MEDICI, Ferdinando de’
– Nacque a Firenze il 9 ag. 1663, figlio primogenito di Cosimo (dal 1670 granduca Cosimo III) e di Margherita Luisa d’Orléans, figlia di Gastone, duca di Orléans e fratello di Luigi XIII re di Francia; dal matrimonio nacquero anche Anna Maria Luisa (11 ag. 1667) e Gian Gastone (24 maggio 1671).
I burrascosi rapporti tra i genitori non impedirono che al M., primogenito destinato alla successione, ma anche ai fratelli, fosse impartita un’educazione accuratissima e raffinata, nella quale ebbero un ruolo preminente il padre e la nonna, Vittoria Della Rovere, che esercitò sempre una marcata influenza su Cosimo III.
Così, nell’istruzione del M., affidata al marchese Luca Albizzi, svolsero una funzione fondamentale alcuni ecclesiastici, il barnabita Giacomo Antonio Morigia, arcivescovo di Firenze e poi cardinale, teologo di Cosimo, che curò l’istruzione letteraria del M.; il canonico Giovanni Guerrini, per la matematica; il padre veronese Enrico Noris, poi custode della Biblioteca Vaticana e cardinale, per l’antiquaria. Accanto a questi spiccano i nomi di scienziati come Vincenzo Viviani, allievo di G. Galilei, e Francesco Redi, per la fisica e le scienze naturali. La cultura scientifica del M. fu successivamente apprezzata da G.W. Leibnitz, che lo conobbe personalmente e intrattenne con lui uno scambio epistolare.
Nell’educazione del M. particolare cura sembra fosse dedicata allo studio delle lingue, fra cui il tedesco; l’importanza che Cosimo dava alla conoscenza delle lingue è del resto testimoniata dal fatto che nella sua corte erano impiegati stabilmente segretari specializzati nelle varie lingue. Il M. mostrò fin da ragazzo una grande vivacità intellettuale, applicandosi con passione, oltre alle comuni attività fisiche come l’equitazione e la caccia, anche alle arti e alla musica. Per quest’ultima, come per la pittura e il teatro, ebbe una vera propensione; effettuò studi approfonditi, si impadronì della tecnica del contrappunto e divenne un abile suonatore di clavicembalo.
Sia nell’aspetto sia nel tipo di sensibilità e nel carattere il M. somigliava più alla madre che a Cosimo, con il quale entrò fin da giovane in urto, per motivi di condotta personale e di spese. Inoltre, il M. era del tutto alieno dalla esasperata devozione religiosa del padre, e ancora meno tollerava il ruolo preponderante accordato agli ecclesiastici nella vita di corte e nella società. Per la madre invece, dalla quale aveva ereditato «un guizzo di irrequietezza, di amore per l’avventura e la novità» (Chiarini, in Gli ultimi Medici. Il tardo barocco…, p. 156), mostrò costante affetto rimanendo in contatto epistolare con lei anche dopo il suo ritorno in Francia, nel 1675.
Un episodio illustra a un tempo il persistere di questi rapporti e lo stato di conflitto permanente tra Cosimo e Margherita Luisa anche dopo la partenza di quest’ultima: la condanna a vent’anni di reclusione nella rocca di Volterra toccata nel 1681 ai fratelli Stefano e Lorenzo Lorenzini, insegnanti di matematica del M., rei di avere informato, su espresso ordine di quest’ultimo, Margherita Luisa della grave malattia che aveva colpito il granduca, alimentando in lei la speranza di poter tornare a Firenze come granduchessa, una volta deceduto l’odiato consorte.
Ben più che con i fratelli, il M. ebbe un rapporto di costante intesa con lo zio paterno (divenuto nel 1686 cardinale), il gaudente e spensierato Francesco Maria, di soli tre anni più anziano di lui, che teneva una corte personale dedita a feste e spettacoli nella sua villa di Lappeggi, nei dintorni di Firenze. Anche dopo il raggiungimento della maggiore età, pur entrato a far parte del Consiglio aulico, formato da membri della famiglia granducale ed esponenti della più distinta nobiltà, al M. non fu mai concesso da Cosimo – estremamente geloso delle proprie prerogative – di esercitare un ruolo politico nel governo dello Stato. Ciò accentuò la sua insofferenza nei confronti del padre e lo portò a seguire ancora di più la propria inclinazione per un’esistenza dedita ai piaceri mondani, al mecenatismo e al collezionismo artistico.
