MAESTRI, Ferdinando
Ultimo dei tre figli di Giuseppe e di Onorata Gerboni, nacque a Sala Baganza presso Parma il 6 luglio 1786. Malgrado le modeste condizioni della famiglia, dopo aver frequentato il seminario di Parma e preso gli ordini minori, poté iscriversi all'Università di Genova e conseguirvi, nel 1811-12, la laurea in giurisprudenza. Aveva coltivato anche gli studi letterari e linguistici, e questo lo spinse alla ricerca continua dello stile e della limpidezza di linguaggio, sull'esempio di M. Colombo, G. Taverna e di A. Pezzana, ai quali fu legato da vincoli d'amicizia e affinità di studio.
Iscritto con il nome di Filanto alla Società de' Filomati (1806-21), di cui a detta di Pezzana fu uno dei fondatori, diede prova del suo talento poetico, tra l'altro, con una serie di componimenti che, scritti nel 1811 per la nascita del figlio di Napoleone, furono accolti nel Giornale del Taro (13 aprile, 11 e 12 giugno). Altri scritti di tipo encomiastico furono la cantata L'annunzio, composta per celebrare l'ingresso a Parma di Maria Luigia d'Austria (in Poesie(, Parma 1816, pp. 55-59), e i versi solenni scolpiti nell'oratorio della rocca di Sala con cui nel 1821 rese omaggio alla memoria di Napoleone.
Nel 1814 era entrato nella carriera accademica come professore nella facoltà giuridica e, dal 1818, gli fu affidata la cattedra di economia politica, di nuova istituzione; in quella disciplina ebbe modo di distinguersi per le idee sul debito pubblico contrarie ai consolidati principî di A. Smith. A partire dal 1814 il M. figura anche come segretario e consultore della Camera di commercio con l'incarico annuale di redigere un rapporto sullo stato del commercio e delle arti. Compreso, infine, nell'elenco degli avvocati di prima classe abilitati al tribunale d'appello e alla Corte di cassazione, ebbe diverse mansioni nel mondo forense: fu più volte priore del Collegio degli avvocati e membro del consiglio di disciplina.
Nel 1816 sposò Ferdinanda Irene Tommasini detta Adelaide (1798-1845), figlia di un medico molto in vista che accoglieva nella sua casa personaggi come P. Giordani, P. Toschi e Pezzana; lei stessa era donna colta, amante della poesia e della musica, impegnata in opere di beneficenza. Dal matrimonio nacquero quattro figli, due bambine di nome Virginia morte in tenera età, Clelia, morta nel 1838, e Tullio, nato nel 1840.
L'indole moderata del M., i suoi poliedrici interessi per le lettere e le scienze, l'amore per la famiglia, i successi nella professione giuridico-forense non lo preservarono dalle tentazioni della politica attiva: ebbe nei moti carbonari del 1821 una parte non secondaria, che gli costò la prigionia nelle carceri cittadine di S. Elisabetta, la confisca dei beni, l'allontanamento dal mondo universitario - aveva ottenuto da poco anche l'incarico dell'insegnamento, nella facoltà filosofica, di storia e statistica universale d'Europa, e particolare d'Italia - e un lungo processo conclusosi il 20 maggio 1823 con l'assoluzione. In una discussa lettera a Maria Luigia del 28 apr. 1822 il M. aveva protestato fermamente la propria innocenza e la sua fedeltà alla sovrana.
Nel settembre 1825 il M. fu reintegrato nelle funzioni accademiche ed ebbe la nomina a professore di diritto civile. Priore della facoltà giuridica nel 1828, tenne fino al 1831 l'insegnamento della seconda parte del codice civile parmense, e rivestì anche l'incarico di avvocato consultore della ferma mista e degli ospizi civili.
