FERRI, Ferdinando
Nacque a Napoli il 5 sett. 1767 da Filippo, proprietario e magistrato della r. udienza di Salerno, e da Maria Ruffina De Maffutiis, originaria di Auletta.
La sua famiglia, di origine normanna, nelle ultime generazioni si era dedicata frequentemente alla magistratura e alla carriera forense, ramo in cui si distinsero anche gli zii paterni Leonzio e Gaetano. Magistrato era egualmente il nonno materno, Gerardo De Maffutiis, grande proprietario in Auletta. Leonzio Ferri esercitò l'attività legale soprattutto negli anni Ottanta del Settecento, fu più volte difensore della Città di Napoli contro altre Università, come Aversa, e di organi cittadini particolari, come il Regio Portolano, sempre per cause di grande rilievo. Morto Leonzio nel 1787, Gaetano ne raccolse ed estese l'attività, anche se probabilmente fu un altro Gaetano, nipote di Leonzio e fratello del F., colui che in quegli anni, fino alla morte prematura avvenuta nel 1811, esercitò l'attività di avvocato, fu giudice nel tribunale di prima istanza della provincia di Napoli nel 1808 e vicepresidente dello stesso tribunale nel 1809; alla sua protezione il De Nicola (Diario napoletano, I,p. 552) attribuisce la carriera dello stesso Ferri. Anche un altro fratello era stimato giureconsulto.
Il F. seguì la tradizione familiare con la nomina, avvenuta il 6 dic. 1797, ad uditore della provincia dell'Aquila ed assessore di quel preside. Venuto a Napoli alla fine del 1798, fu deputato del quartiere della Vicaria e si convertì alla Repubblica; fu giacobino, forse per influenza "del suo maestro, già poeta di corte e fervido repubblicano, Luigi Serio" (Croce, p. 133). Su di lui tuttavia pesavano le accuse di essere stato fra le spie dell'inquisizione di Stato nel passato governo, insieme col fratello Gaetano e con altri, per cui fu zelante sia nel cercare di ottenere le dichiarazioni del ministero di Polizia sulla propria innocenza sia nel farsi notare in manifestazioni pubbliche inneggianti alla libertà, come nel caso del battaglione dei "volontari della morte" citato dall'Ayala e dal Dumas (notizie, queste ultime, ritenute "fantastiche" dal Croce, ibid.).
Probabilmente alla stessa motivazione di acquistare credibilità nell'ambiente repubblicano è da riportare il suo contributo nel far scoprire la congiura antigiacobina di Gennaro e Gerardo Baccher nell'aprile del 1799.
Per tale adesione alla Repubblica, col ritorno dei Borboni, nell'infuriare della reazione scontò otto mesi di carcere, quindi peregrinò per due anni circa in esilio (dal 24 apr. 1800 al dicembre 1801) fra Marsiglia, Genova, Livorno, Firenze, Roma. Rientrò infine a Napoli, con l'intento di ritirarsi a vita privata, ma A-F. Miot, ministro dell'Interno all'inizio del "decennio" francese, gli affidò l'intendenza di Bari che egli rifiutò, forse per non allontanarsi dalla capitale; accettò invece la nomina a sottointendente di Pozzuoli con decreto 22 ag. 1806. Riconfermato il 22 nov. 1807, rimase in tale carica per undici anni, durante i regni di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat e nei primi anni della Restaurazione. Dopo la nomina a sottointendente gli furono affidate, con decreto 9 giugno 1807, le funzioni di commissario generale di polizia delle isole e del golfo, che esercitò senza alcun compenso fino al 1813 allorché la Polizia del distretto fu unita all'intendenza. Con decreto 13 febbr. 1814 fu nominato commissario regio incaricato di prendere possesso del Principato di Pontecorvo, aggregato a Terra di Lavoro.
