RUGGIERI (Ruggeri), Ferdinando
RUGGIERI (Ruggeri), Ferdinando. – Nacque a Firenze il 25 aprile 1687 da Giovanni Battista, scenografo e costumista alla corte del gran principe Ferdinando de’ Medici, e da Chiara Petri, quartogenito di sette fratelli; dal 1689 la famiglia abitava nei pressi di palazzo Pitti, in via dei Giudei, oggi via dei Ramaglianti.
Generiche notizie sulla formazione di Ferdinando si apprendono dalla prima biografia scritta fra il 1739 e il 1741 da Francesco Maria Niccolò Gabburri (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. Palatino E.B.9.5: F.M.N. Gabburri, Vite di pittori, II, c. 227). Vi si legge degli inizi sotto la guida di Giovanni Battista Foggini, secondo quella che acriticamente la storiografia ha divulgato come consuetudine per gli artisti fiorentini della stessa generazione, e della propensione alla pratica dell’intaglio del rame; si apprende inoltre di un viaggio a Parigi, che non ha ancora trovato conferma documentaria, e di un soggiorno a Roma, che invece è documentato. La famiglia granducale sostenne il viaggio nella capitale pontificia di Ruggieri, presente in città dal novembre 1712 ai primi mesi del 1714; per permettergli di meglio attendere allo studio dell’architettura, i Medici offrirono al ventiseienne la possibilità di risiedere nel palazzo Madama e ordinarono al loro agente, il conte Antonio Maria Fede, di introdurlo negli ambienti artistici.
La comunità dei toscani nell’Urbe era numerosa, e va tra l’altro segnalato che nel gennaio del 1713 anche l’architetto Alessandro Galilei era a Roma per accompagnare l’inviato inglese presso la corte fiorentina, John Molesworth, e fargli da guida.
Il primo e il più importante dei contatti che Fede procurò a Ruggieri fu verosimilmente quello con Carlo Fontana, che deteneva il titolo onorifico di architetto del granduca di Toscana e intorno al quale, sebbene fosse molto avanti negli anni e ormai prossimo alla morte (1714), ruotava ancora il milieu architettonico più avanzato. Un suo allievo, Giovanni Francesco Guarnieri, premeva sul conte Fede fin dal gennaio 1712 per subentrare al maestro nell’incarico di architetto granducale. A Roma, Ferdinando poteva contare anche sull’appoggio e le relazioni del fratello Orazio, depositario di uno dei principali mecenati romani, il cardinale Pietro Ottoboni, primo protettore di Filippo Juvarra.
L’incontro con l’architetto messinese è ricordato da Ferdinando in alcune sue lettere inviate all’abate Giovanni Gaetano Bottari nel 1732. Segretario del cardinale Ottoboni era invece l’erudito senese Ludovico Sergardi, amico e committente di Domenico De Rossi, che aveva pubblicato i primi due volumi dello Studio d’architettura civile rispettivamente nel 1702 e nel 1711. Non si può stabilire se e come Ruggieri possa aver conosciuto Alessandro Specchi, l’allievo di Fontana che era stato curatore dello Studio nonché autore di gran parte delle sue tavole in veste di rilevatore, disegnatore e incisore. Fontana, Juvarra e meno direttamente Sergardi potrebbero aver avvicinato Ferdinando alle attività dell’Accademia di S. Luca.
Per quanto riguarda il viaggio a Parigi, poco fortunato secondo Gabburri, potrebbe essere stato compiuto prima del 1712 oppure fra il 1714 e il 1717: entrambi i periodi per i quali mancano notizie su Ferdinando. Nel 1717 il suo nome appare nell’elenco dei contributori dell’Accademia del disegno di Firenze, le cui tasse continuò a versare fino al 1740, mentre risulta immatricolato dal 1720. Dietro suggerimento dell’abate Bottari – come quest’ultimo scriveva in una lettera del 1764 a Giovanni Pietro Zanotti –, nel 1718 fu avviata l’impresa editoriale dello Studio d’architettura civile, una raccolta di particolari architettonici da palazzi e fabbriche esemplari di Firenze. Fu pubblicato in tre volumi in folio presso la Stamperia Reale rispettivamente nel 1722, nel 1724 e nel 1728; un quarto volume, annunciato nella prefazione al primo, non fu composto.
