FERIE (fariae)
Le ferie rappresentavano la parte dei giorni dell'anno dedicata al culto pubblico e privato degli dei (dies fasti). La forma più antica della voce è fesiae (Fest., p. 86, 264). Tutti i giorni feriati erano nefasti, il che importava una sospensione in essi dell'esercizio del potere giudiziario; per i servi erano giorni di riposo. Nei tempi più antichi le ferie venivano fissate dai pontefici, che furono per molto tempo i soli regolatori del calendario ufficiale, contenente la lista dei giorni fasti e nefasti. Essi stabilirono precise distinzioni tra le diverse specie di ferie pubbliche, o giorni consacrati agli dei. Furono stabilite ferie stativae ossia fisse, che ricorrevano ciascun anno alla medesima data e ferie indictivae o mobili, ordinate da un magistrato rivestito di imperium, secondo una formula redatta per ciascun caso particolare. Tra le ferie indittive, alcune erano ordinarie e previste, perché fissate tutti gli anni (conceptivae), altre erano di carattere straordinario (imperativae). Tanto le ferie stativae quanto le conceptivae erano feriae sollemnes e la differenza fra di esse era soltanto formale. Ad esempio le Compitalia erano un tempo fissate dal pretore in ciascun anno.
Mentre i giorni non festivi erano fasti e comiziali, e in essi i magistrati potevano sedere in tribunale e convocare i comizî, i festivi erano fasti, improprî quindi alla convocazione dei comizî o inframezzati (dies endotercisi o intercisi); questi erano feriati la mattina e la sera e fasti nell'intervallo, cioè fra le due fasi del sacrificio, l'uccisione della vittima alla mattina, l'offerta delle viscere (exta) la sera. I giorni 24 marzo e 24 maggio sono distinti nei calendarî con una speciale nota diei, cioè con le sigle Q.R.C.F. (quando rex comitiavit fas): erano quindi fasti soltanto nella loro ultima parte, e cioè nefasti finché il rex non dichiarava sciolti i comizî calati che presiedeva, fasti per tutto il resto della giornata. Il giorno 15 giugno era nefasto finché si compiva la pulizia del tempio di Vesta, e fasto per tutto il resto della giornata (sigle: Q. ST.D.F., quando stercus delatum fas: Varr., De ling. lat., VI, 32; Fest., p. 258, 344). Le nundine, che ricorrevano tutti i nove giorni, formavano una categoria a parte: non era chiaro se si dovessero considerare come feriate o non feriate, e gli stessi pontefici, consultati sull'argomento, risposero non senza imbarazzo al quesito (Macrob., Saturn., I, 16, 28).
Il calendario romano, oltre alle kalendae, nonae e idus dei singoli mesi, contava altri 45 giorni aventi una propria denominazione, che bastava a determinarli senz'altra indicazione, e corrispondenti ad altrettante feste pubbliche fisse (feriae stativae). Tutte cadevano in giorno dispari, a eccezione del Regifugium che cadeva il 24 febbraio e le Equirria del 14 marzo. Esse sono: Agonalia (9 gennaio), Carmentalia (11 e 15 gennaio), Lupercalia (15 febbraio), Quirinalia (17 febbraio), Feralia (21 febbraio), Terminalia (23 febbraio), Regifugium (24 febbraio), Equirria (27 febbraio, 14 marzo), Liberalia (17 marzo), Quinquatrus (19 marzo), Tubilustrium (23 marzo), Fordicidia (15 aprile), Cerialia (19 aprile), Parilia (21 aprile), Vinalia (23 aprile), Robigalia (25 aprile), Lemuria (9, 13 maggio), Agonalia (21 maggio), Tubilustrium (23 maggio), Vestalia (9 giugno), Matralia (11 giugno), Poplifugia (5 luglio), Lucaria (19, 21 luglio), Neptunalia (23 luglio), Furrinalia (25 luglio), Portunalia (17 agosto), Vinalia rustica (1g agosto), Consualia (21 agosto), Volcanalia (23 agosto), Opiconsiva (25 agosto), Volturnalia (27 agosto), Meditrinalia (11 ottobre), Fontinalia (13 ottobre), Armilustrium (19 ottobre), Agonalia (11 dicembre), Consualia (15 dicembre), Saturnalia (17 dicembre), Opalia (19 dicembre), Divalia (21 dicembre), Larentalia (23 dicembre). Un 46° giorno festivo fisso fu aggiunto nell'anno 19 a. C., al 12 ottobre, con il titolo di Augustalia, in onore di Augusto (Cass. Dione, LlV, 10).