Confermato nella carica di sottointendente dai Borboni con decreto 19 marzo 1817, dal momento che il sovrano Ferdinando I aveva promesso di non perseguitare quanti si erano compromessi coi Napoleonidi, usufruì della disposizione che gli impiegati rimanessero al loro posto e della politica dell'"amalgama" sostenuta da L. Medici. Con la adesione al governo borbonico si allontanò sempre più dagli atteggiamenti democratici giovanili per cui il suo curriculum può considerarsi tipico, per motivi sia generazionali sia politici, dell'evoluzioneinvoluzione di molti giacobini del 1799, che finirono per essere nella prima metà dell'Ottocento sudditi più ossequienti alla dinastia, mentre contemporaneamente una parte della borghesia formatasi nel decennio si mostrava maggiormente sensibile ad ideali di rinnovamento civile ed economico.
Il 15 luglio del 1817, all'età di 50 anni, il F. veniva nominato consigliere della Gran Corte dei conti, passando dalle dipendenze del ministero degli Interni a quelle del ministero delle Finanze, entrambi ristrutturati con legge organica del 10 genn. 1817. La promozione in tale amministrazione era stata da lui sollecitata fin dal 1814, dopo la morte della madre e del fratello Gaetano, adducendo motivi di salute che non gli consentivano di continuare una carriera destinata a proseguire lontano dalla capitale; la sua richiesta era stata in questa circostanza appoggiata dal ministro dell'Interno G. Zurlo, che aveva attestato l'onestà e lo zelo del Ferri.
Dal 1818 al 1822 partecipò come decurione all'amministrazione della città di Napoli. Nella Gran Corte dei conti continuò la sua carriera: non coinvolto nelle epurazioni successive ai moti del 1820-21, il 15 dic. 1828 venne infatti nominato avvocato generale, quindi con decreto 31 genn. 1832 vicepresidente. Ebbe contemporaneamente in tale periodo, tra le altre cariche, quelle di agente interino del contenzioso della Tesoreria generale e di sovrintendente alle prigioni di Napoli; quando nel 1832 il servizio delle prigioni della capitale fu riordinato e divenne di competenza delle intendenze, in compenso dei servizi resi fu nominato commendatore del Real Ordine di Francesco I, onorificenza attribuita ai detentori delle maggiori cariche politiche, diplomatiche ed ecclesiastiche. Nel maggio del 1843 fu promosso cavaliere e gran connestabile dello stesso Ordine.
Il 1º marzo del 1824 aveva intanto sposato, quasi cinquantasettenne, donna Chiara Peñalver, gentildonna spagnola; da lei ebbe cinque figli, di cui quattro maschi.
Il 9 luglio 1839 il F., già vicepresidente col grado di presidente (titolo di cui godeva dal 1832; cfr. Nicolini, p.C) della Gran Corte dei conti, veniva elevato al rango di presidente. Per effetto del decreto 2 apr. 1841 assumeva interinalmente la direzione del ministero delle Finanze e, con decreto 16 agosto, era nominato ministro delle Finanze con l'annuo soldo di ducati 6.000, al posto del defunto G. D'Andrea.
