FERGIONI (Frigione), Bernardino Vincenzo, detto lo Sbirretto
Nacque a Roma il 2 genn. 1674 e non nell'anno santo 1675 come afferma N. Pio nelle sue Vite (1724). Fu battezzato il 9 gennaio a S. Nicola degli Incoronati, una chiesa (non più esistente) che si trovava accanto alle "Carceri nuove". Il padre Giuseppe era originario di Sant'Angelo del Pesco, nella diocesi di Trivento in Abruzzo, e la madre Margherita Bottoni era di Montegiorgio, nella diocesi di Fermo. Venne soprannominato Sbirretto dalla professione del padre, caporale degli sbirri, e con tale soprannome è indicato più di frequente che con il patronimico.
Il F., sebbene sia oggi quasi sconosciuto, venne apprezzato dai contemporanei tanto da essere inserito nella seconda edizione dell'Abcedario pittorico di P. A. Orlandi, il quale riporta notizie assunte presso il pittore G. Ghezzi. Il F., riconoscente, ringraziò l'abate per l'onore che gli era stato fatto in una lettera dell'aprile 1719 (Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, ms. B. 153, n. 82). L'altra biografia del F., scritta da N. Pio in data anteriore al 1724, anno in cui il manoscritto fu completato, apporta alcuni dati in più rispetto a quella dell'Orlandi, soprattutto in merito alle opere. Orlandi e Pio sono le due fonti sulle quali si basano ancora oggi le nostre conoscenze sul Fergioni.
Benché appartenente a una famiglia modesta, il F. si dedicò allo studio delle lettere, coltivando in particolare le sue doti di oratore e di poeta, fino all'età di venti anni. Cominciò a dipingere per diletto, cercando tra i suoi conoscenti consigli sulla tecnica pittorica. Si dedicò allo studio dei grandi maestri, facendo copie delle opere di Mattia Preti, G. Ribera e Guercino. Il Pio (1724) cita, come sua prima opera significativa, una Maddalena copiata da G. Brandi. Il suo incontro con Peter Roos, detto Rosa da Tivoli, lo spinse ad imitarne lo stile e a divenire animalista. La sua maestria in questo genere è testimoniata da un quadro di caccia conservato a villa Albani (Torlonia), in cui è rappresentato un paesaggio con un cervo ucciso e tre cani a riposo. Senza altra ragione apparente se non quella di visitare la regione o di dare inizio con discrezione alla carriera di pittore, partì per la Toscana: si fermò dapprima a Siena, dove trovò lavoro, e si trasferì poi a Livorno, dove si aprì infine la sua strada. Qui si legò, infatti, al misterioso "Monsù Alto", che gli fece da maestro e lo spinse a costruirsi, attraverso l'esercizio quotidiano sulla realtà, un repertorio di forme, insegnandogli, inoltre, il gusto per la composizione armonica d'insieme animata da piccoli personaggi, notevoli per la loro naturalezza. Terminato l'apprendistato, il F. tornò a Roma, probabilmente nei primi anni del secolo, divenuto ormai Pittore di marine.
L'unica fonte che ci aiuta a delineare l'attività del F. è il Pio, da cui apprendiamo che dopo il suo ritorno l'artista lavorò a Roma per la famiglia Gabrielli e che da Genova e da Taggia sulla costa ligure ricevette commissioni, possibile conseguenza del suo soggiorno a Livorno. In Umbria, in un piccolo borgo ad un miglio da Cascia, che il Pio chiama Faldignano e che dovrebbe essere Maltignano, il F. dipinse per la chiesa di S. Martino, ricostruita dopo un terremoto verso il 1711, una Annunziata, che non è stata reperita dagli autori delle Ricerche in Umbria.
In due occasioni il Ghezzi espose opere del F. a S. Salvatore in Lauro: nel 1716 due marine, che trovava molto belle, e l'anno seguente una marina con numerose figure, proprietà della famiglia Falconieri, e una veduta del porto di Messina, di dimensioni minori.