Le ferie stative erano di antichissima istituzione, e celebrate dal popolo (sacra populoria); le feste d'istituzione più recente, anche quelle che avevano preso il carattere di solennità annuali e fisse, restarono al difuori dell'ordinamento delle feste stative. Le ferie indittive furono tutte annuali, ma alcune si erano con il tempo fissate a una certa data, altre erano rimaste mobili. Fra queste ultime figurano tre feste popolari (Sementivae, Paganalia, Compitalia) che non erano potute entrare nel canone delle ferie stative, perché dovevano seguire il corso delle stagioni piuttosto che il calendario dei pontefici. Altre feste conceptivae furono le Fornacalia, le Ambarvalia e l'Amburbium, tutte relative alla vita privata e agricola. Del resto in questa materia la nostra conoscenza è imperfetta.
Anche i giuochi pubblici (ludi) erano ferie, che avevano cominciato con l'essere votate a titolo straordinario, e avevano finito col divenire non soltanto annuali, ma fisse. Queste feste aumentarono di numero e di durata, di mano in mano che nel popolo romano cresceva il gusto per gli svaghi; alla morte di Giulio Cesare occupavano 65 giorni dell'anno. Nel sec. IV il popolo romano dedicava ai giuochi circa la metà del suo tempo (175 giorni nell'anno).
Altre ferie di secondaria importanza sono notate nei calendarî romani e si riferiscono ai dies natales dei varî templi di Roma dedicati alle numerose divinità venerate con pubblico culto. Altre 29 ferie furono aggiunte al tempo di Giulio Cesare e dei primi imperatori a ricordare fatti storici o eventi della vita di Augusto e dei suoi immediati successori e anche dei principali membri della famiglia imperiale (ad es.: le ferie per il natale di Augusto, istituite nel 31 a. C., altre ferie per aver avuto Augusto il titolo di pater patriae, nel 2 a. C., altre per la scoperta della congiura di Libone, nel 16 d. C., ecc.).
Alcune ferie ebbero, come si è detto, carattere privato feriae privatae); altre proprie delle famiglie (feriae familiares); altre degl'individui (feriae singulorum). Di questo tipo erano le feriae denicales, sotto il qual nome s'intendeva l'insieme delle cerimonie espiatorie che si celebravano dopo la deposizione del cadavere in una tomba, per le quali il defunto diveniva uno dei Mani della famiglia. Era una specie di apoteosi e di consacrazione privata, che purificava al tempo stesso la famiglia e la casa del defunto.
Una speciale sigla NP distingue nei calendarî romani i giorni feriati, che erano bensì nefasti, ma non soltanto per ragioni religiose, sì anche civili, in quanto alla festa religiosa si univa il tripudio e l'astensione dal lavoro. Erano quindi nefasti per motivi di letizia (Ia sigla fu dichiarata dal Mommsen: dies nefastus hilaris), mentre i giorni notati nei calendarî con la sigla N (nefastus) erano nefasti a causa di tristezza e di sventura.
Ferie latine. - Una speciale menzione meritano le ferie latine (feriae latinae), festa ufficiale che va annoverata fra le ferie indittive o non fisse. Fu questa la festa che ogni anno si celebrava sul monte Albano in onore di Giove Laziale (Iuppiter Latiaris). Era in origine una festa federale dei prisci Latini, istituita, secondo la tradizione, dal re Fauno, o da Enea stesso, dopo la morte del re Latino. Dopo la distruzione di Alba Longa la festa fu conservata e passò sotto la direzione di Roma. Da allora fu considerata come una festa nazionale romano-latina, e sotto questo aspetto fu celebrata finché durò la confederazione del Lazio alleata di Roma (anno 338 a. C.). Quindi rimase una festa romana: nonostante ciò le antiche città del Lazio continuarono a parteciparvi, quale che fosse la loro nuova condizione politica rispetto a Roma. Le ferie latine furono celebrate per tutta l'età repubblicana e fino alla decadenza dell'Impero.