Nel marzo 1829, alla morte del secondo marito di Maria Luigia, il M. pubblicò un Elogio di s.e. il conte Adamo Alberto di Neipperg (Parma 1829) in cui paragonava il defunto all'"immortale Du Tillot". Il componimento ebbe vivi apprezzamenti da parte di G. Leopardi, che proprio in quegli anni aveva iniziato un rapporto amicale ed epistolare con la famiglia Tommasini e con lo stesso M., che cercò anche di procurare al poeta recanatese un "impiego letterario onorevole, e di non troppa fatica" (Leopardi, Epistolario, p. 611). E fu proprio il M. a comporre in occasione della morte di Leopardi un intenso sonetto, pubblicato nelle pagine del foglio locale Il Facchino il 5 sett. 1840.
Pur non implicato attivamente nei fatti insurrezionali del 1831, ma figurando fra gli aggiunti del consesso civico che dopo la partenza di Maria Luigia da Parma nella notte del 14 febbraio aveva proceduto alla nomina di un governo provvisorio, alla restaurazione del governo ducale il M. fu destituito dall'incarico universitario; furono anche soppressi il gabinetto di lettura e il periodico letterario L'Eclettico, cui, in precedenza, aveva collaborato con articoli e conferenze, per lo più di argomento economico. Per un lungo periodo, in seguito, si dedicò quasi esclusivamente all'attività professionale come brillante avvocato e ai molteplici interessi culturali che lo portarono a partecipare attivamente in commissioni di congressi scientifici nelle sezioni di agronomia e tecnologia.
Alla "Prima riunione" di Pisa (1839) tenne un discorso sulla necessità di introdurre leggi e scuole rurali e sull'utilità delle società agrarie; a Torino, nel 1840, fece parte della deputazione incaricata di ringraziare il re Carlo Alberto per la convenzione conclusa con l'Austria a garanzia della proprietà letteraria e si soffermò sul legame fra scienza e arte e sull'esigenza di aprire, in seno alle accademie italiane, scuole tecniche per i figli del popolo; a Firenze, nel 1841, perorò l'opportunità di un più diffuso insegnamento tecnologico; a Lucca, nel 1843, si intrattenne sulla riforma delle carceri; a Napoli, nel 1845, parlò di asili per l'infanzia e delle arti e industrie della città; a Genova, nel 1846, tenne una relazione sulle arti e manifatture locali (cfr. gli Atti delle relative Riunioni, Pisa 1840; Torino 1841; Firenze 1842; Lucca 1844; Napoli 1846; Genova 1847).
Fra le arringhe difensive e i discorsi di argomento socio-economico dati alle stampe si segnalano: Scrittura a discolpa di Giuseppe Pescatori (Parma 1831); Scrittura a difesa del dr. Melchiorre Colla, pretore a Borgotaro (ibid. 1833); Della comune origine e parentela delle scienze e delle arti e del modo di stabilire scuole tecniche in Italia: discorso (Torino 1840); A difesa di Pellegrino e Luigi Piccoli accusati di furto violento. Arringa (Parma 1841); Rapporto sulle arti e manifatture genovesi (Torino 1846).
Ascritto a importanti accademie letterarie e scientifiche italiane, fra cui quelle di Lucca e Pistoia, la Tegea di Siena e la Labronica di Livorno, la R. Società di Arezzo e l'Agraria di Torino, socio onorario del R. Ateneo italiano di Firenze (presso il quale nel settembre 1841 recitò un'orazione famosa sulla legge e sulla morale stampata nella Strenna parmense a beneficio degli asili d'infanzia del 1843, pp. 41-57), in corrispondenza epistolare con patrioti, politici e uomini di studio, il M. continuò a frequentare i sodalizi parmensi, a scrivere di poesia, a collaborare a vari giornali, a occuparsi di iniziative filantropiche, sostenute anche con i proventi delle sue pubblicazioni, in favore dei poveri, degli asili infantili, degli ospedali e dei giovani liberati dal carcere (a Parma, come poi a Torino), e a tenere commemorazioni di amici o personaggi illustri.
