Ferdinando Ughelli
Nell’Europa confessionale dei secc. 16°-18°, lo studio e l’insegnamento della storia delle Chiese assunsero un’importanza decisiva, in primo luogo come efficaci strumenti di controversia. Nell’ambito della storiografia ecclesiastica cattolica del 17° sec., l’Italia sacra di Ferdinando Ughelli – una «storia d’Italia prima dell’Italia», scritta attraverso la storia e la descrizione delle diocesi di tutta la penisola – si distingue per la solidità dell’impianto erudito e la sistematicità della trattazione, che ne hanno fatto il necessario fondamento di tutte le successive storie della Chiesa in Italia. Ancora oggi essa rappresenta un punto di riferimento indispensabile per gli studiosi.
La prima – e a oggi più completa – biografia a stampa di Ughelli si deve al suo confratello e allievo Giulio Ambrogio Lucenti e fu premessa alla seconda edizione dell’Italia sacra (1717-1722). Nato a Firenze il 19 marzo del 1596 (data attestata da Giorgio Morelli nel 1990; 1594 o 1595 secondo altri biografi) da una famiglia di estrazione agiata, Ughelli entrò nell’ordine cistercense nel 1610, nel monastero di Cestello in Borgo Pinti a Firenze. Studiò in diverse abbazie benedettine come quelle di Morimondo Coronato presso Milano, dal 1614, poi San Bartolomeo a Ferrara, e quindi di nuovo Cestello a Firenze fino al 1621.
Tra il 1621 e il 1623 completò il proprio corso di studi presso il Collegio Romano della Compagnia di Gesù, dove ebbe come docenti di filosofia e di teologia rispettivamente Francesco Piccolomini (più tardi generale della Compagnia dal 1649) e Juan de Lugo (che sarebbe stato poi nominato cardinale da Urbano VIII, nel 1660). Fu priore del monastero di Cestello dal 1624 al 1627 e in seguito, per le sue capacità di governo e di amministrazione, fu chiamato alla guida di abbazie in condizioni finanziarie critiche che necessitavano di un’azione di riforma. Tra il 1628 e il 1631 fu abate di San Galgano presso Chiusdino (Siena), e dal 1632 al 1635 divenne abate di Nonantola. Tra il 1635 e il 1637 fu abate di San Salvatore a Settimo, presso Scandicci, la più antica e prestigiosa casa dell’Ordine in Toscana, dove Ughelli intraprese un’efficace opera di risanamento finanziario ed edilizio, fornendo, tra l’altro, l’abbazia di una nuova biblioteca. Si dedicò personalmente allo studio della storia dell’ordine cistercense, come dimostrano diversi suoi manoscritti giunti fino a noi, oltre ai Cardinalium elogia, qui ex sacro Ordine Cisterciense floruere, dati alle stampe a Firenze nel 1624.
Ughelli ricoprì importanti incarichi all’interno della provincia toscana, tra i quali quello di definitore e poi di preside capitolare. Fu successivamente eletto preside generale, ma declinò l’incarico per essere nominato procuratore generale dell’Ordine presso la curia romana nel 1637 e, contemporaneamente, abate monastico delle Tre Fontane (Santi Vincenzo e Anastasio alle Acque Salvie) a sud di Roma. La sua decisione di trasferirsi a Roma fu senza dubbio legata alla necessità di consultare gli archivi e le biblioteche dell’Urbe, per poter portare a compimento il progetto dell’Italia sacra.
