FERMENTAZIONE (XV, p. 29; App. I, p. 582)
Nel termine "fermentazione" si dovrebbero comprendere tutti i processi demolitivi decorrenti anaerobicamente che i microbi compiono a carico delle più varie sostanze organiche, liberando l'energia potenziale immagazzinata nella loro molecola: da questo punto di vista anche le putrefazioni sono fermentazioni e così pure tutte le trasformazioni degradative cui vanno soggetti gli idrati di carbonio, le proteine, i grassi, ecc. Nel senso più ristretto sono invece fermentazioni solo le demolizioni incomplete anaerobiche (anossidative) e aerobiche (ossidative) degli idrati di carbonio ad opera dei microbi. Le fermentazioni aerobiche od ossidative si dicono anche "respirazioni incomplete", perché si vuole che siano il risultato di un'interruzione - per ragioni non sempre ben definite - del normale processo respiratorio.
Fermentazioni anaerobiche. - Fermentazione alcolica (v. anche alcool). - La relativamente facile accessibilità dell'apparato enzimatico dei lieviti, responsabili di questo tipico processo di demolizione degli idrati di carbonio, ha permesso di raggiungere recentemente i più impensati progressi sulla conoscenza della fisiologia di questi microbi; di più, data la generale diffusione nelle cellule della più varia struttura del sistema zimasico dei lieviti, si comprende come si possa attribuire ai risultati conseguiti sugli stessi un valore fisiologico generale.
Lo schema emesso da Neuberg nel 1913 per chiarire il meccanismo chimico alla base della fermentazione, sembrava ricevere la sua piena conferma con il riconoscimento del metilgliossale (1928) fra i prodotti intermedî, quando poco dopo Nilsson riusciva ad isolare l'acido fosfoglicerico da fermentazioni con lievito secco, in presenza di fluoruro, del glucosio o dell'esosodifosfato più aldeide acetica. Inoltre, Lohman, Meyerhof e Kiessling (1933) stabilivano che il succo di macerazione del lievito in presenza di fluoruro (inibitore dei processi di defosforilazione) trasforma l'esosodifosfato in quantità equimolecolari di acido fosfoglicerico e di acido a-glicerofosforico.
Oltre a questi fatti, che mettono in indubbia evidenza l'importanza dell'acido fosfoglicerico nella fermentazione alcolica degl'idrati di carbonio, un altro gruppo di reazioni acquistava particolare interesse per chiarire, sotto un punto di vista più logico di quello di Neuberg, il complesso meccanismo chimico del processo. Il succo di macerazione del lievito avvelenato con fluoruro dava la reazione (Meyerhof e Kiessling):
L'aggiunta alla stessa reazione dell'aldeide acetica cambiava del tutto il risultato finale:
Sulla base di questi risultati, Meyerhof emetteva nel 1934 il nuovo schema della fermentazione alcolica, schema che veniva ulteriormente chiarito e completato dai successivi risultati sperimentali e dalla chiara illustrazione del come intervengano le fosforilasi (coenzima l'acido adenosintrifosforico = ATP) e la codeidrasi I (CoI) nel trasporto l'una del fosforo e l'altra dell'idrogeno.
Nella forma più semplice, l'insieme delle reazioni che sono alla base della fermentazione alcolica può essere riassunto nello schema, dove sono indicati anche gli enzimi che governano le singole reazioni parziali:
Ogni prodotto intermedio è stato isolato e identificato. Di più, Parnas ha dimostrato come alle fosforilasi spetti il compito del trasporto del fosforo dall'acido fosfopiruvico all'idrato di carbonio con la formazione dell'esosomonofosfato e dell'esosodifosfato, quale operazione preliminare (fosforilazione) al successivo attacco demolitivo degli enzimi.
La CoI ha per gruppo attivo l'anello piridinico al cui alterno oscillare fra la forma ossidata e quella ridotta deve il trasporto dell'idrogeno dall'una all'altra aldeide. E mentre abbisogna di un apoenzima per la ossidazione (deidrogenazione) ne abbisogna di un altro per la riduzione. Secondo Warburg l'aldeide 3-fosfoglicerica, per assunzione di una molecola di un fosfato inorganico, passerebbe ad aldeide 1-3-difosfoglicerica, la cui deidrogenazione porterebbe all'ac.1-3- difosfoglicerico a sua volta defosforilatoa d acido 3- fosfoglicerico. Di qui la demolizione riprenderebbe secondo lo schema esposto.
Fermentazione lattica ed eterolattiche. - La fermentazione lattica, dovuta agli schizomiceti del genere Lactobacillus, trova la sua illustrazione nello schema di Embden-Meyerhof per la glicolisi non essendo ancora riusciti, come per il lievito, ad ottenere dai fermenti lattici preparati enzimatici che permettano un perfetto frazionamento del processo degradativo nelle sue reazioni parziali. Prodotto quasi esclusivo della fermentazione è l'acido lattico.
