Fermo per identificazione
La Corte europea dei diritti dell’uomo affronta il tema del fermo per identificazione, censurando la violazione dell’art. 3 CEDU – nella misura in cui le modalità della privazione della libertà personale «[avrebbero] raggiunto la soglia minima di gravità necessaria per integrare un’ipotesi di “trattamento inumano e degradante”» –, ma non quella dell’art. 5 CEDU, posto che il cd. fermo per identificazione è istituto positivamente «riconosciut[o] dalla legge italiana» e che «fornire le proprie generalità alla polizia costituisce un obbligo specifico e concreto» a prescindere dalla commissione di reati.
Con la recente pronuncia Sarigiannis c. Italia1, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato la questione avente a oggetto la legittimità del fermo per identificazione.
1.1 Il fermo per identificazione tra legge speciale e codice di procedura penale
Come noto, se l’art. 11 d.l. 21.3.1978, n. 59, conv., con modif., in l. 18.5.1978, n. 191, facoltizza gli ufficiali e gli agenti di polizia a accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuti di dichiarare le proprie generalità (co. 1) ovvero declini generalità o esibisca documenti d’identificazione che appaiano falsi (co. 2), l’art. 349, co. 4, c.p.p. abilita la polizia giudiziaria a fermare per identificazione indagato e persone «in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti» che rifiutino di farsi identificare ovvero forniscano generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità.
In entrambi i casi, dell’accompagnamento dovrà essere data immediata notizia all’autorità giudiziaria, la quale ultima dovrà ordinare la liberazione della persona accompagnata laddove non ritenga che ricorrano le condizioni di legge.
A mente dell’art. 349, co. 6, c.p.p., all’inquirente dovrà essere data altresì notizia vuoi del rilascio della persona accompagnata, vuoi dell’ora in cui esso rilascio è avvenuto.
Il divieto contenuto nell’art. 3 CEDU, se, per un verso, ha carattere assoluto, per l’altro verso, rappresenta il principale valore fondamentale proprio di qualsivoglia società democratica.
Posto a protezione della dignità d’ogni essere umano, l’art. 3 CEDU non è bypassabile nemmeno laddove, «[i]n caso di guerra o di altre pubbliche calamità», gli Stati membri sono convenzionalmente abilitati a «prendere misure che deroghino agli obblighi previsti da[lla CEDU]» (art. 15, §§ 1 e 2, CEDU).
I valori che esso incarna, inoltre, non sono passibili di bilanciamento alcuno con altri valori generali, quali, a titolo esemplificativo, «economia»2, «immigrazione»3, «terrorismo e criminalità organizzata»4. Né a dissimili conclusioni sembra potersi approdare laddove si tratti di prevenire la commissione di reati5.
Sotto il profilo contenutistico, va posto in luce come la voluta “lacunosità” della formula propria dell’art. 3 CEDU non abbia impedito alla C. eur. dir. uomo d’enucleare un «livello minimo di gravità» che la lamentata violazione deve raggiungere per (poter) essere convenzionalmente rilevante.
Trattasi, beninteso, di concetto relativo, da vagliare, caso per caso, alla luce di parametri di giudizio quali la «durata della violazione», le «conseguenze fisiche e mentali prodotte», l’«età» e lo «stato di salute» della persona6.
2.1 L’art. 5 CEDU
Proteso a garantire, in primis, libertà e sicurezza d’ogni persona, anche l’art. 5 CEDU ha «rilevanza primaria» nell’ambito di qualsivoglia società democratica, assurgendo a diritto di rango fondamentale7.
Sotto il profilo contenutistico, se il lemma «libertà» allude alla libertà «individuale» nella propria accezione di «libertà fisica della persona»8, problematica appare, per quel che qui importa, la precisa messa a fuoco del concetto di «sicurezza», che, non di meno, non sembra passibile d’essere degradato a sinonimo di mera «tutela mediante l’intervento dell’autorità». Come autorevole dottrina ha osservato, infatti, «i diritti fondamentali» «sono innanzitutto Abwehrrechte», ovvero «diritti di libertà da coercizione statuale»9.
