FORLATI, Ferdinando
Nacque a Verona il 1° nov. 1882 da Agostino e da Silvia Rubinelli, secondogenito di tre figli, in una famiglia di orologiai. Studiò al liceo "Maffei" e, appassionato di pittura e incisione, si adeguò malvolentieri al desiderio del padre, iscrivendosi nel 1903 alla facoltà di ingegneria di Padova, dove si laureò nel 1907. Non abbandonò tuttavia gli interessi artistici, come testimonia un quaderno di suoi appunti dalle lezioni di storia dell'arte di A. Moschetti, seguite nell'ateneo padovano nel 1909-10 (Bighelli - Castelli, 1985-86, p. 185). La combinazione di competenza tecnica e di amore per l'arte troveranno uno sbocco naturale nella carriera di architetto restauratore (1910) presso le soprintendenze di nuova istituzione.
Dopo aver partecipato ai concorsi per Venezia e per Ravenna, vincendoli entrambi, nel 1910 fu nominato nel ruolo degli architetti presso la Soprintendenza ai monumenti di Venezia.
Questa, nata nel 1907 dall'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti, a lungo diretto da F. Berchet, stava vivendo sotto la guida di M. Ongaro una fase di transizione che l'avrebbe portata ad allontanarsi sempre più dalla pratica dei restauri in stile, di cui il Berchet era stato protagonista, e ad accogliere i principî di rispetto per il monumento enunciati da C. Boito. Al crollo del campanile di S. Marco nel 1902 era seguito un brusco risveglio di interesse per i temi del restauro, che per l'ufficio aveva comportato anche l'onere di una vasta verifica dello stato di conservazione di chiese e campanili nel Veneto.
In un clima ricco di stimoli e denso di urgenze, ma ancora privo di punti di riferimento, l'attività del F. dovette rivolgersi fin dall'inizio al consolidamento di celebri monumenti veneziani, come la cappella Corner in Ss. Apostoli, suo primo restauro, le chiese di S. Zaccaria, dei Ss. Giovanni e Paolo, dei Frari, il campanile di S. Francesco della Vigna, la Libreria del Sansovino (Bighelli - Castelli, 1985-86, pp. 187, 244-247). Nell'affrontare i problemi statici, fin da allora si valse con inventiva delle tecniche più aggiornate con l'obiettivo di non alterare l'aspetto e l'autenticità del monumento, un'attitudine che rimarrà costante in tutta la sua attività. Emblematico, tra questi lavori, il consolidamento delle murature slegate dei Ss. Giovanni e Paolo (1920-25) e in seguito dei Frari, ottenuto con la sovrapposizione alle catene lignee antiche di tiranti metallici collegati a cordolature in cemento armato occultate nei muri.
Durante la prima guerra mondiale venne dapprima assegnato al genio telegrafisti di Firenze, poi, nel 1916, ottenne di essere inviato come ufficiale di complemento all'ufficio Fortificazioni di Venezia, con l'incarico di predisporre la protezione delle opere d'arte del Veneto dai rischi bellici. In collaborazione con Ugo Ojetti organizzò l'inventariazione e lo spostamento dei beni mobili in depositi sicuri, mentre i monumenti più rilevanti e delicati (dalla basilica di S. Marco alle arche scaligere a Verona) vennero fortificati con incastellature lignee e protetti addossandovi sacchetti di sabbia. Per i meriti così acquisiti ricevette nel 1919 il titolo di commendatore della Corona d'Italia e rientrò in soprintendenza assumendo la direzione della sezione Monumenti. Dovette impegnarsi anzitutto nel recupero degli edifici storici danneggiati dalla guerra nell'alto Veneto, tra cui spicca quello del monastero cistercense di Follina (Treviso). A Venezia condusse in quegli anni il restauro delle chiese di S. Fosca e di S. Maria Assunta di Torcello, dove rimise in luce mosaici e strutture altomedievali, di S. Pietro Martire e Ss. Maria e Donato a Murano.
Con incarichi ad personam gli furono affidati dal ministero i restauri del palazzo ducale di Mantova (1921-23), per i quali presterà la sua consulenza fino al 1931, e del Castelvecchio di Verona (1922-26). Quest'ultimo venne recuperato, in collaborazione con A. Avena, direttore dei Civici Musei, dall'abbandono e dagli stravolgimenti subiti nel corso dell'Ottocento per essere destinato a Museo civico, con una iniziativa allora inconsueta, che trova un precedente nel restauro del Castello Sforzesco di Milano a opera di L. Beltrami (Gazzola, 1975-76, p. 7). È un lavoro che il F., come è stato notato (Di Lieto, 1994, p. 439), non citava volentieri, probabilmente per aver in parte ceduto ai vecchi criteri di restituzione in stile cui ancora l'Avena era legato e dai quali tenne poi sempre a distaccarsi.