Dalle fermentazioni eterolattiche degli zuccheri si ottengono come prodotti finali alcool etilico, acido lattico, acido acetico, glicerina e CO2; dal fruttosio alcuni fermenti producono mannite. La stretta parentela del sistema enzimatico di questi microbi con quello dei lieviti e dei fermenti lattici fa supporre che anche la loro attività decorra sulle tracce della fermentazione alcolica e della glicolisi (Bolcato).
Fermentazione propionica. - Si deve agli schizomiceti del genere Propionibacterium la possibilità di trasformare il glucosio negli acidi propionico, acetico e anidride carbonica. Il processo è ancora piuttosto oscuro tanto dal punto di vista scientifico quanto da quello applicativo.
Fermentazione butirrica. - Taluni microbi del genere Clostridium producono, dagli zuccheri e dai polisaccaridi, acido butirrico accompagnato principalmente da acido acetico, anidride carbonica e idrogeno.
Fermentazione aceton-butilica e isopropil-butilica. - Sempre al genere Clostridium appartengono i microbi capaci di produrre dagli zuccheri e dai polisaccaridi principalmente alcool butilico, acetone, anidride carbonica e idrogeno. Taluni ceppi producono invece alcool isopropilico al posto dell'acetone. Le fermentazioni aceton-butilica e la isopropil-butilica costituiscono oggi un'industria largamente sviluppata per la produzione di questi solventi.
Fermentazione etil-acetonica. - Zuccheri e polisaccaridi sotto l'azione dei fermenti appartenenti al genere Aerobacillus si trasformano in acetone, alcool etilico, anidride carbonica e idrogeno.
Fermentazioni ossidative. - Fermentazione acetica (v. acetico, acido, I, p. 292; aceto, I, p. 296).
Fermentazione citrica. - Taluni ceppi di Aspergillus niger producono, sotto ben determinate condizioni, acido citrico principalmente dal saccarosio e dal melasso di zuccherificio con rendimenti variabili dal 50 al 70%. Il meccanismo chimico alla base della fermentazione è ancora oscuro. Il procedimento seguito industrialmente è quello in "superficie", che consiste nello sviluppare la muffa nella forma miceliare in bacinelle di alluminio purissimo contenenti, in sottile strato, la soluzione zuccherina. Le numerose bacinelle, il loro ingombrante volume e le lunghe operazioni per il loro governo rendono il processo piuttosto complicato, per cui si cerca di trasformarlo in quello per "immersione" come avviene per altre fermentazioni.
Fermentazione gluconica. - È dovuta all'Aspergillus niger che ossida con rendimenti del 95% il glucosio in acido gluconico. La muffa si sviluppa dentro particolari tamburi rotanti contenenti la soluzione di glucosio e i sali nutritivi. Il movimento e il gorgogliamento dell'aria sotto pressione impediscono alla muffa di svilupparsi in un micelio continuo, ma solo in fiocchetti miceliari. È questo il procedimento per "immersione" molto più rapido, sicuro ed economico di quello in superficie.
Fermentazione laitica e fumarica con le muffe del genere Rhizopus. - La prima spetta al R. oryzae, che in immersione trasforma rapidamente il glucosio in acido destro lattico, fisiologicamente più adatto per gli usi alimentari. Al Rhizopus nigricans, coltivato in superficie, spetta, invece, la possibilità di demolire il glucosio principalmente in acido fumarico.
Bibl.: O. Meyerhof, in Erg. Enzymforsch., IV (1935), p. 217; id., in Nature, CXLI (1938); p. 855; id. in Bull. Soc. Chim. Biol., XX (1938), p. 1033 e 1345; J.K. Parnas, ibidem., XVIII (1936), p. 53; H. v. Euler e altri, in Zeits. physiol. Chem., CCXXXVIII (1936), p. 233; CCXLI (1936), p. 239; CCXLII (1936), p. 215; CCXLV (1937), p. 217; CCLII (1938), p. 1; O. Meyerhof e P. Ohlmeyer in Bioch. Zeits., CCXC (1937), p. 334; O. Warburg, in Erg. Enzymforsch., VII (1938), p. 210; O. Warburg e W. Christian, in Bioch. Zeits., CCCI (1939), p. 221; CCCIII (1939), p. 40; E. Negelein e H. Brömel, ibidem., CCCI (1939), p. 135; CCCIII (1939), p. 132; S.C. Prescott e G. C. Dunn, Industrial Microbiology, New York 1940; V. Bolcato, La chimica delle ferment., Bologna 1947.