TARTAGLIA, Ferdinando (Fernando).
– Nacque a Parma il 1° ottobre 1916 da Luigi e da Silvia Azzali. Il padre era un imprenditore nell’abbigliamento militare, la madre morì prematuramente di influenza spagnola nel 1918.
Entrò in seminario a Parma nel 1932 e dal 1935 risiedette a Roma presso il seminario lombardo. Nel 1939 fu ordinato sacerdote e nel 1941 si laureò in teologia alla Pontificia Università Gregoriana con una tesi su La spiritualità di Antonio Rosmini. Gli anni romani di Tartaglia sono segnati da un disagio crescente nei confronti del cattolicesimo come dottrina e come pratica (Falconi 1958). Nell’autunno del 1942 chiese ospitalità agli oratoriani di Genova per sé e per alcuni giovani sacerdoti – Giuseppe Del Bo, Sante Pignagnoli, Michele Do – che si erano raccolti attorno a lui al tempo del seminario lombardo, mossi da una stessa inquietudine religiosa e dalla volontà di sperimentare insieme una vita di comunità e di studio. Costretti dalla guerra a porre fine al progetto, proseguirono il loro ritiro a Firenze in via delle Campora, dove Tartaglia si trasferì nel 1943, destinato alla parrocchia di Bellosguardo. Nel marzo l’autorità ecclesiastica impose lo scioglimento della comunità.
Michele Do si ritirò in Val d’Ayas, parroco di Saint Jacques, e fece del suo romitaggio un luogo di spiritualità e di incontri. Sante Pignagnoli attraversò una lunga crisi, non abbandonò gli studi e si dedicò all’insegnamento. Giuseppe Del Bo chiese la riduzione allo stato laicale. Dal 1946 collaborò con Giangiacomo Feltrinelli ed è noto il suo impegno nella direzione degli Annali dell’Istituto – poi Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Ai primi anni Quaranta risale l’incontro di Tartaglia con Ugo Guanda, che a Modena nel 1932 aveva iniziato la sua attività di editore. A Guanda Tartaglia propose una collana, Figli dell’uomo, dove tra il 1943 e il 1944 uscirono testi di John Henry Newman, di Gabriel Marcel, di Nicolas Malebranche, di Blaise Pascal.
Traduzioni e note editoriali erano «più che interpretanti» osservò Michele Ranchetti nel profilo di Tartaglia tracciato nel 1996 (ora in Ranchetti, 2003, p. 83). «Fiammeggianti», scrive Fabio Milana (2011), le Note che introducevano i testi «alludevano a un avvento per ora inesploso di novità» (p. 1487). Tartaglia vi conduceva una critica radicale del pensiero teologico moderno. Da Pascal a Newman, la religion du coeur esprimeva in modo emblematico la crisi della dimensione teoretica e religiosa del pensiero contemporaneo: «Oggi sentiamo che questo lungo moto di cuore si è andato estenuando; siamo consapevoli di avere vissuto una religione che, sotto voci di inarrivabile purezza, celava il peccato di una crisi. [...] Sono le nuove realtà affioranti dal profondo a rivelarci quotidianamente la necessità di ritrovarci in un nostro più alto destino religioso» (Nota, in J.H. Newman, Filosofia della religione, 1943, pp. 395 s.; per un approfondito commento alle Note cfr. Milana, 2004).
A Firenze tra la Liberazione e l’immediato dopoguerra Tartaglia ebbe allievi e discepoli, per il fascino della sua cultura filosofica e teologica e il pathos della sua parola che predicava ‘novità’. Cesare Vasoli ricordava l’influenza che il sacerdote esercitò sulla formazione intellettuale di molti giovani suoi coetanei, rivelatasi nel tempo duratura e profonda (Presentazione, in P. Polito, Reminiscenze e rammarichi, Firenze 1998).
