GHISONI, Fermo
Nacque intorno al 1505, forse a Mantova o a Caravaggio, piccolo centro del Bergamasco luogo di origine del padre, Stefano (D'Arco, 1857). A sostegno di quest'ultima ipotesi sta il fatto che nei documenti relativi all'attività successiva il nome del G. è spesso accompagnato dalla menzione "da Caravaggio"; a vantaggio della prima, una lunga tradizione critica e la precoce presenza del pittore nella città dei Gonzaga. Già dal 1527 risulta infatti documentato in qualità di collaboratore di Giulio Romano nella grande impresa decorativa della nuova fabbrica del palazzo Te.
Della formazione del G. si conosce assai poco, anche se non è escluso che provenisse da una famiglia di artisti. Le fonti riportano inoltre la notizia di un suo alunnato presso la bottega di Lorenzo Costa, che sembrerebbe confermata in sede documentaria, laddove a volte il G. è indicato come "Fermo del Costa" (Belluzzi, 1998, p. 194). Tuttavia, le sue prime opere dimostrano già preponderanti caratteri giulieschi, certo dovuti al tipo di organizzazione del lavoro - di memoria raffaellesca - all'interno dell'équipe di Giulio Romano: il maestro elaborava disegni e schizzi che i collaboratori dovevano tradurre prima in cartoni e poi in pittura. Fin dall'inizio il G. compare accanto ai principali aiuti di Giulio, Rinaldo Mantovano e Benedetto Pagni da Pescia; la sua presenza nelle fabbriche giuliesche fu costante, così come regolari sono i pagamenti annotati a suo favore nei registri ducali. I primi, del 1527-28, potrebbero indicare una partecipazione del G. alla decorazione delle sale dei Cavalli e di Psiche a palazzo Te. Niente di preciso, però, né sulle parti da lui dipinte - forse gli sfondi paesistici tra naturalismo nordico e manierismo romano delle scene parietali in entrambe le sale - né sul ruolo specifico che, all'interno della bottega, Giulio Romano gli poté eventualmente attribuire. I documenti relativi alla decorazione approntata nel 1531 nella nuova palazzina, annessa al palazzo ducale, e destinata alla sposa del duca Federico II, Margherita Paleologa di Monferrato, mostrano il G. coinvolto nella realizzazione delle armi dei due consorti, andate perdute con la distruzione dell'intero edificio nel 1899. I pagamenti successivi confermano come l'attività del G. all'interno della bottega fosse circoscritta alle parti più prettamente decorative. L'11 ott. 1532 si provvedeva a saldarlo per aver realizzato parte del tempio di Giove in prospettiva nel soffitto della sala dei Giganti al Te, e per aver dipinto a chiaroscuro la facciata del palazzo verso la pescheria con finte architetture e figure di "vitori grandi del naturalo con vari spolie, troffei e ornisamenti", perduti (Ferrari, p. 517). Nel 1534, poi, stava realizzando per le quattro facciate del cortile grande "un friseto over foliami" ancora a chiaroscuro, abitato di "monstri de varie animali, como arpie e tigri" (ibid., p. 623). Nello stesso anno, eseguì i sottarchi della loggia di David, e "paesi e montagni" nella sala dei Giganti (ibid., p. 637). Sono quindi da escludersi, almeno a questa data, attribuzioni al G. di scene intere, come la Toeletta di Betsabea nella loggia di David.
Al Te il G. fu dunque sostanzialmente un gregario. Ma, tra i collaboratori di Giulio, avrebbe ottenuto a Mantova il maggior successo. Non lo dimostrerebbe tanto la debole Madonna con Bambino e i ss. Stefano, Gerolamo, Antonio abate e Giorgio, eseguita intorno al 1534, forse per la chiesa mantovana di S. Stefano e oggi nel Museo diocesano cittadino, quanto il fatto che già nel 1535 il G. si fosse guadagnato la fiducia del cardinale Ercole Gonzaga, ottenendo la commissione di una pala d'altare per la chiesa abbaziale di Felonica, piccolo centro sul Po non lontano da Ferrara. L'Assunzione della Vergine (ibid., p. 763), dispersa dai primi del Novecento, era ancora in lavorazione nell'estate del 1536 e veniva saldata solo nel 1538. Nel frattempo, il G. continuò a lavorare a pieno ritmo al Te, e per i Gonzaga: nel 1537 partecipò alla realizzazione degli apparati allestiti per il battesimo della figlia del duca; e nel 1538 risulta attivo a palazzo ducale, dove la bottega di Giulio si era trasferita fin dal 1536 per portare a termine la decorazione del nuovo appartamento di Troia. Qui il G. operò come pittore di figura, traducendo i disegni di Giulio in cartoni, e realizzando il grande fregio con le Battaglie dell'Iliade.
