FERITA (XV, p. 23)
La maggiore incidenza delle ferite legate a gravi traumi, ha posto in un piano sempre più importante le questioni legate allo shock sia primario sia secondario ed in particolar modo la cosiddetta sindrome da schiacciamento (crush syndrome), già descritta da D'Antona in occasione del terremoto di Messina del 1908 e recentemente ampiamente studiata da Bywaters e collaboratori con particolare riferimento ai fenomeni di necrosi muscolare ischemica e di insufficienza renale (oliguria od anuria, iperazotemia), fenomeni strettamente collegati tra di loro ed in presenza dei quali è stata dimostrata eliminazione con le urine di un pigmento chiamato mioemoglobina.
Non si conoscono ancora i caratteri delle ferite prodotte da bombe atomiche; sembra tuttavia, tra l'altro, che in esse siano scarsissime se non addirittura nulle, le possibilità di rigenerazione anche dei tessuti meno evoluti quali i connettivi.
Sostanziali progressi sono stati fatti nella terapìa delle ferite nella seconda Guerra mondiale.
Nel trattamento locale si fa sempre più diffusa la tendenza agli sbrigliamenti, alla escissione dei tessuti devitalizzati. Sistematica è l'applicazione locale di sulfamidici e la sutura è spesso ritardata. Molto vario il trattamento delle ferite interessanti le cavità; a seconda del tempo trascorso, della estensione e del tipo della ferita, si procede a chiusura completa della cavità o ad applicazione di drenaggi con criterî pressoché analoghi a quelli seguiti in passato. La immobilizzazione in caso di ferite di arti si è dimostrata favorevole alla guarigione.
Per arrestare le emorragie, sono stati usati con successo nuovi emostatici (spuma di fibrina, cellulosa ossidata, spugna di gelatina).
Molto usata nel trattamento chirurgico delle ferite l'anestesia generale per via endovenosa (Pentothal-sodio) o per inalazione (di più comune e facile impiego l'etere). Per quest'ultima anestesia, dopo l'impiego di numerosi e complessi apparecchi dosimetrici e atti alle anestesie combinate, si è tornati all'uso della maschera libera che assicura una ossigenazione più adeguata, riservando i primi ad alcuni settori della chirurgia (ferite del torace, ecc.). Durante l'anestesia generale la pratica della intubazione tracheale assicura una respirazione più regolare. Nei casi in cui necessita un opportuno rilasciamento muscolare all'uso dei comuni anestetici è stata accoppiata la curarizzazione.
Trattamento generale. - Contro infezioni di diverso genere in atto o, meglio ancora, per prevenirle, è molto utile il sistematico impiego di penicillina per via intramuscolare a dosi opportune e regolarmente intervallate; talvolta associato a trattamento sulfamidico.
I risultati migliori si ottengono con la terapia anti-shock alla quale va data assoluta precedenza; essa consiste essenzialmente: 1) nel morfinizzare il ferito preferibilmente per via endovenosa e con iniezioni ripetute nelle 24 ore successive al trauma ed oltre, in modo di attutire le sofferenze, cause non ultime dello shock primitivo; 2) nel trasfondere generosamente plasma o sangue, a seconda dei casi; 3) nell'equilibrare il ricambio idrico-salino dell'organismo mediante perfusioni saline e glucosate. È utile far procedere la somministrazione dei liquidi alla rimozione di eventuali lacci emostatici allo scopo di stimolare la funzione renale prima che dalla zona esclusa dal laccio possano diffondersi sostanze capaci di provocare la sindrome da schiacciamento coi noti fenomeni di insufficienza renale (istotossine).
Contro lo shock agisce pure il raffreddamento delle zone traumatizzate. La refrigerazione (non congelamento) di un arto ferito o di un moncone si effettua con ghiaccio o mezzi analoghi portando la parte colpita a circa + 5°, previa applicazione di un laccio parecchi centimetri al disopra della lesione. Si ottiene abolizione dello shock sia primario sia secondario e contemporaneamente una buona anestesia operatoria e post-operatoria, una inibizione dei processi settici, una riduzione della richiesta di nutrimento da parte degli elementi tessutali, per lo stato di letargo in cui entrano con abbassamento della loro attività metabolica. A questo fenomeno deve attribuirsi il ritardo di guarigione delle ferite così trattate, che però non è tale da pregiudicare l'esito finale.