Nel 1926 fu nominato soprintendente a Trieste come successore di G. Cirilli (le competenze della locale soprintendenza alle Opere d'antichità e d'arte comprendevano allora la Venezia Giulia e il Friuli, e coprivano i tre "rami" delle arti). Tra i primi suoi lavori fu il restauro del castello di Gorizia (1926), ove impiegò iniezioni cementizie a pressione per restituire solidità alle murature sconnesse, tecnica da lui messa a punto e a cui ricorrerà poi ampiamente. Altri restauri di quel periodo riguardarono a Trieste la basilica di S. Giusto, la chiesa di S. Silvestro, il castello; a Udine, il duomo e il castello; ad Aquileia, la basilica; a Venzone, il duomo e il palazzo comunale; a Cividale, il tempietto longobardo (Bighelli - Castelli, 1985-86, pp. 191 s., 247-255). In Istria, accanto all'impegnativo recupero della basilica eufrasiana di Parenzo, ai lavori sul duomo e la loggia a Capodistria, il castello e la loggia a Sanvincenti, la cattedrale e S. Francesco a Pola, si interessò e studiò l'architettura delle case veneziane, la cui tutela vide come indispensabile corollario della conservazione dei monumenti maggiori. A Trieste conobbe e sposò nel 1929 l'archeologa Bruna Tamaro (1894-1987), entrata in soprintendenza nel 1921.
Nel 1935 fu preposto alla sede di Venezia, da cui dipendevano anche le province di Padova, Vicenza, Rovigo, Treviso e Belluno. La sua determinazione e le sue doti tecniche valsero a evitare la demolizione, decretata anche da esperti strutturisti, della strapiombante torre degli Anziani a Padova (1939), che consolidò con il metodo delle iniezioni cementizie. Diede ancora prova delle sue capacità nel restauro della Ca' d'oro (1938), la cui pericolante facciata sul Canal Grande venne legata alle murature e ai solai con cordoli in cemento armato, mentre alcune delle esili colonnine gotiche ricevettero un'anima metallica portante all'interno (sistema che il F. aveva già impiegato a Torcello e nella loggia di Capodistria). Nel 1938 al III Convegno nazionale di storia dell'architettura a Roma, presentò un intervento, spesso richiamato negli scritti successivi, in cui precisava la sua visione del restauro, che, nel rispetto per il monumento, ammetteva l'uso delle tecniche di consolidamento più aggiornate e la contenuta presenza di opere attuali. Molti lavori vennero intrapresi anche durante la guerra, come nelle chiese padovane di S. Sofia (1945) e degli eremitani, a Venezia nel fondaco dei Tedeschi, da destinare a nuova sede delle Poste. Nel 1940 le soprintendenze dovettero mettere rapidamente in atto misure di protezione del patrimonio artistico. Il F., giovandosi anche della sua precedente esperienza, si impegnò senza sosta durante il conflitto per sottrarre le opere d'arte e i monumenti del Veneto alle bombe, agli spostamenti del fronte e ai saccheggi. Una apposita campagna di rilievi e di documentazione fotografica con riferimenti metrici, rivelatasi poi preziosa, fu condotta su tutto il territorio. Quanto poteva essere rimosso dai musei, dalle chiese, dai palazzi, protetti con sacchetti e puntelli, fu portato nei rifugi, mutati poi anche molte volte col volgere degli eventi. Oltre ai cavalli di S. Marco, alle statue equestri del Colleoni a Venezia e del Gattamelata a Padova, alle scene scamozziane del teatro Olimpico di Vicenza, il F. giunse a far rimuovere parte degli affreschi di Giotto dalla cappella degli Scrovegni di Padova, di quelli del Tiepolo dalla villa Valmarana ai Nani di Vicenza. Innumerevoli furono le opere così sottratte alla rovina dei luoghi che le ospitavano, anche se alla fine della guerra le distruzioni e le perdite risultarono ugualmente gravi. L'opera di ricostruzione nel Veneto, nella quale si impegnò subito a fondo, affrontando difficili scelte di restauro, oltre che enormi problemi organizzativi, tecnici, economici, fu documentata nelle mostre allestite a Vicenza, nella basilica palladiana, e a Treviso, e ottenne ampi riconoscimenti anche fuori dei confini italiani. Se infatti la soluzione che il F. diede ai complessi problemi di recupero dei monumenti danneggiati fu quella adottata dalla quasi totalità dei soprintendenti del tempo, e cioè la ricostruzione attraverso la paziente ricomposizione di tutto quanto poteva essere recuperato dalle macerie, accompagnata da integrazioni discrete ma comunque distinguibili, ebbero notevole risonanza le soluzioni tecniche originali da lui impiegate.