Nel marzo del 1540 compare in qualità di testimone nell'accordo stipulato tra Giulio Romano e i rettori della Steccata di Parma. Tra il 1545 e il 1546, realizzò una pala per il duomo di Mantova per conto e su cartone dello stesso artista. Questo fu sufficiente per fare del dipinto, la Vocazione degli apostoli Pietro e Andrea, un'opera celebrata. Lo testimonia tanto la menzione di Vasari (V, p. 553), a Mantova nel 1566, quanto, nel 1797, il trasporto del quadro in Francia, dove se ne persero le tracce già l'anno seguente.
L'attività per il duomo era ancora all'interno dei progetti di Ercole Gonzaga, che nel 1545 attendeva il ritorno del G., da Venezia, perché eseguisse una copia del ritratto di Pietro Pomponazzi da inviare a Paolo Giovio (Ferrari, p. 1034) e che, sempre quell'anno, ordinò il pagamento per un "Cristo ch'è sopra il lampadario" realizzato dal pittore per la cattedrale (Frignani Negrisoli, p. 41): commissione, questa, che si affianca a un'altra più tarda - del 1547 - relativa a tre quadri rappresentanti due Crocefissi e una Pietà, probabilmente piccoli dipinti devozionali.
Intanto moriva Giulio Romano, e il G., che il 23 ott. 1546 era stato testimone delle sue ultime volontà, si trovò a essere protagonista della scena mantovana postgiuliesca. Ne fa testo la sua partecipazione alle due grandi imprese pittoriche - e architettoniche - di quegli anni, nate entrambe da progetti di Giulio e concluse sotto la direzione del nuovo architetto ducale, Giovan Battista Bertani: il rinnovamento della cattedrale cittadina, sostenuto dal cardinale Ercole, e i lavori di ammodernamento dell'abbazia di San Benedetto di Polirone, voluti dall'abate Gregorio Cortese. Nella designazione degli artisti per eseguire le pale degli altari del duomo, le scelte di Bertani contribuirono a fare di quel cantiere, intorno al 1552, un particolare snodo culturale, dove, all'interno di un programma da lui determinato - forse fornì anche i modelli per i dipinti - confluirono, all'insegna del manierismo di ascendenza romana, le esperienze di pittori provenienti dall'area parmense (Girolamo Bedoli, il Mazzola), cremonese (Giulio Campi) e soprattutto veronese, con Battista d'Angolo detto del Moro, Domenico Brusasorci, Paolo Farinati e Paolo Caliari (il Veronese). A essi, si affiancò il G., unico pittore locale, al quale il Bertani affidò l'esecuzione di due pale: la S. Lucia e il S. Giovanni Evangelista.
Rispetto alla magniloquenza manierista propria di questo momento, le due figure, come del resto anche quelle dipinte dagli altri pittori, sono improntate a un composto classicismo, e risultano perciò semplificate nella posa, nella gestualità, nel panneggio, nell'espressione dei volti, e anche nello sfondo che ospita un paesaggio privo di qualsiasi caratterizzazione. Queste due pale incontrarono un discreto successo, se, almeno un decennio più tardi, il S. Giovanni fu replicato con poche varianti dal G. in un dipinto oggi nella chiesa di S. Giuseppe Calasanzio a Correggio.
