GNESOTTO, Ferdinando
Nacque il 2 dic. 1835 a Campese, nei pressi di Bassano del Grappa, da Giovanni e da Brigida Scolari. Ottenuto nel 1854 l'attestato di maturità e frequentata per due semestri la facoltà politico-legale di Padova, intraprese gli studi letterari, prima presso lo stesso ateneo padovano, quindi a Vienna, specializzandosi nella letteratura latina. Nel 1858 fu chiamato ad assumere la supplenza nel ginnasio liceale di S. Caterina a Venezia, quindi divenne nel 1860 professore effettivo al ginnasio di Treviso, per rimanervi sino al 1865. In quell'anno si trasferì al ginnasio S. Stefano di Padova (poi r. liceo Tito Livio), dove insegnò lettere latine e greche fino al 1889. Il 18 febbr. 1869 gli era intanto nato Attilio, che come il padre fu autore di studi e professore al Tito Livio; un altro figlio, Tullio (n. nel 1871), insegnò matematica e fisica nell'Università di Padova.
In questo primo periodo dedicato all'attività scolastica la produzione scientifica dello G. fu strettamente legata al suo compito didattico. Dopo aver ottenuto la libera docenza in filologia latina (fu a più riprese incaricato di filologia greca e latina e talora anche di letteratura latina presso l'Università di Padova), lo G. pubblicò un primo volumetto (Cesarotti - Livio - Cicerone, Padova 1873) in cui raccoglieva tre discorsi tenuti agli studenti. In quello dedicato a Cicerone si può riconoscere una prima espressione di quell'antigermanismo che spesso colorò le opere dello G., antesignano in questo di ben più noti antichisti, quali G. Fraccaroli ed E. Romagnoli: non per nulla il libretto fu recensito da G. Oliva nel secondo volume della filogermanica Rivista di filologia (II, 1874, pp. 245-247) con rispetto, ma anche con la decisa riprovazione dell'atteggiamento contrario agli studiosi tedeschi e in genere alla critica storica e filologica. Da quale intento fossero animati gli studi dello G. riesce evidente dal successivo volume, L'eloquenza in Atene ed in Roma al tempo delle libere istituzioni (Verona-Padova 1877), destinato a restare la sua opera più ponderosa.
Lavoro nato con fini divulgativi, la funzione degli studi classici vi viene interpretata in senso pienamente eteronomo, secondo un costume attardato e provinciale. Scrive infatti lo G. nella prefazione: "Nelle nuove condizioni della vita nostra politica ci converrebbe tendere nello studio degli antichi ad uno scopo pratico. Se ci compiaciamo di vedere ridestato il nostro sentimento nazionale, non dobbiamo però credere che non ci restino ancora molte e gravi difficoltà. […] Perciò a meno che non vogliamo credere d'essere usciti incolumi dall'onta della scissura e del dominio straniero, dovremmo cercare di procurarci con amore e perseveranza un mezzo utile, purché in mano d'uomini prudenti e di carattere nobile ed onesto, a correggere e migliorare le nostre Istituzioni" (pp. XXII s.). I buoni propositi non possono certo esimere dal riconoscere che un tale assoggettamento degli studia humanitatis a una funzione civile (che trovò espressione anche nella scrittura poetica dello G., in specie in una petrarchesca canzone Sull'indipendenza d'Italia composta in occasione della vittoria prussiana del 1866 e dunque dell'imminente passaggio del Veneto al Regno d'Italia) era lontanissimo dal disincantato e scientifico rigore filologico che G. Vitelli e i suoi allievi avevano appreso dai Tedeschi. Il libro infatti, pur confrontandosi - ma superficialmente - con la letteratura specialistica straniera (in particolare con Die griechische Beredsamkeit von Gorgias bis zu Lysias [Lipsia 1868] di F. Blass - e i successivi volumi dello stesso studioso - e con la celebre Römische Geschichte di Th. Mommsen), mantiene un tono di costante polemica di stampo moralistico contro lo spirito critico dei filologi tedeschi. Del tutto sintomatico è il capitolo finale, Critica di Mommsen contro Cicerone, teso a dimostrare la fallacia della formula dello studioso tedesco, che contrapponeva la maestria stilistica di Cicerone alla modestia del suo pensiero filosofico e della sua azione di statista: la risposta dello G. è in fondo una rideclinazione del modello del vir bonus dicendi peritus, e Mommsen, definito "Capaneo della critica" (p. 515), appare, con la sua volontà di revisione storica, nientemeno che un corruttore di costumi. D'altronde come osservò F. Flamini, docente anch'egli all'Università di Padova, in una commemorazione sì animata da affettuoso rispetto, ma anche da un vistoso distacco, "il compianto collega era, e voleva essere, anche in arte, come nella scienza, nella politica e nella religione, un conservatore coscientemente ma strettamente ortodosso" (Varia, p. 318). E ancora: "Era egli veramente, in mezzo a noi, come un superstite d'un'altra età, dagl'ideali scientifici in parte diversi, dai diversi costumi" (ibid., p. 314).
Nel 1889 lo G. divenne professore straordinario di lingua latina e greca presso l'Ateneo padovano: aveva in realtà vinto il concorso di letteratura latina, ma di quell'insegnamento ebbe solo l'incarico e non riuscì mai a raggiungere il grado di ordinario.
Dopo un saggio ovidiano (Animadversiones in aliquot Ovidii Metamorphoseon locos, Padova 1881), la sua ricerca si volse prevalentemente su Orazio. Lo G. pubblicò infatti tra il 1886 e il 1900 negli Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova (di cui fu anche segretario) numerosi articoli, orientati per lo più a difendere Orazio dalle accuse di disimpegno morale e di plagio artistico: Del contegno di Orazio verso gli amici, Orazio come uomo, Orazio come poeta, Saffo nelle poesie d'Orazio, Le odi romane di Orazio e la critica di Ugo Jurenka. Diede alle stampe anche commenti alle Metamorfosi di Ovidio, alle Satire di Orazio e, presso la nota "Collana di classici greci e latini con note italiane" di Loescher, alle Tusculanae disputationes di Cicerone (Torino 1884-86). Da ricordare infine lo scritto Per una tradizione nostra letteraria (in Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, XIV [1898]), in cui lo G. portava a esempio per la filologia classica italiana il lavoro di alcuni noti filologi romanzi (P. Rajna, F. Novati, E.G. Parodi, G. Vandelli) in funzione ancora antitedesca, con l'obiettivo di promuovere una critica del testo basata sul buon senso e la moderazione.
Lo G. morì a Padova il 25 apr. 1901.
Fonti e Bibl.: F. Flamini, Commemorazione del prof. F. G. letta nell'aula magna della R. Università di Padova il 25 maggio 1901, Padova 1901, poi, con il titolo In memoria d'un filologo, in Id., Varia. Pagine di critica e d'arte, Livorno 1905, pp. 309-329; E. Teza, Commemorazione del socio effettivo F. G., in Atti e mem. della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, XVII (1900-01), pp. 157-159; necr. in Annuario della R. Università degli studi di Padova, 1901-02, pp. 328 s.