A Roma Ughelli entrò nell’orbita dei Barberini e nella loro rete di patronage, legandosi in particolare a Urbano VIII (al quale dedicò un ampio profilo nel primo volume della sua opera) e al cardinale Francesco Barberini, abate commendatario delle Tre Fontane e suo mecenate. Fu molto stimato e sostenuto anche dai pontefici toscani Alessandro VII Chigi (il quale, secondo il giudizio di Ludwig von Pastor, lo accolse nella cerchia dei suoi ‘intimi’) e Clemente IX Rospigliosi. Il primo conferì a Ughelli una generosa pensione di 500 scudi annui, che gli venne riconfermata per volere del secondo. In questi anni divenne, inoltre, teologo del granduca di Toscana Ferdinando II (incarico conferitogli ufficialmente nel 1642 e rinnovato nel 1646) e del cardinale Carlo de’ Medici, oltre che consultore della Congregazione dell’Indice. Secondo quanto scrive Lucenti, quest’ultimo incarico gli sarebbe stato attribuito per iniziativa del cardinale Orazio Giustiniani, bibliotecario che apparteneva alla clientela dei Barberini. Il cardinale Francesco Barberini gli affidò il compito di collaborare con il canonico Andrea Vittorelli e con altri eruditi, tra i quali il francescano Luke Wadding, alla revisione e riedizione delle Vitae et gesta summorum pontificum (1601) del domenicano spagnolo Alfonso Chacón (ed. 1650), e – assieme a Carlo Emanuele Pio di Savoia e a Filippo Casoni – fu tra i promotori dell’Italia sacra (ed. 1643-1662).
Alla sua morte, avvenuta a Roma il 19 maggio del 1670, Ughelli fu sepolto nella chiesa dell’abbazia delle Tre Fontane. A scriverne l’epitaffio funebre fu proprio il cardinale Francesco Barberini, che rimase erede dei suoi scritti, confluiti nel 1902 nella raccolta di Codices Barberini della Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. Lat., 3239-46).
Almeno a partire dalla metà degli anni Venti del Seicento, Ughelli lavorò alacremente alla realizzazione del suo progetto più ambizioso, quello di una geografia e storia di tutte le diocesi d’Italia. Nella prefazione egli esplicitava i propri intenti e i metodi utilizzati per la realizzazione dell’opera. La grandezza dell’Italia, nella visione di Ughelli, si sarebbe manifestata attraverso la Chiesa e i suoi vescovi, qui più numerosi che in qualunque altra regione dell’orbe cristiano. L’Italia, grazie alla prossimità con la Santa Sede (ex vicinitate sacri Throni Romanorum Pontificum), era stata nei secoli fidei christianae asylum, ars pietatis, catholicorum dogmatum promptuarium, sedes pontificum, imperatorum parens, altrix artium («rifugio della fede cristiana, opera della pietà, arsenale dei dogmi cattolici, sede dei pontefici, genitrice di imperatori, nutrice delle arti»), ma anche totius sanctitatis, integritatisque feracissimus campus, gravida foetaque semper egregiis, ac fortibus viris («campo fecondo di ogni santità e integrità, sempre gravida e pregna di uomini eccellenti e forti»). Ed era precisamente questa l’immagine che il cistercense intendeva trasmettere ai lettori, per mezzo della storia e della mappatura delle diverse sedi vescovili, tanto di quelle ancora attive quanto di quelle ormai scomparse, salvando così dall’oblio i nomi di uomini e di famiglie illustri, il cui esempio avrebbe potuto ispirare le generazioni a venire.
Egli chiariva quindi le caratteristiche del lavoro erudito di scavo sulle fonti (alcune ormai disponibili a stampa, ma la maggior parte delle quali manoscritte) che stava alla base dell’opera:
abbiamo studiato gli atti pubblici, i privati ricordi, cercato cronache, letto lapidi, iscrizioni, elogi sepolcrali, consultato scrittori sincroni, abbiamo assunto, quasi a guida per il nostro racconto, i diplomi d’imperatori, re e pontefici, ogni qual volta ne davano occasione, affinché potessimo eliminare le versioni incerte, sostituendole con le più certe, tagliare le notizie assurde, e narrare con lode le vere, liberi da ogni passionalità (Italia sacra, I, praefatio).
