FERENTILLO
Centro dell'Umbria in prov. di Terni costituito da due insediamenti distinti, Matterella e Precetto, dominati da due castelli di pendio muniti nei secc. 12°-13°, a guardia di un importante nodo viario nella valle del Nera.L'incremento del traffico lungo la strada che percorre il fondovalle comportò un graduale abbandono dei nuclei collinari e lo sviluppo del borgo moderno intorno all'antica pieve di S. Maria, di origine duecentesca ma fortemente restaurata nei secoli successivi (L'Umbria, 1977).Pochi chilometri a N-O del borgo sorge l'abbazia benedettina di S. Pietro in Valle, fondata intorno al 720 da Faroaldo II, duca di Spoleto, sul luogo di un precedente eremo (Borsellino, 1974). Scarsi sono i resti della costruzione altomedievale, gravemente danneggiata alla fine del sec. 9° dalle incursioni saracene. Tra i più significativi, oltre ai numerosi frammenti di arredo scultoreo riallettati nelle murature, sono senza dubbio quelli che compongono l'altare che reca l'iscrizione "Ursus / ma/ges/ter / fecit"; si tratta probabilmente del riassemblaggio di una recinzione presbiteriale (Serra, 1961) donata dal duca Ilderico (739-742) e realizzata in un rilievo talmente piatto da rasentare in più punti il semplice sgraffio.A partire dal 996, ca. un secolo dopo la parziale distruzione, Ottone III promosse una campagna di restauro, che venne tuttavia portata a termine dal successore, Enrico II, in collaborazione con l'abate Ruitpardo.L'edificio attuale, ripristinato negli anni Trenta, è composto da un'aula unica con copertura a capriate e forte sviluppo longitudinale, accentuato anche dai muri perimetrali che vanno rastremandosi verso il presbiterio. Sulla navata si imposta un transetto lievemente aggettante sul quale si aprono tre absidi, di cui quella centrale posta in risalto da una breve campata di avancoro.Proprio questa pianta a croce commissa ha suggerito per l'edificio abbaziale una datazione oltre la metà del sec. 11° (Krönig, 1938; Tamanti, 1979), rintracciandone i possibili modelli, al di là delle Alpi, in Cluny II e nel St. Michael di Hildesheim, mediati forse dal S. Salvatore al monte Amiata (Thümmler, 1939) o dalla Roccelletta di Squillace.A modelli romani, con qualche soluzione di etimo lombardo quali le archeggiature pensili, sembrerebbe invece rifarsi il campanile, che è stato ricondotto alla seconda metà del sec. 11° (Tamanti, 1979), data cui risalirebbero anche le sculture dei Ss. Pietro e Paolo che ornano il portale sul lato meridionale dell'edificio.Sulle pareti della navata, sull'arco trionfale e, in origine, anche sulla controfacciata, si svolgeva un complesso ciclo pittorico. La decorazione, scialbata fino al 1869, è organizzata su quattro registri, i primi tre occupati da scene vetero e neo-testamentarie; l'ultimo invece, fortemente mutilo, doveva essere probabilmente occupato da elementi ornamentali e da immagini votive. L'intera parete sinistra e la fascia superiore di quella destra riproducono, con grande ricchezza iconografica, storie dell'Antico Testamento, a partire dalla Creazione del mondo, mentre nel rimanente spazio della parete destra si svolge il ciclo cristologico che attualmente inizia con l'Annuncio ai pastori - le prime scene sono tuttavia perdute - e termina con una singolare Salita al Calvario, dove Cristo sembrerebbe accompagnato dai due ladroni. Ogni singola raffigurazione è inoltre illusionisticamente inquadrata da una finta galleria scandita da colonnine tortili e corredata da un titulus esplicativo. La fascia superiore è conclusa da un partito a mensole scorciate alternate a pesci e volatili, resi con sapiente naturalismo.Fin dal momento della scoperta, il dibattito critico sugli affreschi di F. si è incentrato sulla loro dipendenza o meno dall'ambiente romano, in particolare dalla tradizione testimoniata dalle bibbie atlantiche e dalla decorazione di S. Giovanni a Porta Latina. Specialmente il rapporto con quest'ultimo ciclo - datato entro quel 1191 cui sono stati ancorati anche gli affreschi di F. - è sicuramente evidente dal punto di vista iconografico, ma più controverso sotto l'aspetto stilistico-formale. Negato infatti da Matthiae (1966), che considerava le pitture di F. sostanzialmente estranee all'ambiente romano, tale rapporto è stato invece in seguito ribadito (Demus, 1968; Bologna, 19782; Aggiornamento, 1988).Per una più ampia e completa riconsiderazione dell'intera decorazione parietale dell'abbazia di F. - che potrebbe implicare anche una revisione della cronologia - bisogna tuttavia attendere l'esito dei restauri attualmente (1994) in corso, che già hanno evidenziato la notevole differenziazione di modi pittorici, che spaziano dalla forte monumentalità della figura di Noè nella scena dell'Annuncio del diluvio, alle cadenze più fluide della Cavalcata dei Magi, al fare irrigidito dell'arco di trionfo.
Bibl.: W. Krönig, Hallenkirchen in Mittelitalien, RömJKg 2, 1938, pp. 1-142; H. Thümmler, Die Baukunst des 11. Jahrhunderts in Italien, ivi, 3, 1939, pp. 141-226; E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, 4 voll., Firenze 1953-1962; J. Serra, La diocesi di Spoleto (Corpus della scultura altomedievale, 2), Spoleto 1961; G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo, II, Roma 1966; O. Demus, Romanische Wandmalerei, München 1968 (trad. it. Pittura murale romanica, Milano 1969); R. Pardi, Ricerche di architettura religiosa medievale in Umbria, Perugia 1972; E. Borsellino, L'abbazia di S. Pietro in Valle presso Ferentillo, Spoleto 1974; L'Umbria, I, La Valnerina. Il Nursino. Il Casciano, Roma 1977; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma-Dresden 19782 (1962); A.M. Orazi, L'Abbazia di Ferentillo, Roma 1979; G. Tamanti, S. Pietro in Valle a Ferentillo, in L'Umbria (Italia romanica, 3), Milano 1979, pp. 107-132; L. Pani Ermini, Gli insediamenti monastici nel ducato di Spoleto fino al secolo IX, "Atti del 9° Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 1982", Spoleto 1983, II, pp. 541-577, 581-607; Aggiornamento scientifico all' opera di G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo, II, a cura di F. Gandolfo, Roma 1988.G. Curzi