Per evitare il più possibile la demolizione e l'alterazione delle strutture antiche dissestate, mise a punto per la chiesa degli eremitani di Padova (1946-48) e applicò estesamente nel palazzo dei Trecento a Treviso (1949-52) un metodo di imbragamento e lenta trazione delle masse murarie inclinate per ricondurle alla posizione originaria. Tra i restauri più impegnativi dell'immediato dopoguerra vanno ancora ricordati: a Vicenza, la basilica palladiana (1946), la cui copertura a carena, incendiata, venne ricostruita nascondendo nelle costolature in legno un'ossatura portante in cemento armato; il duomo (1946-1953), dove i lavori di ricostruzione portarono alla luce i resti delle precedenti fasi paleocristiane e altomedievali; il palladiano arco delle Scalette (1947), ricomposto da una miriade di frammenti e il gotico palazzo da Schio. A Treviso, quasi rasa al suolo, curò il salvataggio del palazzo dei Trecento, della loggia dei Cavalieri, delle chiese di S. Maria Maggiore e S. Margherita, nonché di molte delle case medievali affrescate che costellavano il tessuto della città antica; a Padova, la dolorosa perdita degli affreschi del Mantegna nella cappella Ovetari agli eremitani fu parzialmente compensata dalla ricomposizione che l'Istituto centrale del restauro poté farne grazie alla minuziosa raccolta dei brandelli di intonaco dipinto disposta dal F. subito dopo il bombardamento.
La notorietà acquistata con i restauri del periodo postbellico, soprattutto quelli in cui perfezionò tecniche innovative, come nel palazzo dei Trecento di Treviso, valsero al F. prestigiosi incarichi anche all'estero. Fu più volte chiamato per consulenze dal Bundesdenkmalamt austriaco (1946-52); a Ochrida, nella Macedonia iugoslava, effettuò per l'UNESCO il raddrizzamento e il consolidamento dei muri affrescati della chiesa bizantina di S. Sofia (1951-53), dissestata dal terremoto, in collaborazione con C. Brandi e Y. Froidevaux; progettò il restauro della moschea di Omar (1954) e dell'anastasi del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Il collocamento a riposo, nel 1952, non ne rallentò l'attività. Chiamato nel 1954 a studiare il consolidamento della cosiddetta "ala" dell'arena di Verona, ottenne lo scopo inserendo cavi in acciaio pretesi all'interno dei blocchi in pietra, una tecnica, derivata da quella del cemento armato precompresso, che gli venne chiesto di replicare nel 1971-72 per i ruderi del ginnasio romano di Tindari. Nominato proto della basilica di S. Marco (1948-1972), proto della Scuola Grande di S. Rocco (dal 1960) e della Scuola di S. Teodoro (dal 1962), architetto della basilica del Santo a Padova (1955-1966), negli anni Cinquanta e Sessanta si concentrò particolarmente sui grandi restauri del complesso monumentale dell'isola di San Giorgio, sottratto all'abbandono per essere destinato a sede della Fondazione Cini (1951-1956), e della basilica marciana. In S. Marco consolidò gradualmente l'intera compagine muraria dissestata, facendo rimuovere allo scopo e poi riapplicando i mosaici, i pavimenti e i rivestimenti marmorei (ma per non staccare i mosaici più antichi fece in alcuni casi ricostruire la muratura dall'interno). Ritiratosi dall'attività professionale nel 1972, a novant'anni, continuò a dedicarsi ai suoi due ultimi lavori, cui era particolarmente legato, per curarne la pubblicazione in volume. Morì a Venezia il 18 luglio 1975.
