OBIZZI, Ferdinando
OBIZZI, Ferdinando. – Nacque a Padova il 9 settembre 1701 dal marchese Tomaso e dalla nobildonna fiorentina Alessandra Pecori, nella dimora dell’antica e prestigiosa famiglia al centro della città.
A parte un breve periodo a Ferrara in età adolescenziale, trascorse la sua vita tra Padova, Venezia e il castello del Catajo a Battaglia – località termale vicino Padova – che intorno al 1740 ereditò dall’omonimo prozio, ufficiale a Vienna morto nel 1710. Il 6 aprile 1739 sposò la contessa veneziana Angela Sala. Il loro unico figlio, Tommaso, nacque nel 1750.
Dal 1721 fu membro dell’Accademia degli Intrepidi di Ferrara, dove poté dare le prime prove del suo talento di poeta e alla quale, molti anni dopo, avrebbe dedicato la raccolta dei suoi lavori teatrali. Dal 27 maggio 1732 entrò a far parte dell’Accademia dei Ricovrati di Padova, di cui fu principe nel biennio 1741-43. All’interno di tale cenacolo letterario ebbe modo di conoscere tra gli altri Giuseppe Bartoli e il musicista Giuseppe Tartini.
Risale ai primi anni Quaranta ed è molto probabilmente legata al tema di una seduta accademica la stesura di un capitolo bernesco in difesa dell’amor platonico poi inserito nel dramma La cabala. Lo stile era particolarmente in voga dopo la riedizione a Firenze nel 1723 delle opere di Francesco Berni e frequentato per altro anche dal collega di accademia Carlo Gozzi. L’intero componimento ruota intorno alla metafora della mensa della vita di cui l’amore platonico rappresenta una delle vivande più dolci.
La prima opera teatrale di Obizzi fu la sacra rappresentazione Isacco al monte (1738 circa), destinata all’uditorio ristretto e selezionato del teatro privato annesso alla villa del Catajo, eretto nel XVII secolo da Pio Enea Obizzi – anch’egli poeta e membro delle Accademie degli Intrepidi e dei Ricovrati – ma rimasto sempre inattivo. Pochi anni dopo, nel 1741, La Cabala, composta in endecasillabi, suo secondo dramma e prima pièce comica, venne invece messa in scena a Padova nel teatro degli Obizzi aperto al pubblico.
Seguì un periodo di silenzio letterario, che si protrasse per circa un decennio, fino a quando, nel 1751, dedicò un sonetto alla nobildonna Paolina Zeno in occasione delle sue nozze con Jacopo Foscarini. La stessa Zeno Foscarini, ospite al Catajo, avendo apprezzato molto La Cabala, presentatale nel 1756, lo incoraggiò a continuare nella scrittura teatrale. Obizzi le dedicò infatti Il Geloso di se stesso, commedia in versi martelliani, data alle stampe nel 1757 a Venezia. Alla pubblicazione di quest’opera fece seguito una fase di intensa attività che coprì grossomodo per intero il suo ultimo decennio di vita.
La produzione migliore di Obizzi consiste in commedie di ambientazione borghese e con intenti moraleggianti. I drammi furono quasi tutti pubblicati a Padova presso Giambattista Conzatti, stampatore suo amico, responsabile anche della raccolta Il Teatro di villa comprendente Isacco al monte, La Cabala, Il Geloso di se stesso, I Letterati, Il Fakir del Mogol, Le Donne circasse, Il Filosofo e il pazzo, Il Soffì Mirza, La Vecchia d’un giorno, Il Bel selvaggio. La raccolta, pubblicata senza data, ma verso il 1767, poco prima della morte dell’autore, venne data alle stampe in forma anonima, forse per timore delle polemiche che potevano suscitare alcuni dei temi affrontati. Il titolo suggerisce che i drammi fossero nati innanzitutto per il teatrino del Catajo, tuttavia furono messi in scena nei maggiori teatri pubblici veneti, riscuotendo un certo successo.