Alla festa, fin dai più antichi tempi, prendevano parte tutti i magistrati supremi di Roma, tanto patrizî quanto plebei, e cioè i consoli, i pretori e i tribuni della plebe. In qualche caso rimasero in Roma i pretori. La principale cerimonia della festa era il sacrificio del toro, che doveva essere fatto da uno dei consoli. Tuttavia non era necessario che entrambi i consoli fossero presenti; così ad es., nell'anno 168 a. C., mentre il console Licinio Crasso celebrava le ferie latine sul monte Albano, il suo collega Paolo Emilio rimaneva in Macedonia. Nel caso che ambedue i consoli fossero impediti d'intervenire erano sostitui i da un dictator feriarum latinarum causa. Era norma tassativa di diritto pubblico che ove i magistrati supremi si allontanassero per qualsivoglia motivo da Roma per più di un giorno, dovessero lasciarvi un rappresentante, il praefectus urbi, per l'amministrazione della giustizia. Anche durante la breve assenza da Roma dei magistrati in occasione delle ferie latine si rese indispensabile da parte dei consoli la nomina di un tale sostituto. Dopo che, a opera di Augusto, l'ufficio di praefectus urbi divenne stabile, lo speciale prefetto eletto in occasione delle ferie latine prese il titolo di praefectus urbi feriarum latinarum. Oltre ai magistrati romani, prendevano parte alla festa anche quelli delle città del Lazio. Si ha il caso di antiche città laziali che, avendo perduto ogni esistenza politica, conservando tuttavia gli antichi culti con i relativi sacerdoti, erano da questi rappresentati sul monte Albano.
La carne dei bianchi tori sacrificati doveva essere distribuita ai rappresentanti delle singole città intervenuti alla festa. Se per caso una città non avesse avuto la sua parte, oppure fosse occorso qualche vizio di forma nel sacrificio, questo doveva rinnovarsi. Le feste erano accompagnate da spettacoli popolari. Contemporaneamente, o a distanza di pochi giorni, avevano luogo in Roma corse di quadrighe sul Capitolio, seguite, secondo notizie di scrittori cristiani, dal sacrificio di un bestiarius.
La festa era indetta di anno in anno dai consoli appena entrati in carica e durava d'ordinario quattro giorni. La data della celebrazione variavai; in prevalenza cadeva nei mesi dall'aprile al giugno. Queste notizie si desumono da numerosi frammenti epigrafici rinvenuti in varie epoche sul Monte Cavo, nel luogo ove sorgeva il tempio di Iuppiter Latiaris. Sono parti di una specie di fasti contenenti, in ordine cronologico, i nomi dei magistrati romani che presero parte alla festa, con l'indicazione dei giorni della celebrazione di essa (Corp. Inscr. Lat.,, I, 2ª ed., pp. 55-59; VI, p. 2011 segg.). I frammenti vanno dall'età dei decemviri alla metà del sec. II dell'Impero; la redazione data dal tempo di Augusto. Le tavole di questo feriale mostrano che negli anni del decemvirato e del tribunato militare parteciparono alle ferie latine i decemviri legibus scribundis e i tribuni militum consulari potestate (Corp. Inscr. Lat., VI, 2011). Dalla stessa fonte sappiamo che nel 27 a. C. Augusto non poté partecipare alle feste perché malato (valetudine impeditus fuit; Corp. Iscr. Lat., VI, 2014).
Bibl.: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, I, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 667 segg.; III, Lipsia 1887, p. 613 seg.; J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, II, 2ª ed., Lipsia 1884, p. 281 segg.; O. Seeck, Die Kalendertafel der Pontifices, Berlino 1885; Werner, De feriis latinis, Lipsia 1888; G. Weinberger, in Dizionario epigr. di ant. romane, di E. De Ruggiero, III, p. 52 segg.; G. Wissowa, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie, VI, col. 2015 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 432 segg.; C. Jullian, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, II, p. 1042 segg.; W. Warde Fowler, The Roman festivals of the periodo of the republic, Londra 1899; G. Vaccai, Le feste di Roma antica, 2ª ed., Torino 1927.