FERDINANDO da Bologna (Dal Buono, Vincenzo)
Nacque a Bologna nella parrocchia di S. Martino l'8 giugno 1704, da Domenico Dal Buono e da Cecilia Maria Albertini, e fu battezzato col nome di Vincenzo. Iniziò giovanissimo lo studio del disegno e fu alla scuola di pittura decorativa e scenografica di Ferdinando Galli Bibiena, di cui divenne uno degli allievi più apprezzati. Probabilmente su indicazione del maestro il giovane venne assunto come scenografo dall'impresario Antonio Denzio per mettere in scena al teatro Špork di Praga, tra il 1725 e il 1729, una serie di opere, tra le quali si ricordano il Venceslao di G. Boniventi e La tirannia gastigata di A. Vivaldi (Kneidl, 1966, p. 19). Dopo avere trascorso a Praga quattro anni di intensa attività come scenografo, sempre gratificato del titolo di "allievo dell'insigne sig. Ferdinando Bibiena", nel 1729, rientrato in patria, decise di farsi religioso laico cappuccino. Il 7 sett. 1729, nel convento di Cesena, sede del noviziato dei cappuccini della provincia di Bologna e Romagna, vestì l'abito francescano assumendo il nome di fra' Ferdinando in omaggio al suo maestro Ferdinando Galli Bibiena. Dopo avere pronunciato la professione nel 1730 rimase ancora diversi anni nel convento di Cesena, dove, come fratello laico, iniziò subito a lavorare, per volontà sua e dei superiori, come pittore.
Di questi primi lavori cesenati non resta nulla: si sa tuttavia che dipinse la cappellina dell'orto con Gesù nell'orto (1734), uno "scenario per il presepio" e imprecisati lavori per un medico, il quale lo ricompensò con un dono per il convento, consistente in ventiquattro pezzi di maiolica faentina. L'opera più notevole compiuta a Cesena, nel 1735, dovette essere comunque il complesso apparato del sepolcro, che egli realizzò come uno scenario smontabile e ricomponibile secondo un preciso schema da lui approntato.
Verso la fine del 1740 il pittore fu richiesto a Ferrara dal neo arcivescovo Bonaventura Barberini, anch'egli cappuccino, per decorare la volta di una galleria nell'episcopio: la decorazione, ancora visibile, fu condotta per la quadratura prospettica da F. e per le figure allegoriche dall'altro celebre pittore cappuccino fra' Stefano da Carpi tra gli anni 1740-42.
Dal 1742 il frate pittore si fermò nel convento cappuccino del Monte Calvario di Bologna, dal quale dovette spostarsi frequentemente per attendere in diversi luoghi a impegni di lavoro, col permesso dei superiori o per obbedienza. Nel 1747, dopo avere decorato alcuni ambienti del suo convento bolognese, attese insieme con Vittorio Bigari alla realizzazione del grandioso ornato della chiesa cappuccina in occasione della canonizzazione dei santi Fedele da Sigmaringa e Giuseppe da Leonessa. Nel 1753 iniziò a dipingere le tre grandi tempere su tela per la sagrestia del Carmine di Medicina (Bologna), opere che rimangono fra i brani più elevati della sua pittura scenografica, ricchi di invenzioni e di richiami bibieneschi, cui le figure - episodi della vita del beato Franco - eseguite più tardi da Nicola Bertuzzi aggiungono straordinaria vivacità. F. rimase particolarmente legato ai carmelitani di Medicina: nel 1764 dipinse ancora per il loro convento "una prospettiva" nel chiostro, nel 1770 allestì un sepolcro raffigurante "un tempio solenne con colonne" e nel 1776 completò il ciclo delle tempere con altre cinque tele, nelle quali dipinse pure le figure, per gli ornati dell'atrio della sagrestia.
Dal 1755 al '57 F. dimorò nel convento di Modigliana certamente dietro richiesta del guardiano padre Fedele da Castel San Pietro. Qui, oltre ad eseguire un disegno panoramico della città di Modigliana per un'incisione, fu indirizzato alla pittura devozionale, realizzando quattordici immagini per la Via Crucis e diversi ritratti di religiosi: lavori, specie quelli della Via Crucis, condotti con vivacità di colorito e di pennellata, ma tradotti dal repertorio iconografico tradizionale con fare molto incerto. Nel 1767, intervenne come decoratore di quadratura nella villa Paolucci di Selbagnone, presso Forlimpopoli, decorando la volta del salone centrale - le figure sono di G. Marchetti - e le pareti della cappellina interna.