Attorno alla metà degli anni Ottanta, rispondendo di malavoglia alle sollecitazioni del padre, ansioso di assicurare una discendenza alla casata, il M. acconsentì a prendere in esame i possibili partiti matrimoniali. Chiese però di poter effettuare prima dell’eventuale matrimonio un viaggio a Venezia, desiderato da tempo e già negatogli due anni prima dal padre.
Una iniziale ipotesi di matrimonio, caldeggiata anche da Luigi XIV, riguardava l’infanta Maria Isabella, figlia di Pedro II re del Portogallo. Essa, però, comportava clausole tali – in particolare l’obbligo per il M. di trasferirsi stabilmente a Lisbona, rinunciando ai suoi diritti sul Granducato – da essere rifiutata con decisione dal M., malgrado le insistenze del sovrano francese, desideroso di sistemare l’infanta, che in mancanza di fratelli maschi avrebbe potuto, in base alle leggi portoghesi, ascendere al trono.
Ancora con la mediazione autorevole di Luigi XIV andò invece in porto il matrimonio con la principessa Violante di Baviera, sorella di Maria Anna, moglie di Luigi, gran delfino di Francia. Un’unione tutt’altro che di ripiego, in quanto assicurava al Granducato l’alleanza con uno dei maggiori Stati della Germania e il rinsaldamento ulteriore dei rapporti con i Borbone di Francia. Mentre erano ancora in definizione le complesse clausole matrimoniali, nel 1687 il M., accompagnato dal marchese Luca Albizzi, partì per Venezia, dove fu ricevuto con grandi onori dal Senato e dalla nobiltà, e si tuffò nelle feste e nei piaceri offerti dalla città.
In nessun conto naturalmente furono tenute dal M. le severe raccomandazioni impartitegli per iscritto dal padre prima della partenza: in esse Cosimo III, che disapprovava il viaggio e ben conosceva la tendenza alla sregolatezza del figlio, lo esortava, «quando si troverà libero a Venezia, ad astenersi dai divertimenti proibiti dalla legge divina» e inadatti «alla condizione di un principe», evitando di intrattenere rapporti con «musici e commedianti» e «cortigiane», e in particolare di frequentare il duca di Mantova, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, la cui condotta a Venezia era considerata disonorevole per un nobile del suo rango (Acton, p. 160).
Il viaggio a Venezia (cui seguì un secondo, alla metà degli anni Novanta) fu di fondamentale importanza per orientare e affinare i gusti artistici del M., mettendolo in contatto con le ultime tendenze in campo pittorico, teatrale e musicale, e permettendogli di stringere rapporti con gli ambienti artistici veneziani, proseguiti negli anni successivi con incisive conseguenze sulle sue iniziative di committente e mecenate.
Stabilito l’accordo sulle ultime clausole, il contratto di matrimonio tra il M. e Violante fu firmato a Monaco di Baviera il 24 maggio 1688. Nell’ossessivo ricordo dei problemi che gli aveva procurato il seguito francese di sua moglie Margherita Luisa, Cosimo aveva anche preteso che la nuora non portasse con sé dalla Germania dame né personale di servizio, a eccezione di una ragazza e due fanciulli turchi che la principessa aveva fatto convertire al cattolicesimo. Dopo la celebrazione del matrimonio per procura, la sposa partì da Monaco alla fine di novembre; a Bologna le venne incontro il fratello minore del M., Gian Gastone, e insieme proseguirono alla volta di Firenze, nelle cui vicinanze avvenne, negli ultimi giorni di dicembre, l’incontro con lo sposo e la famiglia granducale. Il 9 genn. 1689, dopo l’ingresso solenne a Firenze, fu celebrata la cerimonia di incoronazione ufficiale, cui seguirono i festeggiamenti di rito. Se la giovane Violante – all’epoca non ancora sedicenne, e certo non bella – incontrò da subito la completa approvazione del suocero, che ne apprezzò la sincera religiosità e il carattere dolce e remissivo, all’opposto non piacque al M., che anche in seguito mantenne verso di lei un atteggiamento di distaccata indifferenza, al di là delle forme alle quali lo costringeva l’etichetta.
