LISANDRONI (Alessandroni, Lissandroni), Ferdinando
Nacque a Roma il 22 maggio 1735 da Pietro di Domenico e da Anna Caterina Rocruè, forse imparentata con l'omonima famiglia dei noti orefici (Carloni, in corso di stampa).
Non si hanno notizie sul suo apprendistato. La prima informazione sulla sua attività di scultore risale al 19 nov. 1754, quando vinse il primo premio della terza classe di scultura dell'Accademia di S. Luca con un rilievo, oggi disperso: il Gladiatore moribondo in Campidoglio, previsto dalla prova (Id., 2002, p. 193).
All'inizio degli anni Sessanta abitava nel palazzetto Marescotti, nella parrocchia di S. Nicola dei Prefetti, con i genitori, cinque fratelli, di cui era il secondogenito, una sorella di nome Rosa (Id., in corso di stampa).
Tra il 1761 e il 1765 lavorava come stuccatore alla decorazione della chiesa di S. Lucia del Gonfalone, con il più maturo Innocenzo Spinazzi.
Insieme realizzavano una "gloria" con angeli, putti e serafini per l'altare maggiore; due angeli nell'atto di portare la corona, simbolo del martirio, posti al di sopra; due raffigurazioni della Fama che sostenevano la targa con lo stemma della Compagnia del Gonfalone, collocati sull'arcone della tribuna; quattro frontespizi rotondi con teste di serafini per gli altari laterali; altri due aperti, con gruppi di putti, per l'altare del Crocifisso e per quello di S. Lucia; infine la statua di S. Lucia nella seconda cappella a destra, eseguita in legno su disegno e modello dei due scultori. Dell'insieme, distrutto al tempo del rinnovamento ottocentesco della chiesa, il L. conservava i "modelletti di Creta cotta", che portava con sé nella bottega di Gioacchino Falcioni, in via Margutta (Id., 2002, pp. 197, 213).
Il 1° genn. 1770 il L. entrava in società con Falcioni, già sodale di Spinazzi, secondo un accordo redatto privatamente il 30 dicembre dell'anno precedente e rinnovabile ogni tre anni. Terminata quest'esperienza nel 1772, i due procedevano a un inventario di tutto ciò che si trovava nel loro studio.
Sui ripiani collocati nelle stanze si trovavano le riproduzioni di celebri antichità quali la Medusa Rondinini, i busti di imperatrici e di filosofi romani, tratti da celebri collezioni capitoline e adatti alla vendita ai ricchi stranieri di passaggio a Roma; frammenti architettonici, forse provenienti dagli scavi, pregiati materiali lapidei antichi da impiegare come elementi decorativi nella realizzazione delle suppellettili, e marmi grezzi siglati con le iniziali del Lisandroni. I due artisti avevano acquistato una piccola collezione di quattordici sculture dalla famiglia Manfroni, tra cui: tre bozzetti, uno dei quali raffigurante la statua di Innocenzo X Pamphili fatta da A. Algardi per il Campidoglio; e le copie delle figure, in diverso formato, della berniniana Carità, del S. Matteo e del S. Andrea di C. Rusconi, esposte in S. Giovanni in Laterano (ibid., pp. 192-200). Nell'inventario erano elencate anche le realizzazioni eseguite insieme dai due scultori: una "gloria" con raggi e teste di serafini per l'altare maggiore della chiesa di S. Teresa alle Quattro Fontane a Roma, demolita nel 1878; la decorazione della cappella di S. Teresa all'interno del complesso dei Ss. Giuseppe e Mario dei carmelitani scalzi a Viterbo, consistente in un inserto di raggi con teste di serafini e due angeli in volo al centro del timpano spezzato dell'altare e ai lati, alla base della balaustra, due grandi sculture, la Sapienza e la Penitenza, per le quali avevano preparato due bozzetti. Anche quest'opera è andata perduta nella soppressione della chiesa nel 1873.
L'unico intervento dei due artisti ancora in situ è nel tempio degli agostiniani a Soriano del Cimino, dedicato alla Ss. Trinità, costruita in quegli anni e aperta al pubblico nel 1776. I due scultori riproponevano il modello, già consolidato, della "gloria" con fitti raggi inghirlandati dalle piccole testine dei serafini tra lievi nuvole in stucco. Le statue, raffiguranti S. Giovanni di San Facondo e S. Guglielmo d'Aquitania, particolarmente venerate dall'Ordine agostiniano, testimoniano nell'iconografia, nella posa e nell'atteggiamento mistico il peso della tradizione tardobarocca nella cultura settecentesca (ibid.).
Il 4 ott. 1774 il L. sposò la vedova Teresa Fantini nella parrocchia di S. Maria in Via (Carloni, in corso di stampa).