Dal giugno del 1945 Guanda prese a pubblicare a Parma Il Contemporaneo. La collaborazione di Tartaglia alla rivista segnò l’inizio di un impegno pubblico che conferì nuova veste alla sua predicazione. Nel primo scritto, evocando il registro profetico, chiamava a giudizio i pochi dotati di qualche intelligenza di religione, che nel momento di testimoniare «si assentano e deludono» (Accuse a questi italiani, in Il Contemporaneo, I (1945), 5). Li nominava, sollecitandoli a farsi «voce di religione», da Primo Mazzolari a Ernesto Buonaiuti ad Aldo Capitini tra gli altri, responsabili, per deviazione verso il momento ‘politico’, della «perdurante irreligione» che nella visione di Tartaglia fu causa nella storia d’Italia di ripetuti ‘tradimenti’: da Gioacchino da Fiore a Francesco d’Assisi a Dante, alla Riforma invano sollecitata da umanesimo e protestantesimo, al Risorgimento. L’accusa era rivolta al cattolicesimo (Questo cattolicesimo è falso, ibid., I (1945), 7), religione del vecchio di contro alla religione del nuovo, della libertà, della diversità che era ormai tempo di iniziare. La ‘novità’ che Tartaglia annunciava cominciava «di là da tutti i valori, anche supremi che, saliti dall’uomo e discesi da quello che l’uomo dice Dio, hanno nutrito finora la storia visibile e invisibile della creatura. [...] tutto dev’essere tramutato» (Programma a dialogo, ibid., II (1946) 10).
Il suo legame con la Chiesa cattolica si risolse nel giugno del 1946 con un decreto del S. Uffizio che lo scomunicava e lo dichiarava vitandus. Ma il vincolo, scriveva Tartaglia, era «già da me stesso irrimediabilmente reciso» (Per un giornale americano, ibid., II (1946) 11). «D’altronde la scomunica non può far sì che la Chiesa romana non appartenga a me, come appartiene all’uomo, all’uomo religioso più che mai, tutto ciò che passa fra cielo e terra; e che io, quando non ho altro di più importante da fare, non mi occupi anche di questo mio possesso, non cerchi travolgerlo nel vento di quella ‘novità’ che desidero» (ibid.).
Il 20 aprile 1946 era morto a Firenze Buonaiuti. Tartaglia lo ricordò come «uno dei pochissimi che negli ultimi anni vivessero rivolti al cattolicesimo», cattolico «in un’agonia perpetua di intenzioni e di illusioni» e nel contempo anticattolico, «proclamatore di una decadenza finale del cattolicesimo», cristiano e non cristiano, «denunciatore di una insicurezza cristiana improrogabile» (Se capivo Ernesto Buonaiuti, ibid., II, 11, 1946).
Milana ha parlato del rapporto fra i due in termini di contiguità ma anche di «non dissimulata distanza» (2004, p. 117). Scriveva Tartaglia: «Buonaiuti è stato, dentro una stagione di crisi, un’apparizione di crisi doppia e perfetta. Pativa [...] la crisi della condizione moderna e la crisi di quella chiesa che di tale condizione presumeva essere l’avversaria meno riducibile. Conseguentemente, per chi (come me) sente la crisi a male e non l’accetta consostanziale all’esistere ma ne vuole ad ogni costo il superamento, il segno che connota Buonaiuti come uomo di crisi è negativo; benché sia una negatività piena di allusioni e si converta talora anche a un modo di positività iniziale e distante» (Se capivo Ernesto Buonaiuti, cit., p. 3). Da quella ‘partita ultima’ di richiesta di religione e di annullamento in cui era per Tartaglia il senso vero della figura di Buonaiuti «può darsi – affermava – stia per nascere domani il nuovo gioco del nuovo uomo religioso» (ibid.).
Tra le relazioni di quegli anni, particolare rilievo ha il rapporto con Aldo Capitini. La sua opera Elementi di un’esperienza religiosa (Bari 1937), lo ha ricordato Milana (2011), fu riconosciuta da molti «come un segno precoce di speranza e di preparazione» (p. 1483). Dopo l’organizzazione del Primo Convegno sul problema religioso attuale, tenuto a Perugia dall’8 al 10 ottobre 1946, per qualche anno i due collaborarono insieme nel Movimento di Religione, che da quel convegno prese le mosse. Nel Movimento si incontravano, nella rievocazione di Tartaglia, «uomini che venivano da esperienze diversissime, alla fine della seconda guerra mondiale, in uno dei paesi occidentali più battuti e stanchi, l’Italia» (Chiarimenti al Movimento di religione, in Fondazioni, II, 1948). L’istanza che li accomunava era rivolta «a una fine di tutta la realtà e di ogni eventuale soprarealtà finora esistita, pensata o vagheggiata». Un’unica domanda importava: «l’uomo, la realtà possono cambiare sostanzialmente, sì o no?». Ciò che esigevano, commenta Milana, «era qualcosa come un ‘cambiamento ontologico’: un ossimoro evidentemente, a sciogliere il quale essi sollecitavano appunto l’attività umana più alta, la religione, che Tartaglia aveva illustrato quale “una perdutissima malinconia di trascendere e trasfigurare”, “un impegno al destino totale dell’uomo, al destino totale della realtà”» (2011, p. 1488).