Violante rimase sempre devota e legata al marito, malgrado le angustie provocate dalle abitudini sregolate di lui. Seppe farsi amare dal popolo e, a differenza della suocera francese, ebbe un vero attaccamento per la Toscana, tanto da rimanervi anche dopo essere rimasta vedova, fino alla morte (1731).
Il matrimonio tra il M. e Violante rimase sterile, tanto da indurre il granduca Cosimo III, sempre più preoccupato per le sorti della dinastia, a far sposare anche il figlio minore, Gian Gastone (1697). Si trattò di un altro matrimonio infelice, al quale seguì, nel 1709, l’estremo e inutile tentativo di dare un erede alla casata medicea mediante le nozze dello zio del M., il cardinale Francesco Maria, con la giovane Eleonora Gonzaga di Guastalla.
A quell’epoca lo stato di salute del M., da molto tempo compromesso (sembra che dal secondo viaggio a Venezia avesse portato con sé, oltre a una nota e reputata cantante lirica, anche la sifilide), si stava aggravando in modo definitivo. Ne è prova il fatto che il re Federico di Danimarca e Norvegia, in visita a Firenze nel 1709, non poté incontrarlo.
Il M. morì a Firenze il 31 ott. 1713, «dopo una lunga infermità di quattro anni compiti, miserabile per gli accidenti che di tempo in tempo [lo] sorprendevano» (Relazione dell’ultima infermità, morte, funerale…del ser. principe F., Firenze 1713, cit. in Pieraccini, p. 729), assistito fino all’ultimo dalla premurosa Violante. La resa del M. di fronte alla malattia è drammaticamente testimoniata dalle lettere dei corrispondenti, che dall’ottobre 1710 continuarono ad accatastarsi nella segreteria senza ricevere risposta e senza essere neppure aperte se non dopo la sua morte.
Il M. fu l’ultimo grande mecenate e collezionista della casata medicea. Gli storici sono concordi nel riconoscergli un profilo intellettuale di spessore, tale da garantirgli un ruolo preminente in campo artistico e culturale, non solo nel contesto toscano ma anche in quello europeo.
Già i primi artisti stipendiati dal M. a partire dal 1681 – come lo scultore e intagliatore tedesco Balthasar Permoser e il pittore olandese Livio Mehus – fanno percepire l’ampio orizzonte del suo mecenatismo; tuttavia egli non trascurò i giovani talenti fiorentini che si erano formati all’Accademia Medicea di Roma, con alcuni dei quali mantenne stretti rapporti: anzitutto Giovanni Battista Foggini, impegnato a tutto campo nelle iniziative artistiche del M., dalle risistemazioni e decorazioni di palazzo Pitti e delle altre ville, alla regia di feste e spettacoli, agli interventi di assetto urbanistico di Livorno, città particolarmente amata dal M., che vi soggiornò a lungo; inoltre, Anton Domenico Gabbiani, impiegato nelle decorazioni pittoriche delle sue residenze, e Massimiliano Soldani Benzi, scultore di straordinaria finezza che lavorò con continuità per il M., realizzando gruppi scultorei, rilievi, vasi, medaglie. Questi artisti, al pari di molti altri che incontravano il gradimento del M., oltre a produrre opere per le sue collezioni – famosi il «gabinetto d’opera in piccolo» (Strocchi, 1996, p. 30) e l’alta qualità delle nature morte –, presero parte, insieme con i migliori artigiani (mobilieri, intagliatori, doratori, intarsiatori ecc.) fiorentini e forestieri, ai grandi lavori di rinnovamento delle dimore granducali come Pratolino, Poggio a Caiano e, in previsione del matrimonio con Violante di Baviera, degli appartamenti del M. in palazzo Pitti. Il M. non trascurò nelle sue collezioni le opere della grande tradizione rinascimentale, fiorentina (sono note le spoliazioni di dipinti effettuate in chiese toscane, sostituiti con copie di buona qualità) e non solo (attraverso una strategia di acquisti che portò a Firenze grandi capolavori, come la famosa Madonna dal collo lungo di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino). Il suo modo innovativo di intendere il collezionismo traspare anche da un’iniziativa da lui voluta: la prima esposizione pubblica di opere d’arte a Firenze, che si tenne nel 1705 nel chiostro della Ss. Annunziata.