Il 12 apr. 1552 il G. e Bedoli stipularono un contratto con i monaci del convento di San Benedetto di Polirone per l'esecuzione della pala dell'altar maggiore: l'Adorazione dei magi, oggi al Louvre, seguiva solo in parte il volere dell'abate Cortese, che nel 1541 aveva affidato l'incarico a Giulio Romano. Dopo la morte di questo il G. era in grado di sostituire il grande pittore, e Bedoli, conosciuto a Mantova, aveva comunque nella sua pittura forti componenti giuliesche unite a un evidente correggismo. Difficile poter dire quali parti della pala di Polirone spettino al G., ma quasi certamente non il gruppo centrale della Vergine. La sua maniera di questi anni si può vedere più agevolmente nell'altro dipinto a lui commissionato per Polirone e ancora in loco, ovvero la Visitazione e santi nella cappella di S. Giustina: poche notazioni paesistiche incorniciano le figure che denunciano la conoscenza del correggismo di Bedoli. I santi sono inoltre individuati da lettere dipinte in un modo simile a quello che ricorre in altre pale mantovane, rendendo plausibile una loro attribuzione al Ghisoni. La Madonna con Bambino e i ss. Ambrogio e Bernardo, realizzata ancora per Polirone e quasi certamente per l'altare della cappella di S. Ambrogio di patronato del milanese Cesare Arzago, non solo presenta analoghe scritte didascaliche, ma è stata messa in relazione a un prototipo giuliesco, con il quale il G. poteva essere venuto in familiarità: si tratta di un disegno di Giulio, conservato alle Kunstsammlungen di Weimar, preparatorio per la pala della cappella di Baldassarre Castiglione nel santuario della Madonna delle Grazie a Curtatone. La pala di Polirone riprende esattamente il modello grafico di Giulio, e ne sostituisce, certo per ragioni di opportunità, i due santi: da Bonaventura e Francesco, ad Ambrogio e Bernardo. Non può essere accertato se sia proprio il G. l'autore della pala delle Grazie, opera certamente non attribuibile a Giulio (Berzaghi, 1981, pp. 297 s.), ma a testimoniare la sua attività per il santuario rimane l'Assunta, un tempo sull'altare maggiore. Importante commissione di Ferrante Gonzaga, signore di Guastalla, ritratto tra gli astanti, la pala, eseguita intorno al 1556, si organizza sul noto schema raffaellesco e fu forse condotta ancora su disegno di Giulio. A questo dipinto, meglio che al più tardo Crocefisso di S. Andrea a Mantova, si riferisce probabilmente la lettera pubblicata da Campori (pp. 266 s.), scritta da Domenico Giuntalodi, artista pratese al servizio dei signori di Guastalla, a Ferrante Gonzaga e datata 25 nov. 1556, nella quale si accenna a "l'ancona di m. Fermo" ancora in lavorazione. Di lontana matrice raffaellesca è anche l'Incoronazione della Vergine della chiesa mantovana di Ognissanti, attribuita con qualche riserva al G. sulla scorta della contiguità stilistica con le opere di Polirone, nonché ancora per la presenza delle didascalie (Berzaghi, 1981, p. 298).
L'Assunta delle Grazie è il segno tangibile di un rapporto di committenza che impegnò il G. al servizio di Ferrante Gonzaga - e del suo entourage - proprio in questo periodo, principalmente come ritrattista: del 6 sett. 1556 è una lettera di Giulio Quaglia a Ferrante, in cui si parla di un ritratto (perduto) di una principessa Gonzaga; documentato, ma ugualmente disperso, è il Ritratto di Ferrante Gonzaga che il cardinale Ippolito d'Este, a Mantova nel 1561, si fece presentare insieme con altri ritratti gonzagheschi eseguiti dal G. "assai reputato come ritrattista" (Luzio, p. 103); stessa sorte toccò alla Genealogia di casa Gonzaga, celebrata da Vasari e realizzata per il "bellissimo antiquario e studio" del figlio e successore di Ferrante, Cesare (Brown). Da collocarsi ancora nell'ambito delle committenze gonzaghesche, tra le quali si deve forse annoverare anche un Ritratto di Francesco III Gonzaga duca di Mantova (già in collezione privata: Berzaghi, 1981, p. 309), è il Ritratto di Domenico Giuntalodi, eseguito dal G. nel 1560, anno in cui lo stesso Giuntalodi faceva testamento lasciando il dipinto al Comune della città di origine (Bigazzi).
Conservato nel salone del Consiglio del palazzo comunale di Prato, il ritratto del Giuntalodi è - insieme con quello di Ferrante nell'Assunta delle Grazie e, qualora venisse confermata l'attribuzione al G., con quello di Ercole nella pala con la Deposizione di S. Egidio a Mantova - l'unico rimasto a testimonianza dell'attività ritrattistica del G., e denuncia, pur in forme rigide e contratte, una chiara dipendenza dai modelli del ritrattista per eccellenza dei Gonzaga, Tiziano, i cui ritratti erano numerosi presso le residenze ducali.
Legato alla corte gonzaghesca fu anche Carlo Nuvoloni, quasi certamente committente della decorazione della cappella funebre in S. Andrea, di patronato della famiglia, alla quale attese il G. intorno al 1558, con l'esecuzione della pala d'altare - un Crocefisso - e, forse, dei dipinti in monocromo alle pareti, raffiguranti alcuni sepolcri. Al dipinto di S. Andrea si deve affiancare, per affinità stilistica e di soggetto, una Crocefissione, probabilmente di poco più tarda, nella chiesa mantovana di Ognissanti, allora di pertinenza dell'abbazia di Polirone: il che induce a ipotizzare una nuova committenza benedettina.