L’operazione editoriale maturò quando era ormai certa l’estinzione della dinastia medicea e nei tre volumi (rispettivamente dedicati al granduca Cosimo III, al granduca Gian Gastone e a Maria Luisa, elettrice palatina, ultima rappresentante della famiglia) si celebra la secolare attività di mecenati a partire da Cosimo il Vecchio con Filippo Brunelleschi e Lorenzo il Magnifico con Michelangelo Buonarroti. L’approccio ‘scientifico’ al lavoro è ricordato dallo stesso Ruggieri, che sottolinea il controllo totale avuto sulle varie fasi essendo egli stato rilevatore, disegnatore, incisore e responsabile delle scelte critiche delle architetture da presentare. In quest’ultima operazione è contenuta la finalità del progetto, ossia mostrare gli esempi utili a far risorgere l’architettura: Ruggieri ne individua la strada, condivisa nell’ambiente artistico della capitale granducale, nelle esperienze fiorentine del Cinquecento. Lo Studio restò un riferimento importante nella Firenze del XVIII secolo, tanto da essere ripubblicato dall’editore francese Bouchard nel 1755, in epoca lorenese. In questa occasione ai tre volumi ne fu aggiunto un quarto che includeva altre due pubblicazioni precedenti: quella su S. Maria del Fiore, con i disegni di Giovan Battista Nelli, e quella sulla Biblioteca Medicea Laurenziana, con i disegni di Giuseppe Ignazio Rossi; in entrambi i casi, autore delle incisioni fu Bernardo Sansone Sgrilli.
L’attività di incisore rappresentò la principale occupazione di Ruggieri fino agli inizi degli anni Trenta; si può ritenere che dai rapporti intrattenuti con la società erudita e la nobiltà fiorentine siano derivate le altre sue opere di disegnatore e di incisore. Cinque sue tavole accompagnano la relazione scritta da Niccolò Marcello Venuti per descrivere la cerimonia funebre in ricordo di Luigi I di Spagna svoltasi a Firenze in S. Maria Novella, data alle stampe nel 1724. L’anno successivo incise per la famiglia Niccolini una planimetria dei territori di Foligno e Montefalco disegnata da Pietro Antonio Tosi; per la stessa famiglia nel 1738 avrebbe inciso il suo progetto per il rifacimento del palazzo in via dei Servi a Firenze. Nell’anno di uscita dell’ultimo volume dello Studio, il 1728, fu pubblicato il libro di Anton Francesco Gori sulla cappella di S. Antonino nella chiesa di S. Marco, in cui il lungo testo è accompagnato da otto incisioni: le due relative al corpo e al deposito del santo furono disegnate da Giuseppe Masi e incise da Sgrilli; le sei rimanenti, relative alla configurazione architettonica dell’ambiente, furono invece disegnate e incise da Ruggieri. Sempre nel 1728 Ruggieri e Sgrilli si accordarono con gli eredi di Giovan Battista Nelli per poter copiare, incidere e quindi pubblicare i disegni inediti di S. Maria del Fiore eseguiti dall’erudito, che apparvero effettivamente in volume nel 1733. Allo stesso giro di anni dovrebbero risalire le due incisioni con la ricostruzione di un edificio antico elaborata da Alessandro Galilei, frutto di un’inedita collaborazione alle attività dell’Accademia Etrusca di Cortona. È datata settembre 1731 la celebre Pianta di Firenze di cui si ignorano le vicende editoriali. Ancora nel 1731 il cardinale Giuseppe Maria Ercolani affidò a Ruggieri l’esecuzione delle tavole di un’opera di argomento geografico, Le quattro parti del mondo egualmente divise e col medesimo invariabile ordine geograficamente descritte; ma l’incarico non fu portato a termine, dato che il testo di Ercolani sarebbe stato pubblicato senza illustrazioni nel 1756. Altra importante impresa, nata da un’idea di Gabburri e in cui furono poi coinvolti anche Gori e Filippo Buonarroti, fu quella delle Gemmae Antiquae ex Thesauro Mediceo et Privatorum Dactyliothecis Florentiae (1731-32), dove il nome di Ruggieri appare insieme a quello di numerosi altri incisori fiorentini e romani. Sempre nel 1731 la comunità inglese di Livorno commissionò la costruzione di un arco di trionfo effimero in onore dell’arrivo di Carlo di Borbone, all’epoca probabile erede di Casa Medici: l’anno successivo Ruggieri e Gori ne diedero alle stampe la Descrizione; l’architetto scrisse l’introduzione, Gori la relazione descrittiva con la trascrizione delle iscrizioni apposte sull’arco.
Ruggieri arrivò tardi alla pratica dell’architettura, e ciò coincise con l’abbandono dell’attività d’incisore che gli aveva portato notorietà; esclusa la sua partecipazione al cantiere del palazzo Capponi alla Ss. Annunziata, ricevette il suo primo incarico documentato solo nel 1725, quando fu chiamato per piccoli lavori in palazzo Serristori, sul lungarno a Firenze. Restano ancora ignoti i canali attraverso i quali arrivò nel 1730 la commissione per la facciata della chiesa fiorentina di S. Filippo Neri, parte di uno dei complessi architettonici più rappresentativi della città fra il Seicento e il Settecento.