Ughelli manifestava in questo modo l’esigenza di fedeltà ai documenti e al loro linguaggio,
Nel citare strumenti, privilegi, donazioni e altri simiglianti monumenti dell’antichità ci è piaciuto riferirli con le loro stesse parole, benché per lo più barbare e ridicole, affinché non si corrompesse in maggiore eleganza il semplice candore dell’antichità. Di quei vecchi tempi, lettore, perdonerai la barbarie, quando può essere che essa serbi sotto di sé intatta la verità a questo nostro tempo […] (Italia sacra, I, praefatio).
Ughelli faceva inoltre presente che in qualche caso, per la storia dei primi secoli, non erano rimaste che liste di «nuda nomina», talvolta lacunose. Le liste di nomi furono in effetti il punto di partenza dello storico cistercense, la cui opera si inseriva all’interno di un genere consolidato: quello dei cataloghi episcopali, compilati fin dai primi secoli del cristianesimo per legittimare le origini apostoliche delle singole diocesi. L’opera di Ughelli andò tuttavia ben oltre i limiti di tale genere di scrittura storica, trasformandolo profondamente e, soprattutto, componendo in un quadro unitario le storie ecclesiastiche locali.
Nelle sue intenzioni originarie l’opera si sarebbe dovuta articolare in sei volumi, divisi in venti province ecclesiastiche, a cominciare dai vescovi di Roma e dalle sedi della provincia romana immediatamente soggette a Roma, per passare quindi alle diocesi metropolitane con le suffraganee, in ordine alfabetico. Per ogni vescovado la trattazione aveva inizio con una descrizione delle condizioni della diocesi così come essa appariva ai tempi di Ughelli, per passare quindi alla series episcoporum; alla storia delle diocesi dalle origini in avanti, con notizie biografiche sui singoli vescovi, laddove presenti; alla segnalazione sistematica e all’inserimento dei documenti antichi reperiti (o di stralci di essi), diversi dei quali sono giunti fino a noi solo attraverso le pagine dell’Italia sacra.
Quando, nel 19° sec., il benedettino tedesco Pius Bonifacius Gams nella redazione della sua Series episcoporum Ecclesiae catholicae (1873) si trovò davanti a una documentazione lacunosa, attinse molti nominativi dall’Italia sacra, e in seguito il francescano Konrad Eubel per la sua Hierarchia catholica Medii Aevi (1913-) si rifece, a sua volta, a Gams.
Dalla corrispondenza di Ughelli emerge come già nel 1642 il tipografo lionese Claude Dufour – che a quella data aveva pubblicato alcune opere di Gabriel Naudé e gli Annales ordinis minorum (1635-1642) di Wadding, e che probabilmente era entrato in contatto con il cistercense proprio grazie a quest’ultimo – si fosse fatto avanti, offrendosi di stampare l’intera opera. È assai probabile che Ughelli avesse preso in considerazione anche la possibilità di una stampa lionese, in vista di un mercato europeo il più ampio possibile. L’Italia sacra uscì invece a Roma in 9 volumi in folio (il decimo, relativo alle isole, rimase solo un progetto), stampati da diversi editori tra il 1643 e il 1662, in una veste editoriale tutt’altro che pregiata. La mole dell’opera, l’imponente apparato documentario, l’accuratezza e la sistematicità degli indici, delle annotazioni e dei riferimenti, ne rendevano tuttavia immediatamente evidente la monumentalità dell’impianto erudito.