La Cittadella, una rivista nata a Bergamo dall’impegno di alcuni giovani uniti da studi comuni, dall’antifascismo e dalla partecipazione alla Resistenza (Mangini, 1999), stampava i documenti del Movimento. La ‘novità’ annunciata da Tartaglia suscitò consensi nella redazione ma anche crescenti perplessità. Qualcuno ne denunciava l’oscurità e l’ermetismo (Cidale, 1997-98). Nella percezione di molti era venuto meno il carattere di libera ricerca e studio comune che aveva caratterizzato le origini del Movimento. Si imputava a Tartaglia l’abbandono di temi assai partecipati nei primi convegni, dalla libertà religiosa al concordato, alla scuola, alla non violenza (La Cittadella. Politica e cultura. 1946-1948, ed. anast., Bergamo 2000). Nel novembre del 1947 la rottura era ormai consumata. Di lì a poco la sconfitta del Fronte delle sinistre alle politiche del 1948 avrebbe segnato la fine della rivista, mentre anche il Movimento di religione si avviava a chiudere il proprio percorso.
Più ambizioso e più «ereticale» del progetto di Capitini, osserva Ranchetti (2003, p. 83), il progetto di «tramutazione» religiosa di Tartaglia non tanto si proponeva una nuova fondazione etica, quanto un «cominciare la ‘religione’ da capo, avversando ogni forma di sistemazione che di essa si era data nei secoli». E prosegue: «La sua collaborazione con Capitini fu solo un episodio, nella sua ricerca di “novità”. Anche Capitini era troppo consenziente con le forme del vivere civile e soprattutto del pensare religioso tradizionale».
Nel 1948 Capitini scelse di aderire al Fronte popolare delle sinistre portandovi la propria proposta per una «comunità aperta», solidale, non violenta. Negli orientamenti di Tartaglia era piuttosto l’anarchismo, una volta aperto a una concezione di società ‘postanarchica’, il movimento più consono a favorire l’avvento di una ‘religione reale’ (Anarchismo e postanarchismo, in Gioventù anarchica, II (1947), 2-3). Agli anarchici italiani, con cui aveva contatti frequenti, propose una scelta di antielettoralismo organizzato (Proposta per il tempo di elezioni, in Umanità nuova, XXVIII (1948), 5). Le sue posizioni e quelle di Capitini si erano ormai divaricate (ma si vedano più in profondità le considerazioni di Ranchetti 2003, e ora Milana 2011). In Progetto di religione (1951, p. 127) Tartaglia rievocava la vicenda del Movimento nei termini di un’avventura provvisoria che ambiva «appena avviare e non concludere», per dissolversi presto affinché subentrassero «altre realtà più lontane e più vere».
Nel 1949 in un volume collettaneo aveva pubblicato le Tesi per la fine del problema di Dio, riproposte da Adelphi con un saggio di Sergio Quinzio apparso a suo tempo nelle Lettere dal Monastero di Montebello. Delle Tesi e delle loro «proclamazioni fondative» Milana (2004) ha condotto una lettura di particolare impegno e rilievo, ripercorrendo negli anni anche le sintonie e i disconoscimenti di Quinzio nei confronti del maestro, recuperato e ‘salvato’ entro lo schema della profezia e del suo necessario fallire. «Ma non si trattava di linguaggio profetico. Probabilmente Tartaglia è stato davvero ciò che ha inteso essere, il fondatore di una religione sulla base del cristianesimo, e sullo sfondo di una cultura che aveva elaborato con acutezza rimasta insuperata i termini della propria crisi. Che di tale religione nulla sia rimasto a noi, è “fallimento” che a stento le si può imputare, non avendo essa, per sé, come tale, desiderato distensione alcuna all’interno di questo mondo, rimasto privo di trasfigurazione» (ibid., p. 141).