Il rapporto con i Gonzaga si mantenne nel tempo: intorno al 1565 il G. realizzò per la chiesa palatina di S. Barbara, ricostruita e rinnovata negli arredi proprio in quegli anni per volontà del duca Guglielmo, le ante dell'organo, con l'Annunciazione negli sportelli esterni e i Ss. Pietro e Barbara in quelli interni; nel 1563 eseguì il ritratto del duca per la corte di Innsbruck (Perina, 1965, p. 335); e nel 1574, ormai negli ultimi tempi della sua attività, gli venne richiesto di realizzare alcune copie, dalla sala di Psiche e dei dodici Cesari tizianeschi, da inviare ad Antonio Perez, segretario di Stato spagnolo (Luzio, p. 103).
A questo periodo dovrebbe risalire la piccola pala, unico tramite riconosciuto tra l'artista e il borgo d'origine della famiglia, rappresentante la Madonna con Bambino e i ss. Rocco, Francesco e Sebastiano nella chiesa dei Ss. Fermo e Rustico a Caravaggio.
Il G. morì a Mantova il 27 genn. 1575 (Frignani Negrisoli, p. 38). Undici anni prima era morta la figlia Isabella, avuta dal matrimonio con Costanza (Tirloni, 1963, p. 129).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, p. 553; VI, ibid. 1881, p. 489; C. D'Arco, Istoria della vita e delle opere di Giulio Pippi Romano.Appendice II, Mantova 1838, passim; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, ad indicem; C. D'Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, II, Mantova 1857, p. 268; G.B. Intra, Il monastero di San Benedetto di Polirone, in Arch. stor. lombardo, XXIV (1897), pp. 335 s.; A. Luzio, La galleria dei Gonzaga venduta all'Inghilterra nel 1627-28, Milano 1913, ad indicem; S. Béguin, Un tableau retrouvé de Girolamo Mazzola alias Bedoli, in Aurea Parma, XL (1956), pp. 3-5; C. Perina, Appunti sulla pittura mantovana della seconda metà del Cinquecento, in Commentari, XIII (1962), pp. 94-112 passim; P. Tirloni, Pittori caravaggini del Cinquecento, Bergamo 1963, pp. 127-136; C. Perina, Pittura, in Mantova. Le arti, III, Mantova 1965, ad indicem; A. Frignani Negrisoli, Indagine archivistica e riflessioni su un collaboratore di Giulio Romano: F. G., in Studi su Giulio Romano, San Benedetto Po 1975, pp. 35-50; P. Tirloni, F. G., in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Cinquecento, II, Bergamo 1976, pp. 145-171 (con bibl.); I. Bigazzi, in Prato e i Medici nel '500 (catal., Prato), Roma 1980, pp. 115-119; R. Berzaghi, Committenze del Cinquecento: la pittura, in I secoli di Polirone. Committenza e produzione artistica di un monastero benedettino (catal., San Benedetto Po), Mantova 1981, pp. 295-311 passim; C. Tellini Perina, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1982, pp. 726 s.; C.M. Brown, I carteggi di Cesare Gonzaga, signore di Guastalla (1536-1575), e le raccolte di antichità della seconda metà del Cinquecento, in Atti e memorie dell'Accademia nazionale Virgiliana di scienze lettere ed arti, LIII (1985), pp. 108 s.; C. Tellini Perina, in P. Carpeggiani - C. Tellini Perina, S. Andrea a Mantova. Un tempio per la città del principe, Mantova 1987, p. 131; M. Tanzi, Pittura a Caravaggio, in Pittura tra Adda e Serio. Lodi, Treviglio, Caravaggio, Crema, Milano 1987, pp. 183 s., 238-240; R. Berzaghi, Le ante d'organo di S. Barbara: F. G. e la pittura a Mantova nella seconda metà del Cinquecento, in Civiltà mantovana, XVII (1988), 20, pp. 1-13; A. Belluzzi, Battista Covo, Giulio Romano e Girolamo Mazzola Bedoli a San Benedetto in Polirone, in Dal Correggio a Giulio Romano. La committenza di Gregorio Cortese (catal., San Benedetto Po), Mantova 1989, pp. 125-127; M. Tanzi, Comprimari e comparse nell'équipe giuliesca a San Benedetto: F. G., Anselmo Guazzi, Francesco Maria Castaldi, ibid., pp. 133-136; A. Berzaghi, La scuola di Giulio. Opere e artisti, in Giulio Romano (catal., Mantova), Milano 1989, p. 448; A. Belluzzi, Documenti polironiani. L'apparato decorativo di San Benedetto in Polirone, in Quasar (Quaderni di storia dell'architettura e del restauro), 1991-92, nn. 6-7, pp. 51-57; Giulio Romano. Repertorio di fonti documentarie, a cura di D. Ferrari, Mantova 1992, ad indicem; A. Belluzzi, Palazzo Te a Mantova, Modena 1998, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 570 s.