L’Italia sacra fu ripubblicata tra il 1717 e il 1722 a Venezia in dieci volumi per i tipi di Sebastiano Coleti, a cura del prete Nicolò Coleti, nipote dello stampatore, che integrò le appendici aggiunte dallo stesso Ughelli collocandole all’interno delle singole sezioni, introdusse aggiornamenti con notizie relative ai propri tempi, corresse alcuni dati, arricchì ulteriormente la documentazione e in seguito, nel 1733, aggiunse all’opera di Ughelli la Sicilia sacra di Rocco Pirro. L’apporto di Coleti è opportunamente distinto dal testo originario di Ughelli grazie ad accorgimenti grafici (come gli asterischi e l’uso del carattere corsivo). Dal confronto tra le due edizioni emerge come Coleti non si fosse discostato dai criteri metodologici ed editoriali adottati da Ughelli, riconoscendo evidentemente come quel metodo – elaborato indipendentemente dai bollandisti, e ben prima del De re diplomatica di Jean Mabillon del 1681 – risultasse sostanzialmente ancora valido a Settecento inoltrato.
Una straordinaria opera di collaborazione tra i «Baronio locali» della penisola – secondo l’efficace definizione di Simon Ditchfield –, il progetto dell’Italia sacra impegnò per più di un decennio un’ampia schiera di eruditi ed ecclesiastici di ogni parte d’Italia. Una lettera di Ughelli del febbraio 1625 all’oratoriano Cesare Becilli (studioso di storia sacra e di cronologia, continuatore e revisore degli Annales di Cesare Baronio, oltre che delle Vitae di Chacón, il quale progettava a sua volta un istituto di storia ecclesiastica di fondazione pontificia per promuovere la collaborazione tra eruditi) testimonia come già a quella data l’abate cistercense fosse impegnato nella sterminata e defatigante impresa di raccolta e di vaglio di fonti piene di «incertezze» e tra loro «diversissime»: un’impresa che si rivelava decisamente fuori dalla portata di un individuo singolo.
Sulla base dell’epistolario di Ughelli giunto fino a noi, Morelli ha contato 438 corrispondenti, per un totale di 1533 lettere (ora raccolte in 7 codici barberiniani della Biblioteca Apostolica Vaticana), frutto di un’efficace campagna lanciata dal cistercense per sollecitare l’invio di informazioni e documenti dalle diverse diocesi italiane. Si trattava di uno scambio di dimensioni del tutto inedite, grazie al quale Ughelli poté integrare i materiali da lui stesso reperiti e studiati nelle biblioteche e negli archivi romani, con l’apporto decisivo di testi a stampa e trascrizioni, ma anche disegni di stemmi, notizie su reliquie, reperti archeologici e altre fonti non scritte, inviategli in quella che sempre più finì per assumere i caratteri di una gara di emulazione tra le diverse diocesi e località. Le risposte all’appello del monaco – più fitte a partire dagli anni Trenta del secolo – furono, per loro stessa natura, alquanto disomogenee, e se in diversi casi si limitavano alla desolata constatazione dell’assenza di informazioni, in molti altri fornirono una massa di documenti di proporzioni tali da poter essere spiegate solo nell’ottica di un tentativo di legittimazione di privilegi e tradizioni locali.
Come Ditchfield ha giustamente messo in rilievo, si tratta di un aspetto che i corrispondenti di Ughelli consideravano centrale, ed è senz’altro in questa chiave che molti dei lettori contemporanei dell’Italia sacra guardavano all’opera, sebbene oggi tale elemento rischi di passare in secondo piano. L’imponente trattazione di Ughelli venne cioè riconosciuta sempre più come autorevole fonte per legittimare diritti, privilegi e giurisdizioni, e divenne pertanto anche uno strumento di utilità pratica per il governo delle diocesi, in quanto forniva a ciascun vescovo una ricostruzione della storia della diocesi e delle gesta dei propri predecessori. E così, a mano a mano che le notizie intorno al progetto si diffondevano e a mano a mano che il lavoro procedeva, erano spesso gli ecclesiastici locali a rivolgersi a Ughelli per trasmettergli materiali, e talvolta per sollecitarlo, in vista della pubblicazione della sezione dedicata alla loro diocesi, o segnalandogli correzioni da apportare, e comunque desiderosi di vedere stampato il proprio nome in quelle pagine monumentali. Non è raro trovare nel carteggio lettere di protesta e tracce di orgoglio locale ferito, sebbene a prevalere siano decisamente gli elogi e le espressioni di gratitudine, soprattutto con l’avanzamento della pubblicazione dei ponderosi in folio. Il carattere di work in progress dell’Italia sacra risulta del resto evidente nella prima edizione, dove correzioni e integrazioni ai volumi sono inserite di volta in volta in appendice ai volumi successivi.