Nel 1775 eseguiva la decorazione della parte superiore della facciata di S. Maria in Aquiro, completata su disegno di P. Camporese il Vecchio.
Nell'estate dello stesso anno partecipava all'esecuzione della macchina pirotecnica disegnata dallo stesso architetto e voluta dal principe Sigismondo Chigi in onore di Massimiliano d'Austria, raffigurante la Fucina di Vulcano, con altri scultori tra cui V. Pacetti, A. Penna, T. Righi (Petrucci, p. 241; Gori Sassoli, p. 218). Subito dopo lavorava al monumento di Pietro Gregorio Boncompagni Ottoboni nella chiesa di S. Stefano Nuovo a Fiano Romano, commissionata dal figlio Alessandro e realizzata su disegno dell'architetto G. Scaturzi (Pietrangeli, 1987, pp. 126 s.).
Si tratta di un monumento alla parete che riecheggia la tipologia di quelli eseguiti nella prima metà del secolo. Dalla piramide di verde antico si stacca un sarcofago convesso, posto al di sopra di un'epigrafe, mentre un elegante putto solleva con una mano una coltre dall'urna, reggendo con l'altra una corona principesca di metallo, andata perduta. Alla base dell'urna sono modellati gli emblemi della famiglia: il drago dei Boncompagni e l'aquila bicipite degli Ottoboni (Carloni, 2002, p. 196).
Dal 1778 il L. iniziò un'intensa attività di restauratore-antiquario presso il Museo Pio-Clementino, che si protrasse per quindici anni. Secondo il Chracas in quel periodo gli fu commissionato un busto di Pio VI, maggiore del vero, per la "stanza degli Ordegni" della Zecca pontificia, posto in opera nel febbraio 1779 e attualmente collocato nella galleria delle Statue.
Una seconda versione, sempre secondo la stessa fonte, che ne diede notizia il 12 giugno 1779, fu fatta dal L. per il cardinal Guglielmo Pallotta protesoriere generale e fu collocata nel suo appartamento a Montecitorio, oggi identificato con il busto dello stesso soggetto conservato presso la Galleria nazionale d'arte antica di Palazzo Barberini, già assegnato allo scultore Penna (M.B. Guerrieri Borsoi, Tra invenzione e restauro: Agostino Penna, in Studi sul Settecento romano, XVII, Roma 2001, p. 144). Il papa Braschi è raffigurato in entrambi i busti con mozzetta e stola e con un'espressione aperta e distesa, ma il secondo ritratto mostra nel modellato una maggiore finezza esecutiva, che determina uno sfumato più morbido in grado di alleggerire la gravità del marmo.
Il 16 nov. 1779 A. Canova, di passaggio a Roma, andò nel suo studio per salutare l'amico Antonio D'Este, collaboratore del Lisandroni. Anche nei due giorni successivi visitò la bottega del L., che gli forniva della creta, aggiungendo il suo nome a quello di altri visitatori illustri, come G.A. Guattani ed E.Q. Visconti, che negli anni Ottanta si recavano nello studio del L. per preparare per il Museo pontificio le descrizioni degli oggetti scelti per l'acquisto. Il L. continuò a lavorare per conto del Museo come responsabile dei restauri delle antichità ritrovate negli scavi di "Roma Vecchia", eseguiti da Venceslao Pezolli (1783-92) nella villa, situata al quinto miglio della via Appia e appartenente ai fratelli Quintili (Schadler). I pezzi erano caricati nella cava e trasferiti nel suo studio a S. Ignazio.
A volte il L. preparava i modelli, come avvenne per i tre sileni con tazza (Musei Vaticani, galleria dei Candelabri). Nel caso di statue acefale aspettava il rinvenimento della testa oppure, abbandonata la speranza di trovare l'originaria, cercava di trovarne una antica, adatta (Id., p. 318).
Il L. non si occupò solo di statue e busti, di diversa provenienza, talora da lui stesso acquistati sul mercato romano e rivenduti al Museo (Pietrangeli, 1956; 1988, pp. 381-388), ma anche di sarcofagi come quello con la rappresentazione delle Nereidi che portano le armi di Achille (Musei Vaticani, cortile ottagono, portico ovest, inv. 874) e di tripodi. Rilavorò inoltre frammenti architettonici e oltre quaranta lastre di marmo in forma di tavoli: nel 1791 due tavoli di marmo furono inviati in regalo a Londra dal L. a lord Henry Blundell per volere di Pio VI, che li apprezzava molto. Sei tavoli e dodici cantoniere, ottenuti da un mosaico pavimentale a colori di circa 20 m2, ritrovato nel 1791 dallo stesso L., furono destinati al palazzo papale ma, confiscati dai Francesi nel 1798, furono messi all'asta a Londra (1800) e passarono a vari proprietari, tra cui Blundell.