Se quanto precede è corretto, non v’è allora chi non veda come l’originaria locuzione «security of person» non possa essere interpretata solamente alla stregua di locuzione protesa a imporre agli Stati membri «un obbligo di fornire protezione contro le [minacce] provenienti da[lla criminalità]»10, ma debba essere letta in stretta connessione col richiamo alla libertà fisica della persona: «liberty and security of person’ in paragraph (1) of Article 5», in altre parole, «must be read as a whole»11.
In subiecta materia, insomma, libertà e sicurezza rappresentano due facce d’una stessa medaglia12.
2.2 Le misure provvisorie di limitazione della libertà
Ciò premesso, preme osservare come, nell’ottica del giudice di Strasburgo, configuri un «atto di tortura» qualsivoglia grave, intenzionale e ripetuta sofferenza, fisica o psichica, inflitta alla persona, essendo essa contraria «al principio della dignità umana»13. Con l’avvertenza che «spetta allo Stato provare, in modo convincente, che le lesioni [patite] dal ricorrente, nel periodo di privazione della libertà personale, siano [ascrivibili] a cause non imputabili allo Stato» stesso14.
Sotto altro angolo visuale, va posto in luce come, nella giurisprudenza sovranazionale, il concetto di «privazione della libertà» si palesi lasco, oscillando tra detenzione in senso proprio e mero trattenimento nella zona “transito” aeroportuale, prolungatosi «per un certo periodo»15.
In quest’ottica, sebbene sia stato escluso che configuri violazione dell’art. 5 CEDU la conduzione, presso una stazione di polizia, d’un soggetto che ivi sia stato trattenuto, a fini d’identificazione, «per circa un’ora»16, sono state giudicate rilevanti, in linea di massima, anche limitazioni della libertà personale la durata delle quali s’è palesata, in concreto, «molto limitata»17.
Sussistendo, in ogni caso, una vera e propria presunzione a favore della libertà della persona, affinché la compressione della stessa si palesi legittima, è espressamente richiesto, da un lato, che essa possa essere ricondotta a una delle ipotesi tassativamente passate in rassegna dall’art. 5 CEDU e, dall’altro lato, che la detenzione sia improntata alla legalità. Come è stato correttamente osservato, infatti, la statuizione in commento, sotto il profilo da ultimo menzionato, sembrerebbe pretendere «un duplice test», sostanziantesi, per un verso, nella «valutazione di conformità [dell’azione statuale] alle norme processuali», per l’altro verso, nel «sindacato di osservanza delle norme sostanziali»18.
2.3 Il caso Sarigiannis c. Italia
Applicando codesti principi, la C. eur. dir. uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU. A parere del giudice di Strasburgo, infatti, «la presenza di lesioni sul volto e alla nuca dei ricorrenti … dimostr[erebbe] inequivocabilmente che l’azione degli agenti operanti abbia tracimato rispetto all’indispensabile che l’azione [stessa] richiedeva». A essere censurate sono qui «le modalità d[ella] privazione [della libertà personale]», che hanno raggiunto «la soglia minima di gravità necessaria per integrare un’ipotesi di “trattamento inumano e degradante”».
La C. eur. dir. uomo, per converso, non ha rilevato violazione alcuna dell’art. 5 CEDU, sul presupposto che «[l]a restrizione della libertà a fini di identificazione» è istituto positivamente «riconosciut[o] dalla legge italiana» e che «fornire le proprie generalità alla polizia costituisce un obbligo specifico e concreto» a prescindere dalla previa commissione di reati.
Pur avallato dalla C. eur. dir. uomo, l’istituto del fermo per identificazione, così come sagomato dalla vigente legislazione nazionale, potrebbe palesarsi foriero d’imbarazzi laddove si focalizzi l’attenzione sulla “cronologia” propria dello stesso.