Ughelli raccolse, esaminò, organizzò e rielaborò i materiali documentari, seguendo un metodo che sarebbe stato utilizzato anche dai maurini e poi da Ludovico Antonio Muratori. Lo storico modenese fu un grande ammiratore del lavoro dell’abate cistercense e, nella premessa al Rerum italicarum scriptores, lo annoverò tra i propri predecessori.
Il risultato raggiunto da Ughelli presenta inevitabili limiti – che gli studiosi hanno più volte sottolineato – legati per lo più alla disomogeneità tra diverse diocesi ed epoche, oltre che alla disomogeneità dei documenti, sul piano qualitativo e su quello quantitativo, e al diverso grado di accuratezza dei collaboratori. Mentre in alcuni casi la trattazione è dettagliata e l’apparato documentario straordinariamente ricco – in particolar modo per l’età medievale –, in altri sono evidenti le carenze e le inesattezze, soprattutto per le epoche più antiche e per le origini delle diocesi. Come Sergio Bertelli (1967) ha messo in evidenza, per la storia più antica Ughelli si basò spesso su fonti non attendibili, mentre laddove egli poteva disporre di una metodologia critica ormai consolidata – come, per es., in campo agiografico –, riuscì a metterla a frutto: in generale quando mancavano punti di riferimento, l’abate cistercense preferiva accogliere la tradizione corrente.
Malgrado questi limiti, l’opera di Ughelli continua a essere ancora di importanza fondamentale, sebbene per molto tempo essa sia stata più citata che studiata e contestualizzata.
L’Italia sacra di Ughelli ebbe fin dalla sua prima uscita una fama europea. Già nel 1647 il cardinale Mazarino scrisse al cistercense per ringraziarlo del dono dei primi volumi dell’opera, inviandogli come omaggio una tabacchiera d’oro e gemme. Va del resto rilevato che il progetto dell’Italia sacra fu realizzato in anni in cui in diversi Paesi europei si perseguivano obiettivi analoghi, e non solo in ambito cattolico: basti pensare al corpus del Monasticon Anglicanum, pubblicato in Inghilterra tra il 1655 e il 1673, o alle opere di ambito gallicano, alcune delle quali ben note a Ughelli e al suo entourage, come la Archiepiscoporum et episcoporum Galliae chronologica historia (1621) di Jean Chenu e la Gallia christiana (1626) di Claude Robert.
Quando i fratelli Pierre e Louis de Sainte Marthe misero mano all’opera di Robert per prepararne una nuova edizione aggiornata e ampliata (pubblicata a Parigi a partire dal 1656 con il titolo Gallia christiana, qua series omnium archiepiscoporum episcoporum et abbatum Franciae, vicinarumque ditionum, ab origine ecclesiarum, ad nostra tempora per quatuor tomos deducitur), ebbero come modello di riferimento l’Italia sacra e, per di più, si avvalsero della collaborazione attiva di Ughelli, che consultò per loro registri papali e altri documenti curiali, inviando notizie e trascrizioni. È tuttavia interessante notare come, a differenza che per la tradizione anglicana e per quella gallicana, quando Ughelli elaborò il suo progetto non esisteva una tradizione di ‘chiese italiane’. Quella che egli rappresentò era dunque una realtà immaginata, della quale Ditchfield ha individuato un corrispettivo visuale nel programma iconografico degli affreschi della galleria delle carte geografiche nei palazzi vaticani, commissionati da Gregorio XIII nei primi anni Ottanta del Cinquecento, su progetto del matematico, ingegnere, cartografo e astronomo Egnazio Danti (1536-1586). La serie continua di 40 mappe topografiche delle diverse regioni italiane, animate da dettagli sorprendenti di scene storiche, mitologiche e sacre, si chiudeva con le rappresentazioni di due eventi recenti dalla forte valenza simbolica: l’assedio (fallito) di Malta da parte dei turchi nel 1565 e la battaglia di Lepanto del 1571. Ed erano quelle ultime due scene, nelle quali si celebravano il papato e la vittoria cristiana contro gli infedeli, a fornire la chiave unificante della straordinaria composizione: proprio come nell’opera dell’abate cistercense era solo la grandezza della Chiesa romana, attraverso il tessuto delle sue strutture e la sua continuità nei secoli, a poter comporre in un quadro unitario la varietà complessa e multiforme della realtà italiana.