Il fronte fu progettato nel rispetto della tradizione tardocinquecentesca fiorentina, ma con qualche personale interpretazione, come le paraste binate di ordine gigante. Successivamente, lo schema sarebbe stato copiato da Zanobi del Rosso (a partire dal 1772) all’estremità opposta del prospetto dell’edificio.
Sebbene molto ridotta, l’attività architettonica fiorentina era dominata da Alessandro Galilei, architetto di corte a capo dello Scrittoio delle fortezze e fabbriche fino al dicembre 1731, allorquando si trasferì a Roma per servire alla corte del fiorentino Clemente XII Corsini, eletto papa nel 1730. Rimasto a Firenze quale uno dei principali architetti, Ruggieri tentò di entrare non nello Scrittoio bensì nel corpo degli ingegneri dei Capitani di parte; incarico che ottenne nel gennaio 1732. In tali vesti, insieme con Bernardino Ciurini fu inviato a Genova a visitare l’albergo dei poveri; ai due fu chiesto di studiarne la struttura nell’aspetto architettonico e istituzionale.
Il nuovo ruolo di ingegnere di Parte non gli impedì di cercare fortuna presso la corte papale, dove andavano affermandosi i concittadini Galilei e Ferdinando Fuga, oltre ad artisti e uomini di cultura toscani; l’occasione si presentò nel 1732 con il concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano. In quell’occasione Ruggieri si rivolse inutilmente a Bottari per cercare di capire i gusti del circolo corsiniano, ma non poté far altro che assistere a distanza all’ascesa professionale di Galilei, vincitore del concorso.
Il disegno di una facciata di chiesa a cinque navate conservato nell’archivio Corsini di Firenze potrebbe essere messo in relazione alle due proposte presentate all’abate.
Durante gli anni Trenta, ricevette vari incarichi, di poco rilievo, da diverse famiglie del Granducato: a Firenze, dopo i già citati Serristori (modifiche interne al palazzo e arredo del giardino sul lungarno, 1725 circa), i Ducci (sistemazioni interne e facciata del palazzo in borgo Ognissanti, 1732), i Corsi (ristrutturazione del prospetto del palazzo su via Tornabuoni, 1736), gli Strozzi di Mantova (sistemazioni interne al palazzo di piazza del Duomo, 1733), i già citati Niccolini (proposta di progetto per la facciata del palazzo su via dei Servi, 1738); quindi, fuori città, i Pucci (Lastra a Signa, villa di Bellosguardo, prosecuzione dei lavori di Foggini, 1730 circa) e i Tempi (Montemurlo, villa del Barone, progetto per la cappella, 1735; direzione dei lavori della villa, 1738). L’unico rapporto lavorativo più duraturo fu forse quello che instaurò con i Sansedoni di Siena, lavorando nel loro palazzo cittadino (ampliamento interno con scalone e facciata su piazza del Campo, 1731) e nelle ville di Monteriggioni (supervisione dei lavori, 1739 circa) e di Monteroni d’Arbia (consulenza, 1740 circa). Ma le occasioni professionali dovettero essere più numerose di quelle finora note: si ricordano ancora il teatro di San Miniato al Tedesco (1736), il rifacimento della chiesa di S. Margherita a Cortona finanziato da Giovanni V di Portogallo (1736), e la progettazione della «fabbrica nuova» del monastero della Visitazione a Pistoia (1737).
A metà degli anni Trenta Ruggieri ricevette due importanti incarichi: il rifacimento degli interni della collegiata di S. Andrea a Empoli (1735) e quello della chiesa di S. Felicita a Firenze (1736). Nel primo caso, non intervenne sull’abside ma operò la distruzione del corpo longitudinale a tre navate per realizzare un unico ambiente con cappelle laterali. Per S. Felicita, ricevette la commissione dalle monache dell’annesso convento, anche se il cantiere godette dei contributi economici del granduca per essere la chiesa una sorta di cappella palatina.
In questi interventi architettonici, Ruggieri trasse ispirazione dalla tradizione fiorentina cinquecentesca, la stessa che aveva indagato nel suo Studio; il rispetto per l’opera vasariana, michelangiolesca e di Ammannati non gli impedì di rendere omaggio a Filippo Brunelleschi in S. Felicita, dove la cappella Barbadori rimase esclusa dal rifacimento. I giudizi sull’operato architettonico di Ruggieri sono per lo più critici; la sua opera è stata tacciata di provincialismo (Ciletti, 1981, p. 114) e di anacronismo anche per la parte teorica (Cresti, 1987, p. 54).
In qualità di ‘ingegnere del funerale’, ossia chiamato per l’occasione, nel 1737 lavorò alle esequie di Gian Gastone, ultimo granduca mediceo, in palazzo Pitti e in S. Lorenzo.