Tra quelle degne di menzione si segnalano l'Elogio del cav. avv. Giuseppe Bertani (Parma 1827), recensito nel 1828 nella Biblioteca italiana; l'Elogio del cav. avv. e prof. don Francesco Mazza con iscrizioni di L. Oppici (ibid. 1834); l'Elogio di Michele Colombo (Lucca 1844). Suo è anche il necrologio del conte F. Linati senior apparso nella Gazzetta di Parma del 9 sett. 1837, pp. 313-315. È del 1846 il poetico scritto Alla pia e cara memoria di Adelaide Tommasini Maestri, morta l'anno precedente.
Il M. tornò ad avere un ruolo da protagonista nelle vicende del 1848, che a suo dire si svolsero, pur fra mille difficoltà, "pacificamente non sulla strada, ma sulla carta" (lettera del 12 apr. 1848 al conte C.I. Petitti, in Bullettino di supplemento alla Gazzetta di Parma, 20 apr. 1848). Con L. Sanvitale, G. Cantelli, P. Gioia e P. Pellegrini fece parte della Reggenza cui Carlo II di Borbone, in dubbio se allontanarsi dai Ducati e con una formula equivoca di cogestione politica, aveva trasferito il potere supremo. Tale organismo provvide a stendere le basi di una costituzione approvata dal duca stesso con chirografo del 29 marzo: in una lettera del 22 a N. Bianchi il M. aveva rivendicato la paternità di quel progetto.
Nell'aprile successivo il Consiglio degli anziani nominò un governo provvisorio e al M. fu affidato il dicastero di Grazia e giustizia; ma la cautela da lui consigliata in un momento di transizione reso ancor più delicato dagli orientamenti assunti dal gruppo dirigente rivoluzionario, gli attirò pungenti critiche da parte della stampa non solo locale. Un attacco gli venne pure dall'opinione pubblica politicamente più accesa, che non gli perdonava gli incarichi avuti sotto i passati governi, tanto che L. Mussi, un esule del 1831, nelle pagine dell'Indipendenza nazionale del 29 aprile, riferendosi a una decorazione borbonica, lo accusò di essersi fregiato dei "ciondoli vezzosi d'onorifica croce".
Ciò non impedì al M. di celebrare, il 17 maggio, l'arrivo a Parma di V. Gioberti con un intervento in favore dell'unità italiana e, pochi giorni dopo, di prendere ancora la parola nel corso della cerimonia organizzata nella cattedrale per la proclamazione dei risultati del plebiscito per l'annessione al Regno di Sardegna. Il discorso da lui tenuto in tale circostanza fu apprezzato anche da C. Cavour; e quando, il 6 giugno 1848, il M., insieme con Sanvitale e G.B. Niccolosi, si recò a Torino per comunicare i risultati del plebiscito a Carlo Alberto, ricevette, al pari degli altri inviati, la nomina a senatore del Regno sardo: l'ammissione ufficiale e il giuramento ebbero luogo nella tornata parlamentare del 24 ottobre successivo.
Al momento della restaurazione borbonica il M. fu condannato alla confisca dei beni e, con gli altri membri del governo provvisorio, a rimborsare alle casse ducali le ingenti somme spese durante la passata rivoluzione. Nel frattempo, però, era riparato in Piemonte, dove divenne subito parte attiva del Comitato dei fuorusciti dei Ducati padani. Un'altra missione, conferitagli per delega sovrana, lo portò nel gennaio del 1849 a Bruxelles dove rappresentò gli Stati parmensi presso l'ambasciatore sardo alla conferenza internazionale convocata per trovare una soluzione diplomatica alla questione italiana.
In quel periodo il M. sposò in seconde nozze la nobildonna Amalia Appiani d'Aragona, che fece da madre affettuosa al figlio Tullio, destinato a una promettente carriera di avvocato e diplomatico ma sopravvissuto al padre solo pochi anni.
Confermato senatore da Vittorio Emanuele II, il M. prese parte attiva ai lavori del Senato, con compiti nel secondo ufficio di segreteria della presidenza, e, finché la salute glielo permise, svolse anche l'incarico di consigliere di Stato; fu insignito, infine, del titolo di commendatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Rivide Parma finalmente libera nel maggio 1860, in occasione della visita reale alla città.
Il M. morì a Torino nella notte fra il 10 e l'11 nov. 1860.
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