A Castel San Pietro, presso il convento cappuccino dove certamente soggiornò intorno al 1759, il pittore lasciò tre quadri ad olio di medio formato, raffiguranti S. Chiara, S. Margherita e S. Felice da Cantalice, che, insieme con i quattro Arcangeli conservati presso il convento di Budrio a lui attribuiti, rappresentano i lavori di figura più interessanti della sua produzione. Intorno agli anni 1771 e seguenti F. si trovava nel convento di Castel Bolognese, dove dipingeva diverse tempere prospettiche con figurine e ornati per le ancone della chiesa: più tardi (1777) preparò una grande "macchina" per le solennità straordinarie composta di quaranta "telari".
Le richieste di suoi lavori da parte di ecclesiastici furono pressoché continue: per l'episcopio di Imola dipinse due sale, nel 1763 per conto del cardinale legato di Ravenna decorò alcune volte del palazzo legatizio - anche queste scomparse - ed eseguì paliotti per la chiesa cappuccina di Mirandola (1773). I gravi impegni di lavoro, gli incarichi ricoperti all'interno dell'Ordine (fu nominato numerose volte "fabbriciere", sovrintendente per le costruzioni) e l'incipiente malattia a una gamba lo costrinsero a declinare varie richieste, quali la decorazione del Palazzo Oddi di Perugia, e a chiedere ai superiori di non obbligarlo per obbedienza a dipingere per secolari.
Per il convento di Bologna, al quale era assegnato e nel quale rimase stabile specie negli ultimi anni, F. eseguì una lunga serie di lavori di decorazione (tutti scomparsi in seguito alla soppressione del 1805), tra i quali spiccavano gli apparati scenici: quello citato del 1747, il neatro" per il sepolcro nel 1763 e, in occasione della canonizzazione di fra' Bernardo da Corleone, l'addobbo della chiesa e dell'atrio eseguito, secondo la tradizione cappuccina del tempo, con paglia, carta e cereali (1768).
Tali opere testimoniano la spiccata e mai interrotta dipendenza bibienesca di F., il quale fu per tutta la vita tra i più attivi diffusori nell'Emilia e soprattutto nella Romagna della cultura decorativo-scenografica bolognese, tradotta in termini sapientemente popolari e posta al servizio della religiosità settecentesca.
F. mori l'8 dic. 1784 nel suo convento di Bologna, dove era considerato. oltre che un eccellente pittore, un religioso di vita francescana esemplare.
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. provinciale cappuccini, Classe I, serie 8, Vestizioni fatte in Cesena, V, f. 293; Ibid., Professioni fatte in Cesena, VII, f. 248; Ibid., CI. I, serie 7, fasc. I, Necrologium Capucconorum Bononiensis provinciae, alla data 8 dic. 1784; Ibid., Campione dei conventi citati; Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B132: M. Oretti, Notizie de' professori del disegno cioè pittori... bolognesi, c. 89; Medicina, Arch. parrocchiale: E. Gasperini, Diario, 9 ag. 1754, 29 sett. 1755, 12 apr. 1770; Raccolta E. Curti, A. Morelli, Notizie spettanti al conv. epp. carmelitani di Medicina, cc. 22 s.; G. Zucchini, Paesaggi e rovine nella pittura bolognese del Settecento, Bologna 1947, pp. 1 s.; Donato da San Giovanni in Persiceto, Fra' F. da B., in Strenna storica bolognese, IV (1954), pp. 18-24; Id., Iconventi dei frati minori cappuccini della provincia di Bologna, I-III, Faenza 1956-59, passim;G. Zucchini, Ilpittore Nicola Bertuzzi detto L'Anconitano, Urbino 1955, p. 8; P. Kneidl, Libreta italské opery v Praze v 18 století (Libretti d'opera ital.), I, Rvenik 1966, pp. 19, 97-131; M. Frarnonti, GliIncamminati. Accademia scientifica letteraria, Modigliana 1970, p. 47; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800, Bologna 1977, pp. 209, 257; R. Russo, Catal. delle opere e Regesto cronologico, in Fra' Stefano da Carpi, Reggio Emilia 1979, pp. 29 s., 38; M. C. Gori, La villa Paolucci Merlini a Selbagnone, in Romagna arte e storia, 1982, 5, pp. 79, 81 s., 87; L. Samoggia, Fra F. da B. "quadraturista", ibid. (1983), 7, pp. 79-98; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 232 (s.v. Buono, Vincenzo dal).