Il passaggio alla dinastia dei Lorena segnò anche un cambiamento nella carriera di Ruggieri, che da quel momento risultò maggiormente coinvolto nei ranghi dell’apparato statale. Le antiche magistrature subirono le trasformazioni necessarie alle nuove necessità di governo. Dal 1737 l’istituto dello Scrittoio fu ribattezzato Bâtiments et galeries e fu diretto da Jean-Nicolas Jadot; dal febbraio 1738, in qualità di architetto, vi compare fra gli stipendiati Ruggieri, contemporaneamente professore di architettura presso l’Accademia reale delle arti. Nel nuovo istituto Ruggieri affiancò Jadot in lavori ordinari, ma gli riuscì di far assumere il fratello minore Giuseppe (1707-1772), che, al trasferimento di Jadot a Vienna (1745), resse le sorti dei Bâtiments et galeries fino al 1769, quando fu allontanato per infedeltà.
In questa fase della carriera di Ruggieri s’inserì un’importante occasione che lo portò a intervenire nella basilica di S. Lorenzo e nella cappella dei Principi, ossia il complesso architettonico simbolico del rapporto fra Firenze e i Medici: il luogo dove era iniziata con Brunelleschi la grande committenza medicea, che però non era stata portata a termine. L’elettrice palatina era determinata a completare l’opera, che in qualità di fabbrica di Stato era di competenza dell’ex Scrittoio delle fortezze e fabbriche; di conseguenza l’incarico ricadde su Ferdinando Ruggieri prima e poi sul fratello Giuseppe. La chiesa di S. Lorenzo presentava seri dissesti statici che creavano problemi alla zona absidale e alla cupola; la fabbrica della cappella era invece interrotta all’altezza del tamburo. Nelle intenzioni della committente bisognava restaurare l’edificio, costruire il campanile, decorare l’intradosso della cupola, dare alla chiesa una facciata e completare la cappella dei Principi. La necessità di fare in fretta, anche per via dell’età della committente, che sarebbe morta nel 1743, e gli scarsi mezzi finanziari comportarono però l’abbandono dell’ambizioso programma iniziale. A Ruggieri furono pertanto richieste competenze di carattere ingegneristico; come dimostra la Relazione dei resarcimenti del 1741, stesa insieme al fratello Giuseppe e a Matteo Porcellotti, il lavoro fu portato avanti con sapienza soprattutto nelle parti che riguardarono il consolidamento delle fondazioni e delle pareti del coro, preliminari al rinnovamento della copertura e alla decorazione della cupola.
Nello scritto Ruggieri tace della distruzione degli affreschi di Pontormo, dei ritrovamenti di resti romani e paleocristiani e, ciò nonostante, Valerio Tesi (2006, p. 107) sottolinea il metodo ‘scientifico’ cui egli ricorse nello stendere la Relazione, dove l’analisi dei problemi strutturali è condotta partendo dai dati storici, secondo quella cultura antiquaria fiorentina tipica del periodo degli ultimi Medici.
Nel giugno 1740 fu dato avvio alla costruzione del nuovo campanile, completato nel luglio dell’anno successivo, poco dopo la morte di Ferdinando. Più ambizioso fu il progetto per la cupola della cappella dei Principi. Il foglio 8029A del Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi documenta e compara l’alzato della cappella del 1740, cioè alla ripresa del cantiere, con quello del 1743, alla morte dell’elettrice, quando, per l’ennesima volta, i lavori furono interrotti. La parte su cui intervenire era la cupola, il cui rivestimento era interrotto all’altezza del tamburo. La proposta di Ruggieri fu tradotta in un modello ligneo che dichiara la distanza dalla cupola pensata da Matteo Nigetti intorno al 1602; Ferdinando innalzò il tamburo, unificando i due ordini di aperture esistenti in grandi finestroni svasati, al fine di dare una nuova curvatura alla cupola. Se realizzata, essa avrebbe costituito un riferimento architettonico importante nel profilo della città e inciso un segno simbolico di gran rilievo, soprattutto se si considerano i costoloni marmorei e la lanterna, ovvio riferimento alla cupola brunelleschiana della cattedrale.
Il fallimentare episodio del concorso del 1732 dimostrava l’incapacità di Ruggieri di svincolarsi dal vocabolario dell’architettura fiorentina del Cinquecento, che fin troppo bene conosceva per averla misurata, disegnata, incisa: un patrimonio culturale di base condiviso con gli architetti della sua generazione, ma dal quale non riuscì a emanciparsi o che non seppe interpretare in formulazioni personali. Anche con la grande opportunità di realizzare la cupola per la cappella dei Principi emergono i limiti di Ruggieri, che continuò a guardare solo al repertorio strettamente fiorentino.
Ridotto in condizioni di miseria a causa di una malattia e della famiglia numerosa, morì a Firenze il 27 giugno 1741.
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