alle provincie rette dalla Casa di Savoia» (ibid., p. 3). Di conseguenza, Pinelli si professava «suddito riverente, ma non schiavo» (ibid., p. 101) di Vittorio Emanuele II. Tuttavia la fedeltà alla dinastia e il credo nazionalista potevano rafforzarsi a vicenda nel momento e nella misura in cui i Savoia avevano adottato una politica italiana.
Quanto ai nemici del «patrio risorgimento», erano individuati, oltre che nell’Austria, nel papa (un acceso anticlericalismo circolava in tutta l’opera), nella Francia qualunque fosse il colore del suo governo (ancora nel gennaio 1859, in una fase in cui l’intesa, sempre più trasparente, tra Napoleone III e il re di Sardegna stava per essere suggellata da un trattato d’alleanza, pubblicò a Torino presso Canfari alcune Considérations politiques et militaires sur une nouvelle guerre entre le Piémont et l’Autriche imperniate sull’ipotesi di un Piemonte che, come nel 1848, avrebbe fatto da sé) e nei democratici, una categoria che abbracciava i giacobini, i mazziniani e anche quei «demagoghi» – la Sinistra piemontese – che nel 1849 avevano riaperto le ostilità contro l’impero asburgico.
Nel corso della guerra di Crimea fu incaricato di organizzare e di comandare il 1º reggimento della legione anglo-italiana, che fu formato in Piemonte e poi sciolto a Malta senza che potesse partecipare alle operazioni. Fu la guerra del 1859 che permise a Pinelli di riprendere definitivamente il servizio attivo con il grado di tenente colonnello. Fu inviato a Bologna insorta contro il papa e divenne ministro della Guerra nel governo provvisorio delle Romagne. Promosso colonnello e posto al comando della brigata Bologna, nel 1860 prese parte alla campagna delle Marche e dell’Umbria; si distinse alla presa di Ancona, ottenendo la promozione a maggior generale. Guidò una colonna mobile contro i ‘briganti’, che infestavano le Marche e l’Abruzzo, infierendo contro le popolazioni locali. Nel febbraio 1861, dopo che era stato messo a capo delle truppe che assediavano Civitella del Tronto, un suo proclama, in cui definiva il papa «Vicario non di Cristo, ma di Satana» e «sacerdotal vampiro» (Stipa, 2004, p. 21), indusse il ministro della Guerra a collocarlo in disponibilità. Fu un’eclissi affatto temporanea: dopo pochi mesi fu richiamato in servizio e nuovamente destinato alla lotta contro il brigantaggio: i successi ottenuti furono ricompensati con una medaglia d’oro.
Nel 1861 fu rieletto deputato: si schierò nelle file della Destra. Nel 1862 ebbe il comando di una divisione attiva in Sicilia. Nel 1863 gli fu affidato il comando della divisione militare di Bologna. In quell’anno pubblicò un opuscolo ‘tecnico’, Questioni militari, presso la tipografia di G. Monti di Bologna e nel 1864 fu promosso luogotenente generale.
Morì a Bologna il 5 marzo 1865.
Fonti e Bibl.: Lettere, documenti, incisioni, fotografie di Ferdinando Augusto Pinelli sono conservate fra le Carte Pier Dionigi Pinelli del Museo nazionale del Risorgimento di Torino e in diversi fondi dell’Archivio dell’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma (http://www. risorgimento.it/php/page_gen.php?id_sezione=3&id_menu_sx=15, 10 giugno 2015). Inoltre: Epistolario di Urbano Rattazzi, a cura di R. Roccia, II, Torino 2013, pp. 269 s., 310; P. Bosi, Il soldato italiano istrutto nei fasti militari della sua patria, Torino 1870, pp. 456 s.; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e d’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma 1880, p. 663; L. Franzoni Gamberini, La morte del conte di Cavour in una corrispondenza fra Camillo Casarini e F. P. (giugno 1861), in Strenna storica bolognese, XI (1961), pp. 226-241; C. Pischedda, Problemi dell’unificazione italiana, Modena 1963, pp. 39 s., 74 s., 90; P. Del Negro, Guerra e politica nel Risorgimento. La ‘Storia militare del Piemonte’ di F. A. P., in Rivista storica italiana, XCVIII (1986), 1, pp. 221-244; T. Galanti, Dagli Sciaboloni ai Piccioni. Il brigantaggio politico nella Marca pontificia ascolana dal 1798 al 1865, Roma 1990, ad ind.; A.L. Cardoza, Patrizi in un mondo plebeo. La nobiltà piemontese nell’Italia liberale, Roma 1997, pp. 27 s.; P. Bianchi, Onore e mestiere. Le riforme militari nel Piemonte del Settecento, Torino 2002, pp. 13, 110, 140; T.A. Stipa, La polemica politica ascolana dall’unità d’Italia alla grande guerra attraverso le cronache della stampa locale con qualche divagazione, Ascoli Piceno 2004, pp. 20-22; L. Ceva, Teatri di guerra. Comandi, soldati e scrittori nei conflitti europei, Milano 2005, pp. 24, 51; R. Vieta, Il magistrato Ludovico Antonio Maria Pinelli, tesi di laurea, relatore A. Lupano, Scienze della formazione, Università di Torino, a.a. 2009-10; S. Lupo, L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile, Roma 2011, pp. 107 s.; P. Bianchi, Sotto diverse bandiere. L’internazionale militare nello Stato sabaudo d’antico regime, Milano 2012, pp. 9-11, 44, 65, 127 s.; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/ deputato/augusto-ferdinando-pinelli-18101231?reloaded#nav (27 luglio 2015).