Tartaglia continuò a scrivere in silenzio e in crescente solitudine: del corpus mai condotto a termine delle sue opere resta un’imponente mole di inediti di difficile datazione e lettura, custoditi ora nell’Archivio di Stato di Firenze. Altrettanto monumentale è il corpus della sua opera poetica anch’essa per lo più inedita, che ha come titolo autografo Esercizi di verbo, non secondaria rispetto all’opera filosofica, avverte Adriano Marchetti, che ne ha offerto un saggio nell’antologia curata per Adelphi.
Il matrimonio di Tartaglia con Germaine Mühlethaler (Joë Bousquet nelle sue lettere la chiamava Poisson d’Or), contratto con rito civile a Sanary-sur-Mer l’8 aprile 1950, fu di breve durata. Riammesso da ultimo nella comunione cattolica, morì a Firenze il 24 giugno 1988. Aveva chiesto che il suo funerale avesse carattere «religiosissimo» (Cattaneo, 2002, p. 117). Volle essere sepolto con i piedi scalzi, in segno di umiltà e «desiderio di corsa».
Opere. Fra le sue curatele e traduzioni si ricordano G. Marcel, Diario e scritti religiosi, Modena 1943; J.H. Newman, Filosofia della religione, Modena 1943; N. de Malebranche, Meditazioni cristiane e metafisiche col Trattato dell’amor di Dio, Modena 1944; B. Pascal, Le provinciali, Modena 1944. Tra i suoi scritti: Tesi per la fine del problema di Dio (1949), Milano 2002 (con un saggio di S. Quinzio, Ferdinando Tartaglia e la profezia del “puro dopo”, 1973); Progetto di religione, Modena 1951; Discorso di tre aprile (datato Firenze, Mezzacosta, 1960), Firenze 1963; Tre ballate, a cura di A. Marchetti, Bologna 2000; Esercizi di verbo, a cura di A. Marchetti, Milano 2004; La religione del cuore, Milano 2008.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Tartaglia Ferdinando, in Guida agli Archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area fiorentina, a cura di E. Capannelli - E. Insabato, Firenze 1996, pp. 603-605.
C. Falconi, Gli spretati (1958), Milano 2003, pp. 160 s.; G. Cattaneo, L’uomo della novità (1967), Milano 2002; S. Quinzio, La notturna novità di F. T., in Tempo presente, XIII (1968), pp. 68-71; Id., F. T. e la profezia del “puro dopo”, in Lettere dal monastero di Montebello, Urbania 1974, pp. 15-64; Id., Lo scomunicato: F. T., in Leggere, IX (1989), pp. 35-36; C. Tiezzi, Profilo intellettuale di F. T. fino al 1949, in Religioni e società, parte I, X (1995), 22-23, pp. 116-131, parte II, ibid., 26, pp. 120-137; F. Milana, Piccole apocalissi. Sergio Quinzio 1945-1970, in Bailamme, XX (1996), dicembre, pp. 68-99; W. Cidale, Il Movimento di religione in Italia nella seconda metà degli anni Quaranta, tesi di laurea, Università di Pisa, a.a. 1997-98; R. Mangini, Aldo Capitini, «La Cittadella» e il Movimento di religione, in Rivista storica dell’anarchismo, VI (1999), 1, pp. 5-40; A. Scattigno, «Favole d’inizio». F. T., in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, XXV (1999), pp. 457-483; M. Ranchetti, Non c’è più religione e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento, Milano 2003, pp. 39-96; F. Milana, Il vangelo del Dio nuovo. Su Tartaglia, in L’ospite ingrato. La responsabilità della critica, VII (2004), 1, pp. 105-141; Id., I cenacoli intellettuali/2: dalla Conciliazione al concilio, in Cristiani d’Italia. Chiese, società e Stato. 1861-2011, diretta da A. Melloni, II, Roma 2011, pp. 1481-1494 (in partic. pp. 1483, 1487-1489), http://www.treccani.it/enciclopedia/i-cenacoli-intellettuali-2-dalla-conciliazione-al-concilio_ %28Cristiani-d%27Italia%29/ (25 marzo 2019); Tra poesia e pensiero. L’eretico F. T. Atti del Convegno, 2009, a cura di M.G. Beverini Del Santo - M. Marchi, Firenze 2011.
(Fernando)
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