Un giudizio totalmente negativo sull'uomo e sull'attività svolta come ministro fu espresso dal Settembrini nel 1847 in Una protesta del popolo del Regno delle Due Sicilie (p.18): "...antico liberale del 1799, ha vergogna di essere ricordato per tale da' suoi primi amici e non si vergogna di rappresentare il ministro delle Finanze; stupido e birbone, egli vien chiedendo di tanto in tanto la sua dimissione, ed invece ottiene dal munificentissimo principe nuovi doni e concessioni". Ritenendolo "ancora più stupido e più reo" del D'Andrea per l'incapacità di entrambi di migliorare il pessimo stato delle finanze regnicole, aggiungeva: "...ritarda quanto più può i pagamenti; pare che si cavi dall'animo il danaro che deve dare altrui; risparmia quanto più può, per fare un grosso regalo al re: il quale, alla fine dell'anno 1846 gli ha dato un dono di diecimila ducati, premiandolo della buona amministrazione" (p. 38). Settembrini criticava ancora le misure finanziarie prese dal re e dal F., in particolare le modalità della politica per l'estinzione del debito pubblico, dell'utilizzazione del danaro dei privati deposto nel Banco, le moltiplicazioni delle convenzioni dei prestiti e varie disposizioni che costringevano i "negozianti" a ricorrere all'usura dei privati ed ai Rothschild, consentendo a questi ultimi di speculare nel prendere il danaro alla Cassa di sconto al 3 e nel ridarlo al 5, 6, 7. Il F. per ovviare non al dannoso sistema ma al minore introito statale aveva quindi provocato il fallimento e la miseria di molti operatori commerciali, "ha spento il credito pubblico, ha tagliato i nervi al commercio, ha scuorata, avvilita, ammiserita tutta la nazione ... Il ministero delle finanze non è altro che una grande officina di ladronerie" (pp. 39 s.). Tale situazione non era attribuibile naturalmente solo all'azione del F., ma era la conseguenza di una politica finanziaria che aveva frenato gli investimenti, basandosi su una tariffa doganale protezionistica, nonostante le ripetute lamentele della borghesia provinciale, e l'attivismo dei primi anni del regno di Ferdinando II.
Gli fu concesso il ritiro, da lui più volte sollecitato per motivi di salute e di età, con decreto 11 nov. 1847; fu allora destinato nuovamente a presidente della Gran Corte dei conti, mentre era nominato al suo posto come ministro G. Fortunato.
Il 13 marzo 1848 il F. si ritirò definitivamente dalla vita pubblica. Morì a Napoli l'11 febbr. 1857 e fu sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa della Pietà dei Turchini nella stessa città.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Catasto onciario di Auletta, ff. 4230 s.; Ibid., Stato civile di Napoli, f.266; Ibid., Assienti, ff. 4, 7, 21, 182, 189, 211, 221; Ibid., Archivio Borbone, ff. 810, 853, 855, 856; Ibid., Ministero Interno, I inventario, f. 2; Ibid., ibid., II inventario, ff. 2197, 4639, 5037 s.; Ibid., Ministero della Presidenza, ff. 403, 410, 460; Ibid., Ministero Finanze, ff. 9013, 9428; Ibid., Mss. Serra, II, f. 576; Almanacco reale, 1810-1813, 1818-1820, 1828-1830, 1832-1836, 1839-1845; Roma, Archivio privato Ferri: Collezione degli editti, determinazioni, decreti e leggi di S. M. da 15 febbraio a' 31 dicembre 1806, poi Bollettino delle leggi del Regno di Napoli; M. d'Ayala, Vite dei più celebri capitani e soldati napoletani, Napoli 1843, p. 235; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, Napoli 1906, I, pp. 47, 552; III, p. 124; L. Settembrini, Una protesta del popolo del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1847, pp. 18, 38-40; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1951, II, pp. 74 s., 124; A. Dumas, I Borboni di Napoli, Napoli 1969, V, pp. 136-139; B. Croce, Luisa Sanfelice e la congiura dei Baccher, Trani 1888; Id., La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1968, pp. 133, 140 n., 153 s., 168, 169 n., 177 s.; L. Conforti, Napoli nel 1799, Napoli 1899, pp. 261 s.; A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie. Nuovi documenti, Palermo 1901, passim; F. Nicolini, Nicola Nicolini e gli studi giuridici nella prima metà del sec. XIX, Napoli 1907, p. C n.; A. Cutolo, Ildecurionato di Napoli 1807-1861, Napoli 1932, pp. 142-145; N. Ostuni, Iniziativa privata e ferrovie nel Regno delle Due Sicilie, Napoli 1980, p. 134; A. M. Rao, La Repubblica napoletana del 1799, in Storia del Mezzogiorno, Roma-Napoli 1987, pp. 488 s.; A. Scirocco, ibid., pp. 643-789.