Quanto fossero distanti il carattere e la sensibilità del M. da quelli del padre lo si può valutare anche sul metro dei rispettivi gusti nel campo delle arti figurative. Mentre Cosimo guardava a Roma – dove aveva fondato un’accademia per farvi studiare i giovani artisti fiorentini sotto la guida di Ciro Ferri – e prediligeva il pittore Carlo Dolci, specialista in soggetti di tipo religioso e devozionale, e il naturalismo macabro dello scultore in cera siciliano Gaetano Zumbo, il M. ebbe come principale riferimento artistico Venezia, manifestando un apprezzamento ante litteram per «l’abbozzo, la pennellata vivace incompiuta, che avrebbe avuto tanta importanza nell’arte settecentesca» (Haskell, cit. in Acton, p. 16).
Nel secondo viaggio a Venezia approfondì il rapporto con il pittore Nicolò Cassana, che già dal 1691 era suo agente e consulente artistico nella città lagunare. Cassana dipinse per il M. numerose opere e soggiornò più volte come suo ospite a Firenze. Di grande interesse il carteggio tra i due, non solo per definire il gusto artistico del M., ma anche per il tono diretto e informale adottato nelle lettere. L’altro principale artista di riferimento per il M. a Venezia fu Sebastiano Ricci che, chiamato a Firenze nel 1706-07, affrescò in modo innovativo e anticipatore del gusto rococò diversi locali degli appartamenti a palazzo Pitti e Poggio a Caiano.
Nell’ultima fase della sua vita il gusto e l’eccezionale fiuto artistico del M. sono ben espressi, oltre che dall’apprezzamento per la pittura di genere del genovese Alessandro Magnasco e il vedutismo dell’olandese Gaspar van Wittel (Vanvitelli), soprattutto dal rapporto intenso con Giuseppe Maria Crespi, il grande pittore bolognese, del quale il M. riconobbe immediatamente la novità di espressione, apprezzandone entusiasticamente «la pennellata sciolta, la maniera più pittorica e vivace», il tocco e l’ispirazione personale (Fasto di corte…, p. 193). Crespi, che soggiornò a Pratolino con la moglie e i figli, dipinse per il M. alcuni capolavori di genere, come la fiera di Poggio a Caiano e lo straordinario autoritratto con famiglia, destinato alla galleria di palazzo Pitti dedicata a questo particolare genere. La morte del M. pose fine a un momento particolarmente intenso, per attività, produttività e rinnovamento, dell’arte e della cultura a Firenze.
Non meno importante fu l’interesse per la musica, il teatro, le feste. Scenario privilegiato di queste rappresentazioni fu, dai primi anni Ottanta, la villa di Pratolino nei dintorni di Firenze, della quale il M. era entrato in possesso non ancora maggiorenne. Dopo il suo primo viaggio a Venezia vi fece costruire un moderno teatro su progetto di Antonio Maria Ferri, soprintendendo direttamente alla costruzione. Al M. si deve anche la completa ristrutturazione del teatro della Pergola a Firenze, per la quale si avvalse di maestranze fatte arrivare dal Veneto. Per mezzo di un’estesa rete di corrispondenti, assoldò nel corso del tempo una corte di musicisti, librettisti, scenografi e cantanti, alcuni dei quali immortalati insieme con lui nei dipinti di Gabbiani. Avvalendosi della sua competenza in campo musicale, impartì direttive ai musicisti circa lo stile delle loro composizioni e collaborò strettamente con i librettisti e gli scenografi per la messa a punto e la rappresentazione delle opere. Dal 1689 ebbe stretti rapporti, documentati dalla reciproca corrispondenza, con Alessandro Scarlatti, che compose almeno cinque opere per il teatro di Pratolino; lavorarono inoltre per lui anche Giacomo Antonio Perti, Bernardo Pasquini e, forse, Georg Friedrich Händel. Un capitolo a sé è quello dei rapporti del M. con l’inventore del pianoforte, il padovano Bartolomeo Cristofori, che dal 1689 fu stabilmente al suo servizio come cembalaro e accordatore. La prima descrizione conosciuta del neonato strumento si trova proprio in un inventario della grande collezione di strumenti del M. dell’anno 1700 (Il Museo degli strumenti musicali…).
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F. Martelli
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