Alcune sculture di particolare interesse restaurate dal L., come la Venere Cnidia conservata nelle Archäologische Staatssammlungen di Monaco e i due Putti con l'oca (ora a Monaco e a Parigi, Louvre), ritrovati nel 1792 negli scavi della villa dei Quintili, furono da Pio VI donate a suo nipote Luigi Braschi Onesti e seguirono le sorti di quella collezione.
Il L. si avvalse della collaborazione di A. D'Este, all'inizio degli anni Ottanta, presumibilmente per l'acquisto e l'integrazione delle opere appartenenti ai Musei Vaticani nonché di antichità destinate a essere vendute a facoltosi aristocratici stranieri come lord Blundell, di cui il L. e D'Este erano agenti per il commercio di reperti antichi. Insieme restaurarono e cedettero al nobile inglese varie opere, tra cui la Anchyrrhoe, la cui testa, aggiunta dai due scultori, è ora alla Walker Art Gallery di Liverpool; una testa di Giove; il rilievo votivo dedicato a Silvano; un bassorilievo con ninfe; una statua raffigurante la Frigia o la Bitinia (Michaelis).
Il sodalizio con A. D'Este proseguì almeno fino al 1803, quando vendettero, per 2229 scudi poi ridotti a 1700, una raccolta d'antichità, già denunciata l'anno precedente secondo i dettami dell'editto Fea, e consistente in 11 statue, 30 torsi, 78 tra teste e busti, 2 bassorilievi, 298 ornati, 2 cippi istoriati, oggi in larga parte esposti nel Museo Chiaramonti.
Il 26 nov. 1807 morì la moglie; il L. morì il 4 ag. 1811 a Roma, nella sua casa (ibid.).
Fonti e Bibl.: A. Michaelis, Ancient marbles in Great Britain, Cambridge 1882, ad indicem; C. Pietrangeli, in G. Lippold, Die Sculpturen des Vaticanischen Museums, III, 2, Berlin 1956, pp. 542-544; Id., Scavi e scoperte di antichità sotto il pontificato di Pio VI, Roma 1958, pp. 24-26, 32 s., 106, 120 s., 149; Walker Art Gallery Liverpool, Foreign Catalogue, I, Text, a cura di E. Morris - M. Hopkinson, Liverpool 1977, ad indicem; V.H. Minor, References to artists and works of artin Chracas' Diario ordinario 1760-1785, in Storia dell'arte, 1982, n. 46, pp. 261, 264, 267; C. Pietrangeli, Il monumento di Pier Gregorio Ottoboni a Fiano Romano, in Lazio ieri e oggi, XXIII (1987), 6, pp. 126 s.; Id., La provenienza delle sculture dei Musei Vaticani, in Boll. dei monumenti, musei e gallerie pontificie, VII (1987), pp. 122 s., 126, 131, 134, 146-148; VIII (1988), pp. 156, 158, 162 s., 166, 170 s.; IX (1989), pp. 89, 93 s., 107, 111, 113, 121 s., 129; XI (1991), p. 176; Id., F. L. scultore romano, in Strenna dei romanisti, XLIX (1988), pp. 381-388; C. Pietrangeli, La raccolta epigrafica vaticana nel Settecento, II, in Boll. dei monumenti, musei e gallerie pontificie, XIII (1993), pp. 73 s., 75; Ediz. nazionale delle opere di A. Canova, I, a cura di H. Honour, Roma 1994, pp. 61 s.; M. Schadler, Dallo scavo al museo, ibid., XVI (1996), pp. 304-330; G. Spinola, Il Museo Pio-Clementino, I-II, Città del Vaticano 1996-99, ad indicem; F. Petrucci, La festa a Roma dal Rinascimento al 1870 (catal., Roma), a cura di M. Fagiolo, Torino 1997, p. 241; M. Gori Sassoli, in M. Fagiolo, Corpus delle feste a Roma. Il Settecento e l'Ottocento, Roma 1997, pp. 218 s.; R. Carloni, Una società tra scultori romani del Settecento. Gessi, bozzetti, frammenti di I. Spinazzi nella bottega in comune con G. Falcioni, in Studi sul Settecento romano, XVII, Roma 2001, pp. 95-122; Id., Scultori e finanzieri in "società" nella Roma di fine Settecento: gli esempi di G. Falcioni e F. L.…, ibid., XVIII, Roma 2002, pp. 191-234; Id., Per G. Falcioni, F. L. e G. Sibilla, in Antologia di belle arti, in corso di stampa.