Cardinalium elogia, qui ex sacro Ordine Cisterciense floruere, Florentiae 1624.
Vitae et res gestae pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium. Alia plura Victorellus, et Ferdinandus Ughellus […] addiderunt. Hieronymus Aleander i.c. & alij Ciconianum opus recensuerunt: ab initio nascentis Ecclesiae, usque ad Urbanum VIII pont. max. / auctoribus Alphonso Ciaconio [ …], Francisco Cabrera […], & Andrea Victoriello […], Romae 1630.
Italia sacra sive De episcopis Italiæ et insularum adiacentium, rebusque ab iis praeclare gestis, deducta serie ad nostram vsque ætatem. Opus singulare prouincijs 20 distinctum. In quo ecclesiarum origines, urbium conditiones, principum donationes, recondita monumenta in lucem proferuntur, 9 tt., Romae 1644-1662.
Columnensis familiae nobilissimae S.R.E. cardinalium ad vivum expressas et summatim exornatas elogijs, erubat, et publicabat Abbas Ferdinandus Ughellus, Romae 1650.
Genealogia nobilium Romanorum de Capisucchis ex opere inscripto. De vetusta Italica christiana nobilitate. Auctore C.V. Ferdinando Ughello Florentino, Romae 1653.
Difesa della nobilta napoletana scritta in latino dal P. Carlo Borrelli C. R. M. contro il libro di Francesco Elio Marchesi volgarizata dal P. abbate Ferdinando Ughelli, Roma 1655.
Albero et istoria della famiglia de’ conti di Marsciano. Dell’abbate D. Ferdinando Ughelli. All’illustrissimo signor conte Lorenzo di Marsciano, Roma 1667.
Italia sacra sive De Episcopis Italiae, et insularum adjacentium, rebusque ab iis praeclare gestis, deducta serie ad nostram usque aetatem. Opus singulare provinciis 20. distinctum, in quo ecclesiarum origines, urbium conditiones, principum donationes, recondita monumenta in lucem proferuntur. Tomus primus [-decimus] … Auctore d. Ferdinando Ughello Florentino … Editio secunda, aucta & emendata, cura et studio Nicolai Coleti, Venetiis 1717-1722.
G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, 83° vol., Venezia 1857, pp. 8-12.
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Per le fonti archivistiche si vedano: Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat., 3239-3246; Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Index.
Sugli esponenti della storiografia ‘sacra’ e gesuita:
A. Biondi, La storiografia apologetica e controversistica, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, a cura di M. Firpo, N. Tranfaglia, 4° vol., L’Età Moderna, t. 2, La vita religiosa e la cultura, Torino 1986, pp. 315-33.
Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina, Atti del Convegno internazionale, Torino (24-27 settembre 2003), a cura di M. Firpo, Firenze 2005.