Alcune opere sono ricordate in documenti notarili: nella successione di Filippo Antonelli nel 1732, "due grandi marine bislonghe" (Arch. di Stato di Roma, 30 Notai capitolini, Uff. 25, busta 559); di Andrea Marilli nel 1760, "una marina" (ibid., Ufficio 14, busta 430) di Giuseppe Sardi nel 1771 "due piccoli paesini" (Ibid., Not. d. Tribunale d. Auditor Camerae, busta 4392); le due ultime attribuzioni sono di P. Anesi, allievo del F., come attesta un documento del 1715, quando è. indicato all'età di 19 anni come testimone al deposito del testamento di Giuseppe Fergioni (Ibid., Not. d. Tribunale del Governatore, Testamenti 25). Anche un altro paesista, Andrea Locatelli, fu allievo del F. dopo un tirocinio presso "Monsù Alto".
Secondo Lanzi (1808) due pittori francesi avrebbero oscurato la fama del F., A. Manglard e J. Vernet, arrivati a Roma rispettivamente nel 1715 e nel 1734. Il Vernet, non avendo trovato buona accoglienza presso il Manglard, sarebbe stato alla scuola del F., già in età avanzata, prima di andare "sur les ports de mer ... faire ses études", come gli era stato consigliato dal direttore dell'Accademia di Francia, N. Vleughels (Correspondance des directeurs de l'Académie de France d Rome, IX, Paris 1899, p. 124). Era questa la lezione che "Monsù Alto" aveva impartito allo stesso F.: la bellezza della trasposizione pittorica non poteva nascere che dalla scrupolosa osservazione del reale.
Il F. si sposò il 14 dic. 1722 con Anna Maria Moscatelli, dalla quale non ebbe figli.
Il suo successo finanziario, in realtà modesto, è indicato dal testamento del padre, che assegna al figlio i mobili della casa, una trentina di quadri, insieme con l'onere di mantenere la famiglia grazie a "le di lui industrie e con la di lui virtù e fatiche nella professione di pittore" (Arch. di Stato di Roma, Not. d. Trib. del governatore, Testamenti 25). Il suo successo sociale è più evidente, dato che nel 1725 ricevette da Benedetto XIII la "croce di cavaliere", che ostentò continuamente (Valesio, 1708-1728). Ed è proprio questo gusto della rappresentazione che si coglie nell'autoritratto (Stoccolma, Nationalmuseum), eseguito alla maniera di H. Rigaud e destinato alla collezione Pio (Clark, 1967).
Il F. morì intorno al 1738.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Vicariato, S. Lorenzo in Damaso, Lib. bapt. 1669-1679, il 134r; Ibid., S. Nicola degli Incoronati, Lib. matr. 1664-1733, il 76v; Ibid., Lib. mort. 1678-1718, f. 90v; Ibid., Notai, Ufficio2º, Interrogazioni, busta 248, ff. 1381-1383; Archivio di Stato di Roma, Notai del Tribunale del Governatore, Testamenti, busta 25, f. 427; Ibid., Notai del Tribunale dell'Auditor Camerae, busta 4392, f. 182, nn. 26-27; Ibid., 30Notai capitolini, Ufficio 14, busta 430, f. 609r; ibid., Ufficio 25, busta 559, ff. 375 e 397; Bologna, Bibl. dell'Archiginnasio, ms. B 153, n. 82; Firenze, Bibl. naz., Cod. Palat. E.B. 9-5, vol. 1, f. 417; G. Ghezzi, Mostre di quadri a S. Salvatore in Lauro... [XVIII sec.], a cura di G. De Marchi, Roma 1987, pp. 327, 340, 349; P. A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1719, p. 98; N. Pio, Le vite di pittori, scultori et architetti [1724], a cura di C. Enggass-R. Enggass, Roma 1977, pp. 147 s.; F. Valesio, Diario di Roma, IV[1708-1728], a cura di G. Scano, Milano 1978, p. 573; P. -J. Mariette, Abcedario [1771], Paris 1853, II, p. 241; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1808], a cura di M. Capucci, Firenze 1968, I, pp. 425 s.; G. K. Nagler, Künstler Lexicon, IV, München 1837, p. 497; L. Lagrange, J. Vernet et la peinture au XVIIIe siècle, Paris 1864, pp. 13 s., 18 s.; S. A. Morcelli-C. Fea-P. E. Visconti, La villa "Albani" ora Tortonia, Roma 1870, p. 328, n.32; R. Longhi, "Monsu X". Un olandese in "Barocco", in Paragone, V (1954), 53, pp. 41, 45; A. M. Clark, The portraits of artists drawn for Nicola Pio, in Master drawings, V (1967), p. 13, n. 16; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 402.