Gli scritti del F. raggiungono il centinaio di titoli, raccolti in S. Giorgio Maggiore…, 1977, pp. 9-11, e con maggior completezza in Bighelli - Castelli, 1985-1986, pp. 378-389. Si tratta in gran parte di articoli e saggi contenenti notizie e aggiornamenti sui principali lavori di restauro compiuti nell'arco di sessant'anni di attività. Tra di essi: Gli ultimi restauri nella basilica eufrasiana di Parenzo, in Atti e mem. della Società istriana di archeol. e storia patria, XLVII (1930), pp. 230-246; L'architettura della basilica di Aquileia, in La basilica di Aquileia, Bologna 1933, pp. 273-298; L'arte moderna e la tecnica d'oggi nel restauro monumentale, in Atti del III Convegno naz. di storia dell'architettura (Roma… 1938), Roma 1940, pp. 335-342; Il restauro dei monumenti, in Catalogo della Mostra del restauro di monumenti e opere d'arte danneggiati dalla guerra nelle Tre Venezie, a cura di M. Muraro, Venezia 1949, pp. 9-15; Soprintendenza di Venezia, ibid., pp. 31-90; Restauro della chiesa degli eremitani a Padova, in Bollettino d'arte, XXXIII (1948), pp. 80-84; Il palazzo dei Trecento di Treviso, Venezia 1952; Presentazione, in Catalogo della Mostra della ricostruzione degli edifici storici ed artistici danneggiati dalla guerra, a cura di G. Mazzotti, Treviso 1952; Sainte-Sophie de Ochrida. La conservation et la restauration de l'édifice et de ses fresques (in collaborazione con C. Brandi e Y. Froidevaux), Paris 1953; Il duomo di Vicenza (in collaborazione con F. Barbieri - B. Forlati Tamaro), Vicenza 1956; Il Santo Sepolcro di Gerusalemme e il suo restauro, in Fede e arte, agosto-settembre 1958, pp. 265-279; Metodi di restauro monumentale nuovi e nuovissimi, in Il monumento per l'uomo. Atti del II Congresso internazionale del restauro (Venezia… 1964), Padova 1971, pp. 60-67; La basilica di S. Marco attraverso i suoi restauri, Trieste 1975; S. Giorgio Maggiore. Il complesso monumentale e i suoi restauri (1951-1956), Padova 1977.
Fonti e Bibl.: Archivio privato della famiglia Forlati in Ca' Zenobia a Sommacampagna (Verona), ove sono raccolti materiale grafico, fotografico e documenti (inventario e catalogazione effettuati e descritti da Bighelli - Castelli, 1985-86, pp. 206-240); Venezia, Archivio della Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici, busta A n. 37: "Soprintendente Comm. Forlati", con la documentazione personale attinente la carriera svolta. Gli archivi delle soprintendenze per i Beni ambientali e architettonici di Venezia (per Venezia e Comuni del bacino lagunare), del Veneto orientale (per Padova, Treviso e Belluno), di Verona (per Vicenza e Rovigo), di Trieste (per il Friuli e la Venezia Giulia) conservano nelle cartelle relative ai singoli monumenti le corrispondenze e gli atti predisposti dal F. in qualità di soprintendente, oltre a fotografie, disegni e progetti di restauri da lui diretti.
Notizie sulle attività del F. si trovano nei suoi scritti citati nel corso della voce; si veda inoltre: G. Beltramini, F. F.: un benemerito dell'arte, in Vita veronese, XXIV (1971), 11-12, pp. 421-424; Verona anni Venti (catal.), Verona 1971, pp. 44, 48; G. De Angelis D'Ossat, Per F. F. (1882-1975), in Arte veneta, XXIX (1975), pp. 289-291; P. Gazzola, F. F., in Atti e memorie dell'Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, CLII (1975-1976), pp. 7-15; E. Bassi, F. F., in Archivio veneto, CVI (1976), pp. 199-201; A. Niero, Ricordo di F. F., in Ateneo veneto, n.s., XVI (1978), 1-2, pp. 189-191; F. Forlati…, (Atti della Conferenza, Venezia, Ateneo veneto, 7 marzo 1978); G.M. Bighelli - M. Castelli, F. F.: il dibattito e le tematiche del restauro dei monumenti in Italia, tesi di laurea, Venezia, Ist. univ. di architettura, anno acc. 1985-1986; A. Di Lieto, F. F. (1882-1975), in L'architettura a Verona dal periodo napoleonico all'età contemporanea, a cura di P. Brugnoli - A. Sandrini, Verona 1994, pp. 438-441.