In risposta alla sfida protestante, nel cattolicesimo tridentino e postridentino emerse la necessità di una storiografia ecclesiastica fondata sui metodi che la filologia e l’antiquaria degli umanisti avevano messo a punto per rapportarsi alla cultura classica e alla tradizione patristica. L’obiettivo della Chiesa di Roma era quello di presentare se stessa come la forma attuale, ma fedele, della Chiesa apostolica delle origini, utilizzando la storia come «‘luogo’ di esempi atti a mostrare la inevitabile ‘felicitas catholicorum’ e l’altrettanto inevitabile rovina degli eretici di ogni tempo» (A. Biondi). Questo sguardo sul passato produsse diverse tipologie di scrittura storica (agiografie, storie di diocesi, storie di ordini religiosi, storie della Chiesa e dei concili), accomunate da un intento di costruzione identitaria. È in quest’ottica che bisogna leggere non solo l’opera di Cesare Baronio e dei suoi continuatori – tra i quali il domenicano polacco Abramo Bzovius (Bzowski, 1567-1637) e gli oratoriani Odorico Rainaldi (1595-1671) e Giacomo Laderchi (1678 ca.-1738) –, ma anche le molte storie locali della Chiesa, tra le quali devono essere menzionate l’opera di Antonio Maria Spelta sui vescovi di Pavia (1597), quelle di Carlo Bascapè e di Giuseppe Ripamonti sulla Chiesa milanese (rispettivamente 1615 e 1617-1628), quella di Jacopo Burali sui vescovi aretini (1638) e, soprattutto, la Historia ecclesiastica di Piacenza (1651-1662) del canonico Pietro Maria Campi. Nell’ambito della storiografia degli ordini religiosi vanno ricordate le opere del gesuato Paolo Morigia (1525-1604), del teatino Giovan Battista Castaldo Pescara (1566-1653), del cappuccino Mattia Bellintani da Salò (1534-1611). Straordinariamente ricca è, fin dalle origini della Compagnia, la produzione storiografica gesuita, a partire dal De vita et moribus Ignatii Loyolae (1585) del bergamasco Giovanni Pietro Maffei e dalla storia della Compagnia di Niccolò Orlandini, completata da Francesco Sacchini (1615), fino alla storia del Concilio di Trento di Pietro Sforza Pallavicino (1607-1667) e alle opere di Daniello Bartoli. Famiano Strada (1572-1649), professore di retorica al Collegio romano, nelle sue Prolusiones academicae (1617) propose un modello di storiografia edificante, che ponesse al centro dell’attenzione il fattore religioso. In seno alla Compagnia di Gesù nacque e si affermò la storiografia della missione: nel 1588 Maffei pubblicava i 16 libri delle Historiae Indicae, una grande narrazione della diffusione del cristianesimo missionario a partire dalle prime esplorazioni portoghesi, fino alle imprese di Francesco Saverio in Giappone, lette come tappe trionfali del trionfo del Vangelo. Il più tipico rappresentante della scuola del Collegio romano fu Daniello Bartoli (1608-1685), storico ufficiale della Compagnia e autore di un’opera dal titolo Della vita e dell’Istituto di sant’Ignazio (1650). Il suo progetto – che rimase incompiuto – era quello di una storia dell’azione della Compagnia di Gesù nel mondo, suddivisa in quattro parti, ciascuna delle quali dedicata a uno dei continenti nei quali i gesuiti operavano. Basandosi sulle relazioni inviate dai luoghi di missione, e pubblicando la sua opera a mano a mano che la componeva, Bartoli – dopo un primo volume dedicato all’Europa –, nel 1653 pubblicò l’Asia, nel 1660 il Giappone, nel 1663 la Cina, nel 1667 l’Inghilterra e nel 1673 l’Italia. Nel frattempo fu anche autore di diverse biografie di gesuiti illustri (tra i quali Stanislao Kostka, Francesco Borgia e Roberto Bellarmino). Il fine di tutta la sua opera fu quello di esaltare la Compagnia e glorificare il cattolicesimo.