Grazie a Paolina Zeno Foscarini la commedia in versi martelliani Fakir del Mogol, scritta per i festeggiamenti del carnevale veneziano del 1758, approdò al prestigioso S. Salvador dove fu rappresentata poi diverse altre volte. Fu molto apprezzata anche da Carlo Goldoni che in una sua lettera da Roma espresse il rammarico di non averne curato personalmente la direzione (Goldoni e il teatro di S. Luca: carteggio inedito (1755-65), Milano 1885, pp. 86-88). Per la stagione del 1762 Obizzi scrisse poi la sua unica tragedia, Soffì Mirza, in endecasillabi.
Un discorso a parte meritano I Letterati (1757) e Il Filosofo e il pazzo (post 1761; ed. a cura di S. Buccini, Lucca 1993), uniche commedie in prosa. Di tono moraleggiante, risultano molto influenzate dalla cultura illuministica degli idéologues francesi e segnatamente da Montesquieu e Jean-Jacques Rousseau. Il genere della commedia dotta era poco adatto al vasto pubblico tanto che I Letterati fu rappresentata al teatro di S. Grisostomo e non al popolare teatro di S. Luca, come altre opere di Obizzi, dall’intreccio più complesso e dall’andamento più vivace e schiettamente comico, e molto probabilmente non approdò mai ai teatri pubblici Il Filosofo e il pazzo, la cui trama è tutta giocata intorno alla discussione sulla proprietà privata, la giustizia sociale, la contrapposizione tra lo stato di natura e la società civile, temi affrontati con l’atteggiamento equanime del buonsenso che, pur ponendo in luce la bontà delle teorie sociali di Rousseau, ne mette in risalto gli aspetti utopistici, come il concetto di uguaglianza tra gli uomini. Se le questioni sociali sono al centro de Il Filosofo e il pazzo, ne I Letterati prevale invece la critica della realtà culturale letteraria del tempo. Con quest’opera, frutto della maturità, Obizzi mostra di avere piena padronanza dei mezzi espressivi del genere teatrale, sia nell’organizzazione dell’intreccio sia nella caratterizzazione dei personaggi. Si può ipotizzare per altro che nello stendere il testo avesse presente Li Falsi letterati (1740) del veronese Cesare Becelli, come lui membro dell’Accademia dei Ricovrati.
Dai prologhi delle commedie così come dall’interessante corrispondenza (Brunelli, 1953) e dai componimenti poetici, per lo più inediti, oltre che dallo stesso stile di scrittura teatrale, si evince una decisa adesione di Obizzi alla fazione goldoniana nell’ambito della rivalità fra il grande drammaturgo veneziano e il gesuita Paolo Chiari. Più tardi osteggiò la concezione fiabesca e antirealista dei drammi di Carlo Gozzi per sostenere il realismo moraleggiante, il verosimile storico e lo studio dei caratteri, propri della riforma del teatro italiano operata dallo stesso Goldoni.
Morì il 25 ottobre 1768 nella villa del Catajo. Fu sepolto a Padova, nella cappella di famiglia all’interno della chiesa di S. Antonio.
Il figlio Tommaso, grande collezionista ed esperto di numismatica, ciambellano imperiale e brigadiere del duca di Modena, sposò la veneziana Barbara Querini, ma non ebbe figli e con lui la famiglia Obizzi si estinse. Per sua decisione testamentaria, alla sua morte (1803), la vasta e antica collezione contenuta nel castello del Catajo passò all’arciduca Ferdinando d’Austria.
Fonti e Bibl.: G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, III, Milano 1848, p. 130; B. Brunelli, Appendici alla storia dei teatri di Padova: Il carteggio teatrale degli O., Padova 1953; C. de Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, III, Milano 1957, p. 253; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, Padova 1832-36, rist. Bologna 1967, II, p. 5; I. Zangheri, F. degli O., commediografo dimenticato, in Padova e il suo territorio, VII (1992), 38, p. 24-26; Id., Profilo di F. degli O. organizzatore e autore teatrale nell’età di Goldoni, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti, CLIII (1995), 3-4, pp. 723-753; Id., Riflessi della cultura illuministica nella commedia «I letterati» di F. degli O. (1757), ibid., CLV (1997), 1, pp. 31-51; Id., Il filosofo e il pazzo(post 1761) di F. degli O.: un’azione teatrale ispirata a Rousseau, ibid., CLVIII (1999), 2, pp. 331-345.