La semplice constatazione che, nel caso di specie, i giudici di Strasburgo abbiano escluso la violazione dell’art. 5 CEDU (anche) sul presupposto della brevità del trattenimento, infatti, non appare ex se tranquillizzante, se solo si considera come, in passato, siano state giudicate rilevanti pure compressioni della libertà personale protrattesi per periodi di tempo limitati.
Su questo sfondo, farraginosità potrebbero manifestarsi laddove le procedure protese all’identificazione della persona fermata dovessero palesarsi complesse, tali, cioè, da non poter essere esaurite nell’arco di poche ore.
È, questa un’eventualità cui fanno espresso riferimento tanto la legge speciale quanto il codice di procedura penale, che, tuttavia, non battono pari sotto il profilo temporale: mentre, nel primo caso, la persona fermata per identificazione potrà essere trattenuta non oltre le ventiquattro ore, nel secondo, la stessa dovrà essere rilasciata entro e non oltre dodici ore – ovvero entro e non oltre ventiquattro ore, se l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’autorità consolare o di un interprete.
Alla luce dell’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, peraltro, v’è da chiedersi se la (meno garantista) previsione propria della legge speciale sia destinata a “sopravvivere”. Se la risposta all’anzidetto quesito sembrerebbe essere positiva in virtù della discrasia “soggettiva” che contrassegna le disposizioni in commento – la legge speciale fa espresso riferimento a «chiunque», laddove il codice di procedura penale parla solamente di indagato e persone «in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti» –, il principio del favor libertatis che informa, a tutto tondo, la materia della libertà personale dovrebbe, non di meno, condurre a ritenere automaticamente “dimezzato” il termine di «ventiquattro ore» passato in rassegna dalla legislazione “di polizia” a beneficio del più breve termine di «dodici ore» codicisticamente previsto quale regola generale.
1 C. eur. dir. uomo, 5.4.2011, Sarigiannis c. Italia.
2 C. eur. dir. uomo, 7.7.2009, Grori c. Albania.
3 C. eur. dir. uomo, 21.1.2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia.
4 C. eur. dir. uomo, 15.11.1996, Chahal c. Regno Unito.
5 C. eur. dir. uomo, 25.4.1978, Tyrer c. Regno Unito.
6 C. eur. dir. uomo, 18.1.1978, Irlanda c. Regno Unito.
7 C. eur. dir. uomo, 3.10.2006, McKay c. Regno Unito.
8 C. eur. dir. uomo, 8.6.1976, Engel c. Paesi Bassi.
9 Pulitanò, D., Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, 550.
10 Comm. eur. dir. uomo, decisione 20.7.1973, X c. Irlanda.
11 Comm. eur. dir. uomo, decisione 12.10.1973, X c. Regno Unito.
12 De Salvia, M., Compendium de la CEDH: les principes directeurs de la jurisprudence relative à la Convention européenne des Droits de l’Homme, 1, Jurisprudence 1960 à 2002, Kehl-Strasbourg-Arlington-Va, 2003, 1406.
13 C. eur. dir. uomo, 28.7.1999, Selmouni c. Francia; C. eur. dir. uomo, 27.8.1992, Tomasi c. Francia.
14 C. eur. dir. uomo, 30.6.2008, Gafgen c. Germania; C. eur. dir. uomo, 28.7.1999, Selmouni c. Francia, cit.
15 C. eur. dir. uomo, 25.6.1996, Amuur c. Francia.
16 C. eur. dir. uomo, 4.11.2003, Novotka c. Slovacchia.
17 C. eur. dir. uomo, 22.5.2008, Iliya Stefanov c. Bulgaria.
18 Gialuz, M., sub art. 5 CEDU, in Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Bartole, S.-De Sena, P.-Zagrebelsky, V., a cura di, Padova, 2012, 115.